«La mia sposa al debutto»

«La mia sposa al debutto» «La mia sposa al debutto» Mia Mostra Sergio Rubini guida la carica dei registi 40enni VENEZIA DAL NOSTRO INVIATO E' la Mostra dei quarantenni italiani, questa: per la prima volta alla ribalta arriva infatti la generazione che sta tra i 35 e i 45 anni, non più relegata solo nelle sezioni laterali, ma sparsa ovunque e presentissima in concorso. Sono quarantenni i registi dei tre film italiani della sezione principale: Giuseppe Gaudino di «Giro di lune tra terra e mare», Paolo Virzì di «Ovosodo», il gruppone napoletano de «I Vesuviani», Pappi Corsicato, Antonio Capuano, Antonietta De Lillo, Stefano Incerti, Mario Martone. E quarant'anni, poco o più o poco meno, hanno anche Angelo Pasquini di «Santo Stefano», Francesca D'Aloja, Paolo Echaurren e Valerio Fioravanti di «Piccoli ergastoli», Renzo Martinelli di «Porzus», Sergio Rossi di «La medaglia», Roberta Torre di «Tano da morire». Mentre solo 37 anni ha Sergio Rubini invitato da Laudadio con «Il viaggio della sposa», interpretato da lui stesso e da Giovanna Mezzogiorno, a inaugurare la partecipazione italiana alla Mostra. «Un'occasione», confessa Rubini, «che al principio m'è parsa solo lusinghiera, ma che adesso vivo anche con paura». Attore di professione, arrivato alla popolarità con «Intervista di Fellini» e confermato strepitoso interprete con «Nirvana» di Salvatores, oggi al lavoro sul set del mega-film televisivo «Il conte di Montecristo» a fianco di Gerard Depardieu, ma subito dopo protagonista di «L'albero delle pere» di Francesca Archibugi con Valeria Golino e di «Il perduto amore» di Michele Placido con Giovanna Mezzogiorno, Rubini a Venezia era già approdato con «La stazione», il suo primo fimi da regista. Anzi, probilmente, senza «La stazione», girato in coppia con Margherita Buy, adesso non sarebbe qua. A che si deve, Rubini, quest'anno la carica dei quaratenni su Venezia? «Il merito è della direzione di Felice Laudadio. Perché è un direttore più giovane di quelli che l'hanno preceduto, perché è uno che ha dimestichezza con l'organizzzione dei festival, ma anche perché nel suo sguardo lungo brilla una scintilla da mercante». E' una virtù o un vizio, questo? «Per me è una virtù, perché i giovani vanno al cinema a vedere i film dei giovani e ostinarsi a fare un festival solo di grandi maestri vuol dire ignorare il mercato». Ma c'è anche un'altra ragione, dietro questa scelta. Sergio Rubini, infatti, è convinto che la sua generazione, i quarantenni, con i piedi ancora dentro quel pezzo di storia che va dal '68 al '77, possano dare il meglio di sé solo adesso che cominciano a non sentirsi più figli. «A differenza di quelli che la guerra aveva fatto crescere in fretta, Rossellini, Rosi, Visconti, Fellini, lo stesso De Sica, noi solo adesso cominciamo ad essere pronti per le nostre opere migliori. I maestri del passato hanno raggiunto subito la loro piena creatività, noi dobbiamo ancora maturare tant'è che io continuo a pensare che il mio film più vero lo debba ancora fare». L'unica obiezione che Sergio Rubini muove a questa Mostra è quella di esser stata costretta a ignorare il cinema dei ventenni perché non c'è nessun produttore in Italia che voglia rischiare i suoi soldi puntando sui giovanissimi. «Una scemenza, visto che all'estero lo fanno e che la musica ormai è tutta dalla loro parte. Perché saranno pure superficiali, questi ragazzetti, meno ideologizzati e più scioccherelli di noi, ma loro sentono lo spirito dei tempi e lo possono sondare. Noi ormai possiamo solo giudicare: e giudicare non è condividere». [si. ro.] Sergio Rubini

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