Roma antica? Stia sottoterra

21 In anteprima da Rimini l'intervento di Zeri: nemici dell'arte non sono stati i barbari, ma l'incuria e l'avidità dei potenti Roma antica? Stia sottoterra Non siamo capaci di conservare i suoi tesori L A gente, abituata ai film storici, crede che l'antica Roma sia stata distrutta dagli «invasori» barbari, da devastazioni, incendi. In realtà i fatti si sono svolti in maniera ben diversa. Per capirli bisogna avere chiara la visione di come era la capitale dell'impero alla fine del IV secolo d. C: una metropoli con un grandissimo centro monumentale e un immenso anello di insediamenti che, con termine moderno ma molto significativo, chiamerei/avelas. Le Mura Aureliane della seconda metà del III secolo non circondavano tutta la città: esse proteggevano la parte più preziosa dell'Urbe, la più carica di arte e di storia. Che sobborghi esistessero fuori dalle mura lo sappiamo, ad esempio, da Ammiano Marcellino che parla di un centro abitato sulla via Nomentana all'altezza dell'odierna Sant'Agnese. Se ancora si scava a distanza di chilometri da quella che è considerata l'antica città, a un paio di metri di profondità si incontrano carbone, frammenti di mattone, detriti che raccontano come quelle zone fossero abitate. D'altro canto l'immensità degli edifici termali, del Circo Massimo, del Colosseo denunciano un numero di abitanti che doveva essere di molto superiore (compresi i sobborghi) a quel milionemilione e mezzo generalmente preso per buono. Quando nel 410 d. C. la città venne assediata da Alarico, re dei Visigoti, la massa degli abitanti fuori le mura si deve essere riversata all'interno: forse proprio allora sono incominciati per la città i primi guai. Il saccheggio dei Vandali nel 455 d.C. danneggiò alcuni edifici ma, più che alle opere d'arte, gli invasori si rivolsero ai metalli preziosi. Anche nella precedente scorreria per mano dei Visigoti gli edifici distrutti dovevano essere stati pochi, soprattutto nelle residenze imperiali degli Orti Sallu- stiani e - a quanto pare - nello stesso Foro Romano. Agli inizi del VI secolo la città era ancora in ordine, benché i templi pagani fossero stati chiusi e nonostante il progressivo decadimento di Roma come centro del potere imperiale. Le grandi opere erano state fatte restaurare da Teodorico: e furono gli ultimi restauri. Alla morte del sovrano, nel 526 d. C, seguì la più grande catastrofe della storia italiana: la guerra gotica. In quegli anni, tra il 535 e il 553 d. C, Roma fu al centro della carneficina che ridusse in un deserto intere aree della penisola (sembra che in molti luoghi si verificasse il cannibalismo). Una guerra terribile, dai risvolti anche religiosi, con i Goti che erano Ariani e la popolazione che era cattolica. Il più feroce capo dei Goti, Totila, «nefandissimo tiranno» come lo chiamano le iscrizioni, entrò in Roma (nel viale del Policlinico è ancora visibile il tratto di mura poi rabberciato dal quale penetrò nella città eterna) e subito ordinò l'espulsione di tutti gli abitanti. Fu l'inizio della rovina. Per 2-3 anni la città rimase senza manutenzione, mentre ben possiamo immaginare il numero delle persone necessarie, anche per interventi di ordinaria amministrazione, come mantenere in piedi edifici quali le Terme di Caracalla, liberare le strade dai detriti, pulire le fogne. In quella maniera costruzioni immense venivano destinate al crollo. Quando le truppe di Belisario ripresero la città, molti abitanti non vi fecero ritorno. Il centro monumentale doveva essere già in condizioni vicine alla fatiscenza e numerosi edifici pubblici cominciarono a diventare abitazioni private. Tracce di questa metamorfosi sono state trovate nella casa delle Vestali al Foro Romano. Altrove si procedeva allo spoglio o alla demolizione dei templi marmorei per costruire chiese (come avvenne per il Tempio di Marte Ultore al Foro di Augusto). Una sorte tristissima toccò ai sepolcri (mausolei spesso giganteschi) che costeggiavano le vie consolari, nonostante le tante leggi imperiali che proibivano il sacco delle tombe e l'asportazione di marmi scolpiti. Nello stesso tempo da Costantinopoli si provvedeva a far portare via non solo le tegole di bronzo dorato - come fu col Pantheon o il Tempio di Venere e Roma - ma anche ad allontanare da Roma i capolavori dell'arte greca di cui era gremita la città. Credo che il collecting point, in vista della spedizione alla volta di Costantinopoli, fosse Ravenna. Di là, imbarcate su navi, le statue dovevano essere trasportate nella capitale dell'Impero d'Oriente e credo che il bellissimo Atleta oggi al Museo Paul Getty di Malibu si trovasse - fra gli altri - su una delle navi affondate nell'Adriatico. Dovettero però esistere degli abitanti della città consci dell'importanza di taluni monumenti: per questo li salvarono tra¬ sformandoli in chiese. E' il caso del Pantheon divenuto una chiesa dedicata alla Madonna, della sede del Senato, la Curia, che divenne la chiesa di Sant'Adriano. Il sommo monumento della Roma imperiale - il cosiddetto Palazzo Maggiore, la residenza degli imperatori sul Palatino - venne mantenuto con un apposito soprintendente ma sarebbe stato poi distrutto dai Normanni nel 1084. Parte della città crollava, parte veniva sepolta sotto una coltre di terriccio. Il saccheggio dei monumenti marmorei faceva compiere ai pezzi scolpiti strani tragitti: un rilievo del Portico di Ottavia venne utilizzato per San Lorenzo fuori le mura. Edifici come il Tempio della Concordia al Foro venivano demoliti perché pericolanti. In questa situazione prese a farsi sentire anche la mancanza dei metalli che un tempo Roma aveva importato da zone dell'impero ormai inaccessibili. Sono ancora visibilissimi, specialmente al Colosseo, i buchi fatti nei monumenti di pietra e di marmo per asportare i perni di ferro e piombo che tenevano insieme i blocchi. Questa necessità di metalli provocò pure la fine degli obelischi, che poggiavano ciascuno su 4 dadi di bronzo divenuti più preziosi dell'oro: per abbattere gli immensi monoliti si accendeva un fuoco per giorni e giorni vicino a uno dei dadi che, fondendo, faceva inclinare e poi precipitare l'obelisco. La popolazione, ridotta a poco più di 18-20 mila abitanti, si era raccolta vicino alle sponde del Tevere, soprattutto nella valle fra Aventino e Palatino. Dell'antica città rimanevano i monumenti più grandiosi, coperti da una fitta vegetazione, soprattutto olmi e fichi che contribuivano allo sgretolamento delle murature. Il Colosseo era diventato un immenso villaggio a sé, con il pianterreno adibito a scuderie e i piani superiori occupati da famiglie. Fra le macerie di edifici una volta stupendi si erano annidati gruppi di poverissimi: nella Basilica Ulpia, al Foro Traiano, gli occupanti di miserabili baracche seppellivano i loro morti spezzando i pavimenti marmorei. Nonostante questo sfacelo molto dell'antica città era ancora in piedi. La vera distruzione incominciò dopo l'anno mille, con la ripresa della vita civile. Allora interi monumenti vennero demoliti scientificamente per recuperare i mattoni (vedi le Terme di Traiano) o per ridurre in frammenti i marmi così da ricavarne la calce: un flagello che si estese anche al Palazzo Imperiale e alla zona del Colosseo, mentre sparivano le grandi dimore patrizie del Celio. Il trasferimento del papato ad Avignone e le lotte scatenatesi fra le grandi famiglie di Roma accelerarono la distruzione di ciò che restava. Il colpo finale venne con il Rinascimento e il rinnovato interesse per le antichità classiche. Gli scavi tumultuosi che vennero fatti nel '400 e '500 arrecarono danni immensi. Un grande cultore dell'antichità come Raffaello Sanzio supplicò i pontefici perché impedissero l'ulteriore rovina. Ma invano. Marmi e pietre dell'antica città continuarono a essere rimossi e usati per nuovi scopi fino alla nascita di quella che è la scienza dell'archeologia moderna alla fine del '700. Molta parte dell'antica Roma è ancora da scoprire, soprattutto nelle zone più basse della città dove sicuramente sono rimasti immensi tesori di arte e di storia. Speriamo che a nessuno venga in mente di scavarli: importante non è il ritrovamento delle opere ma la loro manutenzione che oggi è assai scarsa. Anche per ciò che non è mai andato sottoterra. Federico Zeri Società e Cultura ini l'intervento di Zeri: nemici dell'arte non sono stati Nell'immagine grande, il Colosseo: nel Medioevo era diventato un immenso villaggio; qui accanto il generale bizantino Belisario in un mosaico di Ravenna RIMINI. Al Meeting di Comunione e Liberazione interviene oggi Federico Zeri. Pubblichiamo in anteprima le linee essenziali della sua relazione sul tema «La fine di Roma antica».

Persone citate: Ammiano Marcellino, Ariani, Federico Zeri, Goti, Paul Getty, Raffaello Sanzio, Traiano