Ceronetti, affettuoso esorcismo in abbazia di Giorgio Calcagno
Ceronetti, affettuoso esorcismo in abbazia Nell'eremo marchigiano di Montebello lo scrittore ha festeggiato con i suoi amici il settantesimo compleanno Ceronetti, affettuoso esorcismo in abbazia Fra letture e cibi vegetariani, la comunione del «buon pazzerello» EMONASTERO DI MONTEBELLO (Pesaro) ER trovare Guido Ceronetti bisogna passare accanto a Montesterpeti, seguire le tracce verso Fosso del Lupo. I nomi, da gironi danteschi, li deve avere dati lui. Ma, invece che a Malebolge, la strada approda al monastero di Montebello, l'inferno gli si deve essere rovesciato inavvertitamente in cielo. E cielo è, quassù, sull'alto della collina marchigiana, dominante il bel Montefeltro, dove un gruppo di amici si è riunito per festeggiare i 70 anni dello scrittore. Festeggiare veramente è un verbo che all'autore della Pazienza dell'arrostito non si addice troppo. E infatti chi ha organizzato l'incontro non ha scritto, negli inviti, la parola «festa» ma, molto più ceronettianamente, «un affettuoso esorcismo per affrontare il peggio». Anche il luogo è molto ceronettiano: un'abbazia fondata nel 1380 dal beato Pietro Gambacorta - nome che allo scrittore deve piacere moltissimo - dove si sono succeduti nei secoli 139 abati. Il 140° è Gino Girolomoni, un laico approdato quassù trent'anni fa per fon- dare una fraternità agricola e che anziché chiamare tecnici e agronomi si è voluto circondare di esseri pensanti: fra i primi, e più fedeli, Guido Ceronetti e Sergio Quinzio. Al festeggiato - o meglio al destinatario dell'esorcismo - Girolomoni ha voluto offrire un regalo speciale: una monografìa sulla sua opera, scritta da un giovane ricercatore, Giovarmi Marinangeli, che ai testi di Ceronetti e su Ceronetti ha dedicato dieci anni della sua vita. Nulla di futilmente gratulatorio, in questo omaggio, dove lo scrittore viene presentato come il filosofo del nostro buio, il disincantato cantore dell'uomo, «epicentro del male». Ma anche come il solo profeta del nostro tempo: «Il veggente di Cetona», annuncia il titolo, piuttosto impegnativo. Ceronetti non rifiuta la parola «veggente», anche se si preoccupa di delimitarne il significato. «Per essere veggente basta poco, basta guardarsi intorno. Non è che io vada tanto più in là». Il fatto è che «la gente della strada - come egli ricorda citando il suo Kavafis - non sente nulla». Ma il ritratto del filosofo apocalittico, che vede il male al centro di tutto, egli avverte, è solo una parte di se stesso. «In realtà - dice - io ho lavorato tutta la vita il verso. E' il meglio di me. E poi sono uno scrittore satirico. E umorista. Anche se un umorista nero, cosa che in Italia funziona male». Soprattutto, vuole essere conosciuto come l'uomo di teatro, che affida la sua parola ai burattini. Anziché dei suoi libri, preferisce parlare dello spettacolo Il visibile è in mezzo a noi, che debutterà domani al Meeting di Rimini e porterà poi in tournée per l'Italia e la Svizzera. E subito, con un'attrice dei suoi SensibUi, Paola Roman, dà inizio a un piccolo show, alternandosi a lei nella lettura dei suoi Deliri disarmati. Il buio evocato da tante pagine terribili si rovescia qui nello scherzo, esplode nella risata, su un sottofondo di feroce denuncia. Il clou di questo esorcismo è il pranzo vegetariano nella locanda Alce Nero, con il menù presumibilmente imposto dallo scrittore. Vegetariano per tutti, ma per lui più vegetariano ancora, se possibile. Ceronetti non si limita a cercare in cucina il solo piatto per sé, con pomodori e insalata, ma fa dell'incontro conviviale un'occasione di proselitismo. Si improvvisa servitore dei suoi ospiti, porta il pane integrale, lo spezza gruppo per gruppo, quasi a dare loro la comunione; gira con i piatti di Triticum spelta (il farro) e lo sformato di panicum (il miglio) da distribuire per i tavoli, sfidando tanti di quegli occhi ai quali sarà negata finalmente la bistecca. E poi scompare, da una porta segreta, lasciando gli altri alle prese con le tagliatelle alle zucchine. Nel libro di Marinangeli sono state raccolte 200 definizioni sul personaggio. Lui, per sé, sceglie la duecentounesima, tratta da Francois Villon. «Vorrei mettere come epitaffio: un bon folàtre», un buon pazzerello. Come si scrive? Se fosse francese moderno, potrebbe anche essere «faut l'atre», ci vuole il focolare. Ma è francese antico, ci corregge Ceronetti, Villon scrive «un bon follastre». Che può diventare «folle astre», il folle astro. E questo gli piace molto di più. Giorgio Calcagno In un libro-omaggio le 200 definizioni del personaggio i o l l a ° - Nell'eremo mCeFra leIn un libro-omaggio le 200 definizioni del personaggio
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