La Francia moderna? Una creazione italiana di Aldo Cazzullo

La Francia moderna? Una creazione italiana li caso. Parigi, un libro sull'epopea dei nostri connazionali tra la fine del '400 e il Re Sole La Francia moderna? Una creazione italiana IPARIGI IONE è piena di finanzieri italiani; Parigi, pure. ——iLe fattorie e le rendite di tutti i vescovi e di tutte le abbazie sono nelle mani degli italiani, che succhiano il sangue e il midollo del povero popolo francese. Chi inventò le gabelle e le imposte che scorticano il povero popolo? Gli italofrancesi. Chi furono i consiglieri delle guerre e i promotori di tante infamie? Gli italo-francesi». Siamo nel 1575. Francois Hotman, storico e giurista, uno degli spiriti più brillanti del Rinascimento francese, esprime così, con un tocco di xenofobia, il lamento di una nazione vassallo. Ma come? Da quasi un secolo le armate di Carlo VTn, Luigi XII, Francesco I corrono le campagne d'Italia, nel vano sogno di conquistarla, e Oltralpe ci si lamenta degli italiani usurpatori? Eppure qualche ragione c'è. Alla testa dei gruppi dirigenti della nascente potenza francese ci sono italiani, o almeno quelli che Hotman chiama «italogalli» e gli storici moderni italo-francesi. Al di là dell'influenza delle personalità più conosciute - dagli intrighi di Caterina de' Medici, vedova consolabile di Enrico II e madre-padrona di tre re, di Maria de' Medici, reggente del regno dopo la morte del marito Enrico IV, di Concini, il suo Rasputin di corte, fino al genio e all'accortezza di Mazzarino -, al di là del prestigio e dell'importanza nel futuro sviluppo delle arti di personaggi come Leonardo e Rosso Fiorentino, furono i mercanti genovesi, i banchieri lombardi, i finanzieri veneziani, i cardinali piemontesi, i condottieri milanesi, i burocrati napoletani a fare la Francia. E' la tesi che JeanMarie Dubost, docente di storia moderna all'Università di Caen, sostiene nel suo saggio La France italienne, appena pubblicato da Aubier. Seicento pagine dedicate ai due secoli e mezzo, tra la fine del '400 e l'avvento del Re Sole, in cui lo Stato francese nasce e mette radici grazie anche alla «prima grande immigrazione dopo il Medioevo», cioè l'arrivo degù italiani. I più venivano da Firenze, Lucca, Milano e dal Piemonte. Fuggivano persecuzioni politiche, faide familiari, ostracismi religiosi; molti arrivarono al seguito dello sconfitto Francesco I, di cui avevano abbracciato la causa contro Carlo V. In cosa eccellevano? Innanzitutto, nel fare quattrini. Leggendaria la fortuna accumulata dai favoriti di Maria de' Medici. Albert de Gondi, giunto in Francia senza un soldo, lasciò ai suoi eredi quasi cinque milioni di franchi, il triplo dell'intrigante Concino Concini, e, a differenza sua, scampò alle sanguinose vendette di corte. Quanto a Concini, autentico reggente-ombra grazie all'influenza che la moglie Maria, astrologa e veggente, esercitava su Maria de' Medici, fu ucciso per ordine di Luigi Xin e il popolino infierì sul suo cadavere. Altra arte in cui gli italiani si distinguevano, a dispetto di un luogo comune maturato più tardi, era quella della guerra. L'aretino Giuseppe Gamurrini, grazie agli intrighi del suo protettore, l'arciprete della collegiale di Parigi Baldassarre Nardi, si vede affidare il comando dell'esercito di Luigi XIII nelle spedizioni contro gli ugonotti del Midi. E per l'assedio di La Rochelle Richelieu si rivolge a un altro italiano, Pompeo Targone, mentre l'artiglieria è affidata al milanese Apollon Dugnano, e i bastioni si erigono seguendo i dettami del Traité desjbrtifìcations del conte di Pagan, di origine napoletana. Dalla relazione privilegiata tra Francesco I e Leonardo a quella tra Luigi XIV e Lulli, a corte l'arte parla toscano. E dall'influenza di Primaticcio, Rosso e Niccolo dell'Abate nasce la prima scuola di pittura francese moderna, quella di Fontainebleau. Quanto al teatro, era considerata l'arte italiana per eccellenza. Quando, nel 1548, l'arcivescovo Ippolito d'Este accoglie a Lione Enrico II e Caterina, chiama da Ferrara le migliori troupe della commedia dell'arte, con portentose macchine sceniche che incantano i francesi. Ma l'arte in cui gli italiani avevano la migliore reputazione era quella amorosa. Le cortigiane più ricercate di Lione e Parigi venivano d'oltralpe. E a lungo i gentiluomini francesi considerarono il colmo della fortuna trovare una moglie italiana, ricca di malie seduttrici (e di dote). Tanta fortuna, ovviamente, suscitava anche malumore. E odio. La libellistica anti-italiana diviene nel XVI secolo quasi un genere letterario, e Dubost ce ne dà divertenti esempi. «Sodomiti», «atei», «eretici», «accaparratori», «giocatori d'azzardo», «canaglie», «papisti» erano odiati in particolare dai protestanti, che attribuivano il massacro della notte di San Bartolomeo a Caterina de' Medici e al suo seguito di fiorentini. Ma non erano solo potenti, i nostri connazionali emigrati. Nelle pagine di Dubost rivive una folla di commedianti, maestri d'armi, cuochi, pasticcieri (a quelli di Maria de' Medici è attribuita l'invenzione del gelato), ciarlatani, ceramisti, vetrai, tessitori di seta, medici, marinai. Un mondo pittoresco ma non picaresco: lungi dall'essere emarginati economicamente, molti tra i più umili immigrati italiani si inserirono in breve nelle élite finanziarie, grazie ai rapporti con i connazionali, alla conoscenza del loro mestiere e, probabilmente, a quella maggiore apertura nella visione del mondo e nella comprensione delle cose propria dell'uomo rinascimentale. Aldo Cazzullo Da Caterina de'Medici a Leonardo, affaristi, artisti, politici, strateghi e ricche cortigiane La corte di Luigi XIV: anche il Re Sole si circondava di artisti e musicisti italiani, come il fiorentino Lulli