Hitler? Un tragico buffone di Mirella Serri

Hitler? Un tragico buffone il caso. Uno storico sfata i luoghi comuni sull'amicizia Èra i due dittatori: dietro l'apparente sintonia odii e veleni Hitler? Un tragico buffone Così Mussolini definiva il Fuhrer CROMA IUNSI a Trento il 6 febbraio, alle nove di sera. Nevicava. C'erano alla stazio I ne a ricevermi alcuni compagni. Uscendo riportai un'indicibile impressione del colossale monumento a Dante». E' il 1909, a 26 anni e mezzo Benito Mussolini arriva nel Trentino austro-ungarico per ricoprire il posto di segretario della Camera del Lavoro di Trento e dirigere il periodico L'avvenire del lavoratore. Ma il soggiorno durerà solo sette mesi: le autorità asburgiche espellono il militante socialista con l'accusa di aver svolto un'attività tesa a «eccitare azioni immorali e proibite dalla legge». Proprio in quei mesi a Trento Mussolini ha la possibilità di sperimentare di persona la tensione tra tedeschi e italiani e, mentre approfondisce la conoscenza della lingua tedesca, sente crescere la sua ostilità verso l'Austria e verso ogni forma di pangermanesimo, spaventato dall'idea di una Germania potente e minacciosa piazzata nel cuore d'Europa. Sono solo le prime manifestazioni, avverte lo storico e giornalista Fabio Andriola, nel volume Mussolini segreto nemico di Hitler (che uscirà a giorni da Piemme Editore), di un atteggiamento che la storiografia sul fascismo ha spesso preferito ignorare: la continua, ossessiva ostilità di Mussolini nei confronti del mondo tedesco. Un'avversione che lo accompagnerà dal soggiorno trentino fino alle ultime parole di rimprovero e di rancore che Mussolini avrà per gli alleati proprio alla vigilia della morte. Il legame tra fascismo e nazismo, la politica dell'Asse, il Patto di Acciaio, l'intensi- ficarsi dei rapporti a partire dal 1937-'38, l'alleanza bellica - osserva Andriola in polemica con gli studiosi di sinistra che hanno coniato la definizione di nazifascismo - furono per il duce delle scelte tattiche. Non furono il frutto di una profonda intesa ideologica con il Reich. Si trattò, a volte, di convergenze create dalla situazione internazionale, spesso più subita che determinata dal duce, dice lo storico, allievo di Renzo De Felice, che a Mussolini ha dedicato la precedente ricerca sul Carteggio segreto Mussolini-Churchill. Persino la passione per i riti e per i miti, per le parate scenografiche, per il culto della personalità che apparenta le due dittature - aggiunge Andriola - è segnata da profonde dissonanze: il fascismo voleva restaurare la romanità e le glorie latine e il nazismo, ostile invece a Roma e all'Italia, propendeva verso la riscoperta delle proprie radici germaniche. Il rapporto tra i due regimi si delinea come un legame intriso di odii e di veleni. «Non è per niente un marxista, non è nemmeno un socialista. E nemmeno è un vero uomo politico. E' un poetastro sentimentale che ha letto Nietzsche»: così Anna Kuli- sciov aveva definito Mussolini. Il poeta da strapazzo, che parlava la lingua di Goethe con un bell'accento romagnolo, amava però la cultura tedesca. Non solo l'autore della Gaia scienza, ma anche Hegel, Schelling, Feuerbach, Fichte. Ma la sua ammirazione per i classici del pensiero non mitigò mai il misto di rispetto e di paura che il duce continuò per tutta la vita a provare di fronte alla nazione tedesca, ad un gigante che era difficile contenere economicamente e militarmente. Anche alla fine della prima guerra mondiale, dopo la sconfitta della Germania, il suo timore non si placò. Andriola lo ricorda facendo propria l'opinione di De Felice, che ha scritto: «Verso la Germania la posizione di Mussolini era condizionata da due stati d'animo: l'ammirazione per le sue capacità di ripresa economica e un certo scetticismo sulla sincerità delle intenzioni dei suoi governanti». Il filo rosso della diffidenza di Mussolini si trasformerà in ostilità parzialmente tenuta a freno di fronte alle avances di amicizia e di solidarietà politica che Hitler muoveva nei suoi confronti a partire dai mesi precedenti alla marcia su Roma. Durante l'incontro tra i due futuri dittatori si sviluppò una sintonia sui temi della lotta al marxismo e al liberalismo. Ma sulla questione degli ebrei e dell'Alto Adige tra i due non vi fu alcuna intesa. Proprio la politica razziale sarà in seguito un elemento di forte divisione tra il capo delle camicie nere e quello delle camicie brune. Prima della svolta antisemita del fascismo nel 1938 la politica razziale del regime fu un coacervo di contraddizioni. Indro Montanelli, che nel 1934 scrisse un articolo antirazzista sulla rivista L'Universale - è solo un sintomatico esempio -, venne convocato a Palazzo Venezia e si meritò un inaspettato elogio. «Bravo! Il razzismo è roba da biondi», gli disse il duce soddisfatto. Lo stesso Mussolini, nel medesimo anno, pubblicò un duro attacco al razzismo tedesco «così carico di bellicosità appiccicaticce». A partire però dalla conquista dell'Etiopia e dalla costituzione dell'Impero, prenderà le mosse il processo che porterà Mussolini alla politica razziale. Una scelta fatta a tavolino - sottolinea Andriola - e di tipo pragmatico per affermare l'autorità italiana sui territori conquistati e per evitare indesiderate commistioni con le popolazioni locali. Anche sul piano personale ia comprensione tra Hitler e Mussolini non sarà certo profonda: «Tragico buffone», «Megalomane» sono gli epiteti che più ricorrono nell'eloquio del dittatore per definire l'alleato con la svastica. «Con gli occhi stralunati, con violente scosse della testa che facevano prendere delle comiche posizioni al suo irrequieto ciuffo - così Mussolini descrive Hitler nei mesi della Rsi - e con un'instancabile ginnastica delle sue mani da giocoliere, nella foga della sua esposizione, faceva una gran confusione». E' poi ben noto che quando, dopo il colpo di Stato del 25 luglio 1943, sarà l'ufficiale delle SS Otto Skorzeny a prelevarlo per condurlo in Germania, Mussolini confiderà al maresciallo Osvaldo Antichi che avrebbe voluto essere liberato dagli italiani. Il 18 aprile 1945, dieci giorni prima della morte e una settimana prima dell'insurrezione partigiana, Mussolini, sorvegliato speciale dell'esercito delle aquile imperiali, a Milano chiedeva al Capo della Provincia Mario Bassi di far allontanare tutti i tedeschi presenti perché «gli era fisicamente insopportabile vederseli intorno». Mirella Serri Per Fabio Andriola il «nazifascismo» è un'invenzione degli studiosi di sinistra. Patto d'acciaio e alleanza bellica furono solo scelte tattiche La parata in onore di Mussolini a Berlino nel settembre del '38