«Un'opportunità pericolosa»

Zecchino: per i collaboratori ci vuole una gestione oculata «Un'opportunità pericolosa» Zecchino: per i collaboratori ci vuole una gestione oculata ROMA. «Siamo arrivati al punto che ormai la voce di un pentito fa da sentenza». Il senatore Ortensio Zecchino, presidente della commissione Giustizia, popolare, si può definire «garantista di centro». H grande ruolo dei pentiti nel processo penale non gli piace granché. Ora la «sua» commissione si accinge a modificare le norme sui collaboratori di giustizia. Quando accenna al «punto dove siamo arrivati» è implicito il giudizio: un punto molto basso. Senatore Zecchino, per arrivare a questa nuova legge ci vorrà molto? «Guardi, io reputo che sia la legge che dovrà avere la priorità. E' la legge più importante tra tutte quelle che sono in esame. Cominciamo il 16 settembre». Ma sarà facile approvare questa legge oppure lei prevede battaglia in Parlamento? «Vede, questa legge si inquadra in una strategia più complessiva sul crinale tra garantismo e efficienza processuale. Già con la modifica del 513 siamo entrati nel vivo del grande tema dei pentiti. E' stata una scelta travagliata, ma importante. E l'abbiamo fatta. Ora affrontiamo il tema in pieno. Ma bisogna rifuggire dall'approccio ideologico: "pentiti sì, pentiti no". Non si può ipotizzare l'abolizione dei pentiti. Ma nemmeno può andare l'andazzo: né per il numero sempre crescente, né per l'affidamento sulla loro sola parola». Anche lei, come il senatore Giovanni Pellegrino, è perplesso sul pentito quando è l'unica fonte di prova in un processo? «Sì. Rileggo spesso un breve articolo scritto dal matematico Figa Talamanca. Illuminante. Talamanca scrive che nelle sue lezioni, per spiegare la differenza tra grandezze euclidee e non euclidee, ricorre proprio all'esempio dei pentiti di mafia. Spiega che non sempre la somma è maggiore dell'entità delle singole unità. Ortensio Zecch no Dieci pentiti non sono nulla. Uno più uno fa sempre uno. Quello che ci vuole è il riscontro esterno». Le prove che spesso non ci sono. «Noi abbiamo concesso, modificando l'articolo 513, una deroga transitoria. Le parole del pentito possono valere purché ci siano "riscontri di altra natura". Questo è il punto vero. Il problema è la qualità dei riscontri, non la quantità. E poi basta: i pentiti non si possono riscontrare e rafforzare tra di loro». . Lei certamente sa, senatore, che c'è una famosa sentenza della Cassazione che dice proprio il contrario. E cioè che le dichiarazioni di più pentiti si sostengono a vicenda. «Come no, conosco bene il problema. Ed è per questo che noi dobbiamo intervenire legislativamente anche sull'articolo 192 del codice di procedura penale. Proprio perché siamo di fronte a una certa giurisprudenza. Perché alla fine, più delle norme, conta come le norme stesse vengono interpretate. Se la giurisprudenza ha fatto delle scivolate...». Scivolate. «La corte di Cassazione per un verso, la Corte Costituzionale per un altro, con il principio della conservazione della prova... e così siamo arrivati dove siamo arrivati. Che la parola del pentito è sentenza. E' una prova su cui si può fondare una sentenza di condanna. E questo non è accettabile». Anche lei, senatore Zecchino, si mette a caccia di pentiti? «Resto convinto che i pentiti sono un'esigenza, una opportunità e anche una necessità. Fare crociate sull'immoraUtà del pentitismo non ha senso. Però i collaboratori di giustizia vanno gestiti con oculatezza. Perché sono un'opportunità pericolosa». [fra. gri.] Ortensio Zecchino

Persone citate: Giovanni Pellegrino, Ortensio Zecch, Ortensio Zecchino, Talamanca

Luoghi citati: Roma