La solita solfa sull'Impero del male di Paolo Guzzanti

«Prima che i soldati della Natosi ritirino, arresteremo per processarli tutti e settantasette gli accusati di crimini di guerra compresi i croati» La solita solfa sull'Impero del male 0 partecipato ad una trasmissione radiofonica («Lampi d'estate» di Radiotre condotta dalla brava Loredana Lipperini) che aveva come tema l'America. 0 meglio: le malefatte della Cia da una parte e lo stato della cultura americana rispetto a quella europea, dall'altra. Partecipavano Gianni Riotta, Lucio Manisco, Alessandro Portelli, Stefano Pistolini e Claudio Gorlier. A parte Riotta che conosce gli Stati Uniti (e li sa raccontare) con calore e un'mtimità competente, gli altri partecipanti mi sembravano tutti concordi e monocordi: gli Stati Uniti, questa sorgente selvaggia e generosa per l'immaginario collettivo di tutti noi, sono prima di tutto il luogo in cui si condensano al massimo grado violenza, viltà, sopraffazione e volgarità. E quanto alla cultura - giudizio sul quale ho avvertito una sbalorditiva unanimità nei miei interlocutori gli Stati Uniti d'America avrebbero prodotto un'unica cosa ragguardevole: la musica degli schiavi, i gospel, l'espressione della rivolta e del dolore. Tutto il resto, robetta e robaccia da buttare. Noto con antica amarezza che questa opinione è malauguratamente dominante, ossessiva e perentoria come certi dogmi integralisti. E che ad azzardare l'ipotesi contraria - ricordando per esempio che la cultura americana ha prodotto tutta la tecnologia e la medicina moderne, più la capacità di usare e godere il tempo Ubero di cui noi disponiamo rivoluzionando in meglio la nostra vita e la sua stessa durata - suscita fastidio, sospetto, sarcasmo, dileggio. Perfino la Cia, la tanto odiata Cia (era il tema del giorno) viene adesso presentata non più come la «Spectre» che generava astute aggressioni anticomuniste, ma come una centrale di idiozie sanguinarie e inutili, una fallimentare impresa di assassini imbecilli. Può darsi che le cose stiano davvero così e che io mi faccia abbagliare dal fatto che il mondo stia vivendo il più lungo e promettente periodo di pace di tutti i tempi grazie alla storia e alla presenza degli Stati Uniti: la pace era le grandi nazioni industriali con enormi poteri distruttivi. Può darsi che mi faccia accecare dal fatto che in America ho trovato la stampa quotidiana e periodica più elegante, intelligente, sofisticata e autoironica del mondo (così poI co «americana»!). E che, sempre I in quel Paese, abbia imparato a seguire le nostre vicende europee come eventi di un continente angoscioso e a rischio, innervato da correnti di odio e di egoismo, ma puerilmente convinto di possedere come un dono divino la superiorità culturale che viceversa è sempre meno visibile, dal momento che le università europee producono scarsa ricerca scientifica, mentre la letteratura non abbonda e le arti visive e visibili hanno da tempo varcato l'Oceano. Devo avere certamente torto io. La guerra fredda deve essere stata aggiudicata a quell'Occidente di cui l'America è la parte più complessa e forte, usando il sistema gratta e vinci. E forse esistono luoghi lontani e diversi dagli Stati Uniti in cui le libertà e le liberalità sono meglio coltivate (hai visto mai: in Padania?, in Campania?, in Bosnia?), la lotta per i diritti civili meglio condotta e le diversità etniche e religiose meglio armonizzate. Deve essere così se si può dire, èome è stato dettò senza tema del ridicolo, che l'unica cosa buona prodotta dagli Stati Uniti d'America sono i gospel degh schiavi, i quali certamente hanno introdotto un grandioso e ben vivo elemento nella cultura dell'Occidente. Questa omologazione di -giudizio così tranciarne, questa forma di infastidito disprezzo nei confronti dei «veri» Stati Uniti, contrapposti agli «altri» Stati Uniti (come se esistesse un'antimateria americana riadattata ai nostri capricci) esercita su di me, viaggiatore certamente lacunoso, un fascino ipnotico in conflitto con la ragione. Temo però, e purtroppo, che la battaglia per capire e imparare ad apprezzare l'America sia, fatte salve le solite quattro banalità, una battaglia persa quanto è persa in genere ogni guerra condotta in nome del principio di realtà, così amaro e indigesto perché adulto. Mentre invece, accusare gli Stati Uniti in maniera totale e generica è così confortante, familiare, popolare, remunerativo. Dunque, che disastro, vincente. Paolo Guzzanti irti |

Persone citate: Alessandro Portelli, Claudio Gorlier, Gianni Riotta, Loredana Lipperini, Lucio Manisco, Riotta, Stefano Pistolini