Rubini e la sua sposa più garbo che passione di Alessandra Levantesi

Fuori concorso il film con la Mezzogiorno Fuori concorso il film con la Mezzogiorno Rubini e la sua sposa più garbo che passione E il duro documentario di Spike Lee su quattro vittime bambine delKKK VENEZIA. Come possiamo definire «Il viaggio della sposa» che ha inaugurato in maniera autarchica, senza il glamour divistico e gli effetti speciali delle trascorse edizioni, la sezione «Mezzanotte» nuova gestione? Una favola sul modello del seicentesco «Lo cunto de li cunti» di Giovan Battista Basile, cui aveva attinto a suo tempo Francesco Rosi per «C'era una volta...»? Una sorta di «on the road» in costume con cui il pugliese Sergio Rubini, nel triplo ruolo di attore-sceneggiatore-regista, torna alle sue radici? Scritto in collaborazione con Filippo Ascione e Umberto Marino, complice di tante avventure cine-teatrali, il film racconta di come Porzia, una nobile fanciulla che ha ricevuto una raffinata educazione nel convento di Atri, per raggiungere il futuro marito in terra di Bari debba affrontare mille peripezie, scoprendo tutto insieme della vita il doppio aspetto della morte e dell'amore. Mentre l'umile stalliere Bartolo, che il mondo fin dalla nascita lo ha conosciuto nella sua crudezza, fedelmente pilotando a destinazione Porzia viene illuminato dalla sua erudizione nonché dalle sue grazie. Tanto da imparare a leggere e scrivere, trasformandosi nella maturità in un insegnante. Girato fra le suggestive asperità montane del Molise digradante verso l'Adriatico selvaggio, «Il viaggio della sposa» reinventa, al motto «da Roma in giù siamo una grande famiglia», una mappa paesaggistica e linguistica del Meridione. Di cui il personaggio di Bartolo-Rubini in- Rubini e Giovan a Mezzogiorno carna, come fosse una maschera della commedia dell'arte, il vitalismo di un popolo più forte delle secolari sopraffazioni subite; e di cui Porzia-Giovanna Mezzogiorno rappresenta un ideale di cultura umanistica nella tradizione da Vico a Croce. E' questa l'intuizione più stimolante di un film che, pur avvalendosi di ottimi contributi artistici, non riesce a risultare niente più che un prodotto garbato. Forse perché la prevedibile passione amorosa che sboccia tra i protagonisti non arriva a vivere sullo schermo, forse per la mancanza di un ritmo interiore a sostegno dell'itinerante impianto; e magari perché Rubini regista non sfrutta al meglio 0 potenziale di Rubini attore. Sul fronte della rinata «Officina», apertura americana con «Four Little Girls», un documentario politico realizzato da Spike Lee fra «Bus» e «He Got a Game», un film sul basket ancora in corso di lavorazione. Assemblando materiali di repertorio e interviste, Lee ricostruisce un atroce episodio, quando nel settembre '63 a Birminghan, Alabama, quattro bambine di colore fra i 12 e i 14 anni morirono in un attentato dinamitardo del Ku Klux Klan in una chiesa battista. Il cineasta orchestra la cronaca sul concertato privato di genitori, parenti e amici: ma dietro traspare la Storia, il rigurgito razzista proprio mentre in Usa, sulla spinta del movimento dei diritti civili, stava chiudendosi l'era del segregazionismo. Alessandra Levantesi Rubini e Giovanna Mezzogiorno

Luoghi citati: Alabama, Atri, Bari, Molise, Roma, Usa, Venezia