I libertini di Hogarth

Londra festeggia il geniale maestro dell'incisione inglese che nasceva trecento anni fa Londra festeggia il geniale maestro dell'incisione inglese che nasceva trecento anni fa I libertini di Hogarth Un teatrino di vizze psicologie LONDRA L' E uno visita una delle \ più concentrate e stravasi ganti collezioni al mon__^ZJdo, quel Soane's Museum stipato di mille vestigia, traforato di cuspidi, anfratti e false prospettive (pur di contenere in pochi metri cubi una miriade di oggetti e sculture) e non è in qualche modo preavvertito, davvero rischia di perdersela, la celebre serie di olii sulla Carriera di un libertino di Hogarth, poi trasformate nelle popolarissime incisioni moraleggianti, per la gioia d'ispirazione neosettecentesca dell'opera di Stravinskij e del suo librettista Auden. Perché d'abitudine uno deve insistentemente bussare presso una delle sonnolenti «maschere» da casa, che paiono dei serafici domestici, sinché un po' riluttanti si decidano ad aprirti il grande armadio dei tesori. Dove, sfogliando delle ante quasi si trattasse d'un vero guardaroba, invece di marsine e camicie, vengono poco a poco a galla opera di Piranesi, o dell'eccentrico padrone di casa e architetto illuminista Soane, ed infine la strepitosa suite sulla storia romanzata della caduta del Galante Signorino Traviato, appunto di Hogarth. Ora, invece, in occasione del terzo centenario della nascita, il grande maestro e padre dell'incisione inglese, (sia pure sommesso, ingiustamente e non degnamente conosciuto) ha l'onore della prima vetrina di Casa Soane. E anche di tutto un contorno di iniziative, per esempio un gradevole catalogo sul tema del Ubertino in arte, che raccoglie le più diverse scenografie stravinskiane (da Rex Whistler, a Hockney a Immendorf) e indaga l'influenza di quella celebre striscia sul mondo della caricatura. Ma è alla Tate Gallery, soprattutto, con alcune sale a lui rinnovate, ora riscoperte di opere e puliture sorprendenti, che si deve il maggior tributo. A questo pittore precoce delle carnagioni, soprattutto, analista magnifico della fotometria (se cosi può chiamarsi) di questo teatro vizzo delle psicologie, fattesi carne, fisionomia, cascante incarnato. E sempre con questa influenza del teatro, tra Pope e Congrave: come se i suoi personaggi mettessero ogni volta in scena il loro trito spettacolo di rispettabilità sociale e di miseria biologica. L'architetto classicista Irrigo Jones, con quella carnagione leggermente burrosa, rubensiana e quello squillante colpo di foiba del fazzolettone bianco che pare di porcellana, oppure l'Arcivescovo di Canterbury, che certo non gli stava molto simpatico, e ora ci pare imbolsito dalla stessa fonte di luce. Probabilmente non apprezzò quella posa maliziosamente letargica, se l'opera pare oggi bizzosamente non finita, nel fondamentale dettaglio di quella mano sfebbrata e rapace. Del resto, se dovessimo badare alle date, e sposarci una colonna sonora, da quelle bocche melense dovrebbero uscire le pompe ancora barocche dei recitativi di Hasse o di Haendel: invece nei ritratti di semplici damazze o di amici intellettuali (assurti però a dimensione di tela regale) Hogarth è molto più inquieto e moderno, e fa pensare al nostro Pitochetto o a Fra Galgario. Come dimostrano i due amici attori rivali, Quin, bolso eppure resoluto contrapposto a Garrick, scattante e gluckiano, che al tavolino impiallacciato sta ripassando la parte (ma alle spalle sopraggiunge Eva-Maria Veigel, la moglie ballerina viennese, e gli pone protettiva una mano sul capo, proprio come la Musa a Cherubini, nel celebre ritratto di Ingres). E come sono commoventi quei volti spiccati e a collage dei suoi domestici, ognuno con la mozartiana positura del suo ruolo, chi rispondendo a una scampanellata, chi accorrendo con la cioccolatta. E il suo celebre autoritratto lievemente me- tastasiano, impostato, che pare una tela nella tela, sostenuta da tre tomi simbolici (da cui il suo genio): Milton, Swift, Shaskespeare. E la «Linea della Bellezza come Grazia» (naturalmente curva) che attraversa la sua tavolozza quasi un paraffo. Ma la «vita» non sarebbe presente se d'un tratto non s'imponesse anche il suo amato cane Pug: l'imprevisto della scena, il capriccio della verità. Ed è ancora un esuberante alano festoso a rompere l'educata simmetria della conversation piece in giardino di Ashley Cowper, l'amico aristocratico che conduceva l'esistenza comme un'Egloga di Virgilio. Mentre un odore sano di vita, di polvere e di strada spira ormai intorno al rapido schizzo della Venditrice di Scampi, che pare già un Gainsbourough. Gli «affronti» di Beaumarchais non sono lontani. Marco Vallora Milton, Swift e Shakespeare furono i simbolici ispiratori di questo straordinario artista capace di ritrarre attraverso la satira le trasformazioni introdotte nella società dalla modernità settecentesca m - w Un nudo d'atleta di Mastroianni che raffigura il mito Po William Hogarth, «Il pittore e il suo Pug», delizioso autoritratto del 1745 tornato alla luce alla Tate Gallery di Londra Un nudo d'atleta di Mastroianni che raffigura il mito Po

Luoghi citati: Immendorf, Londra