«Una bomba fece esplodere l'aereo di Enrico Mattei » di Enrico MatteiMarco Sartorelli
«Una bomba fece esplodere l'aereo di Enrico Mattei » «Una bomba fece esplodere l'aereo di Enrico Mattei » TORINO. Il 27 ottobre 1962, alle 17 e 52, il jet Morane Saulnier MS-760 sul quale si trovava Enrico Mattei, presidente dell'Eni, venne sventrato in volo dall'esplosione di una bomba piazzata nell'abitacolo, sopra Bascapè, nel Pavese, ormai in vista della pista di Milano-Linate. E' questa la conclusione della perizia affidata due anni fa dal pubblico ministero di Pavia, Vincenzo Calia, al medico legale Carlo Torre, all'esperto in esplosivi Giovanni Brandimarte, al docente di.aerodinamica Carlo Casaros, all'ingegner Donato Firrao, ordinario di Tecnologia dei materiali metallici al Politecnico di Torino e al capitano Giovanni Delogu dei carabinieri del Centro investigazioni scientifiche di Roma. Ad avvalorare il risultato della perizia contribuisce in modo determinante l'analisi del materiale recuperato dalla salma di Mattei, riesumata nel giugno del '95: sui frammenti estratti dal corpo sono stati trovati «evidenti segni di slittamento multiplo, provocati da onde esplosive». Una tesi inconciliabile con l'ipotesi dello schianto avvenuto al suolo. In altre parole: l'ex fattorino diventato fondatóre e presidente dell'Eni, uomo influente e scomodo per molti, in Italia e all'estero, nel dopoguerra, venne ucciso con una bomba sistemata nel suo bireattore che esplose pochi minuti prima che atterrasse. Non fu, dunque, incidente. Il «caso Mattei» era stato riaperto il 22 maggio '95, quando la procura di Pavia aveva dato l'incarico di aprire la bara del presidente dell'Eni, «per accertare l'eventuale permanenza all'interno della cassa, di tracce di qualsiasi natura riferibili alla modalità di causazione del disastro aereo o comunque rilevanti per le indagini». In sostanza, si cercava una conferma o una smentita alle dichiarazioni rese dal pentito Tommaso Buscetta, che nel suo libro pubblicato nel '94 aveva scritto: «Fu la mafia siciliana a decretare la morte di Enrico Mattei». * Una tesi, quella che don Masino sosteneva sulle pagine di «Addio Cosa Nostra», che si scontrava con quelle dell'incidente, avvalorate in almeno tre occasioni dalla magistratura. A dare ragione al pentito, almeno rispetto alla causa del disastro aereo, sono arrivate le prove di laboratorio effettuate al Politecnico, presso il Centro investigazioni scientifiche dei carabinieri, e quelle ottenute comparandole alle prove di scoppio effettuate durante le perizie per il caso Ustica. Dopo la «ricostruzione» della salma di Mattei - nella cassa che conteneva i resti del fondatore dell'Eni è stata recuperata addirittura l'anca del pilota americano William Mac Hale - i resti sono stati passati all'esame per individuare eventuali parti metalliche. Non è possibile, infatti, fare l'analisi chimica per accertare la presenza e il tipo di esplosivo: le microparticelle sfuggono alla «cattura» perché, ad esempio, nitrati e solfuri possono avere avuto una traiettoria che non ha colpito i reperti; perché possono essere stati schermati da altri oggetti; distrutti (per incendio, agenti atmosferici o decomposizione chimica), e perché le tracce dell'esplosivo hanno composizione chimica indistinguibile dal comune inquinamento. Diverso il caso del metallo, che può conservare anche per un secolo le tracce di un'esplosione. Una pista, questa, che ha voluto seguire con tenacia il pm di Pavia, quando ha ordinato la riesumazione dei resti di Mattei. I periti hanno potuto esaminare e confrontare per due anni, oltre ad alcuni frammenti metallici estratti dal corpo del presidente dell'Eni, pochi oggetti personali: un anello spezzato, un orologio privo di cassa e una borsa. All'analisi del microscopio a scansione elettronica sono stati quindi sottoposti una parte di vite, un minuscolo pezzo di lamiera e un frammento metallico, individuati durante esami specifici, perché risultati radio-opachi, cioè metallici. Solo dopo centinaia di fotografie e di comparazioni tra questi minuscoli fram¬ menti, si è arrivati alla conclusione racchiusa nelle ultime pagine della perizia consegnata al pm Vincenzo Calia: la sezione dei metani ha inequivocabili segni prodotti da un'esplosione. Un'altra conferma alla tesi dell'esplosione di una bomba sul jet viene dall'analisi di tre viti in acciaio di uno strumento di bordo, il misuratore di pressione: su quanto è restato delle viti, i ^no stati individuati segni partic iari di defoimazione a livello -ristallino. Deformazione che solo un'esplosione può aver causato. Marco Sartorelli Individuati residui metallici compatibili soltanto con lo scoppio di un ordigno Il presidente dell'Eni, Mattei, morto 35 anni fa in circostanze misteriose
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