Massacro nel carcere amazzonico

Massacro nel carcere amazzonico CARACAS A El Dorado, bianchi e indios si sono affrontati con coltelli e bastoni Massacro nel carcere amazzonico In Venezuela battaglia tra detenuti: 42 morti CARACAS NOSTRO SERVIZIO Si sono accoltellati senza che i custodi potessero mettere fine alla carneficina: 42 prigionieri sono morti e altri 22 sono rimasti feriti ieri nel carcere di El Dorado, nella foresta amazzonica del Venezuela, nella più dimenticata fra le 32 prigioni che esistono nel Paese. Come in una bolgia dantesca, i carcerati si sono divisi in due gruppi, i «locali» contro gli indigeni «Wayuu», giunti di recente da Maracaibo (nel Nord-Ovest della nazione) e, anziché unirsi per chiedere migliori condizioni di vita nel carcere, si sono uccisi tra di loro, forse per una folle ricerca di spazio. Come già accaduto altre volte, il numero delle vittime è incerto. Il ministro della Giustizia, Hilarion Cardozo, da Caracas, ha confermalo la morte di 42 persone, ma tre ore più tardi un impiegato della casa parrocchiale di El Dorado, Marco Vilòria, ha dichiarato ai giornalisti che ne erano stati contati ventinove. I prigionieri si sono avventati l'un contro l'altro brandendo coltelli artigianali che nelle carceri venezuelane vengono fabbricati servendosi di parti delle finestre, bordi delle scale e qualsiasi altro pezzo di ferro reperibile. Di solito sono coltelli enormi, arrugginiti e con la lama tutt'altro che tagliente. Al termine dello scontro, la situazione è rimasta tragica in quanto nel paese di El Dorado non esiste un medico, il carcere dispone soltanto di una vecchia radio e nessun telefono e mancano i mezzi di trasporto per portare i feriti all'ospedale di "rumeremo, la cittadina più vicina e comunque distante cinquanta chilometri. El Dorado è il penitenziario più isolato del Paese e alle disumane condizioni di vita dei reclusi si aggiungono le enormi difficoltà delle visite dei famigliari che di solito portano cibo e vestiario. Il carcere, che ha quarant'anni e in cui fino a ieri erano rinchiuse 380 persone, duecento delle quali in celle di punizione, ha preso il nome dalla mitica regione di El Dorado, dove gli indigeni raccontavano ai «conquistadores», qua- si 500 anni or sono, che si trovasse un'enorme città tutta d'oro. E proprio come allora, il luogo ha portato soltanto disgrazia e morte. A El Dorado arrivano ora i malcapitati, molti dei quali senza prima avere subito un processo, si vedono costretti a scontare pene anche di cinque anni di reclusione. La legge, risalente al 1937, è stata aspramente criticata, ma senza successo, da numerose organizzazioni per la difesa dei diritti umani in quanto, secondo i giuristi, va contro la Costituzione del 1961. La tragedia di El Dorado segue quella verificatasi nel carcere di Sabaneta, a Maracaibo, dove nel 1994 un centinaio di prigionieri erano morti carbonizzati. Anche allora i fatti avevano preso il via da un litigio collettivo tra indigeni «Wayuu» e il resto dei reclusi. Mai si è saputo il numero preciso dei morti, tutti carbonizzati. Per alcuni giorni non si era potuto nemmeno conoscere il nome dei sopravvissuti poiché il penitenziario non era in possesso della lista completa dei detenuti. Due anni e mezzo più tardi altri venticinque prigionieri erano morti in un incendio all'interno del carcere della Pianta, a Caracas, dopo che le guardie li avevano rinchiusi in una cella e avevano lanciato contro di loro delle bombe lacrimogene. Tra le vittime c'era un minorenne la cui presenza fra gli adulti le autorità non sono tuttora riuscite a spiegare. I responsabili non sono stati condannati. In Venezuela, così come in altri Paesi dell'America Latina, la situazione carceraria è a dir poco terribile. Qui si registra una morte violenta ogni quaranta ore in stabilimenti sprovvisti di acqua e luce e una densità del 40 per cento superiore alla reale capienza. Mina Negron Un'immagine agghiacciante di una delle tante rivolte carcerarie in Venezuela

Persone citate: Cardozo