Ma Tietmeyer finora ha scelto la prudenza di Alfredo Recanatesi

F OLTRE LA LIRA Ma Tietmeyer finora ha scelto la prudenza ALIBRATI accenni, allusioni, annunci indiretti e sfumati. Le banche centrali hanno intavolato un delicatissimo gioco con i mercati: stanno tentando di condizionarne i comportamenti senza ricorrere alla più collaudata e classica arma della manovra dei tassi di interesse. E' una sorta di terapia preventiva in luogo di quella curativa la quale ha sempre la controindicazione di un freno alla crescita economica e, quindi, di una dispersione del potenziale di sviluppo. Negli anni che stiamo vivendo questa dispersione sarebbe particolarmente pesante non solo e non tanto per le reazioni che susciterebbe in assetti sociali già fortemente penalizzati dalle politiche di contenimento della spesa pubblica che tutti i maggiori Paesi hanno dovuto adottare, ma soprattutto perché, a maggior ragione, nessun margine si offre alla possibilità che la domanda pubblica possa essere usata per compensare, o almeno lenire, gli effetti restrittivi di politiche monetarie più severe. In altre parole, sarebbe certamente dura, ed anche rischiosa, la prova alla quale sarebbero sottoposti gli assetti politici, sociali, economici nel caso che agli effetti già fortemente restrittivi delle politiche di bilancio se ne aggiungessero di altrettanto restrittivi ad opera delle politiche monetarie. E' una situazione nuova, questa, che va inducendo nelle autorità monetarie di tutti i Paesi una maggiore attenzione per gli effetti che le loro decisioni possono determinare sull'economia produttiva, sul ritmo di sviluppo, sull'occupazione. Questi effetti finali di indirizzo dell'evoluzione economica sono sempre stati la risultante della combinazione delle loro azioni di politica monetaria con quelle che potevano svolgere i governi attraverso le politiche di bilancio. Ora, invece, con i governi che sotto questo profilo è come se avessero le ma ni legate dietro la schiena dai vincoli imposti dall'unione monetaria, sull'azione delle banche centrali grava pressoché intera la responsabilità di conciliare, al meno nel breve periodo, la difesa della stabilità monetaria con la crescita dell'attività produttiva e del reddito. In altri tempi la Bun densbank, di fronte ad una combinazione di marco debole e di aumento dell'inflazione, non avrebbe esitato ad innalzare ogni tasso del suo armamentario di intervento; questa volta, pur dando deliberatamente l'impres sione di essere sempre sul punto di farlo, non l'ha ancora fatto. La maggiore attenzione che le banche centrali, a cominciare da quella tedesca, vanno manifestando per le conseguenze che la loro azione può produrre sull'economia reale è molto simile a quella che ha sempre costituito un elemento distintivo della Banca d'Italia. Fin dalla riforma del '36, al tempo di Bonaldo Stringher, la Banca d'Italia si è distinta per una condotta formu lata e decisa su un complesso di I variabili e di indicatori ampio al 1 punto da essere considerato, al meno dai custodi dell'ortodossia monetaria, improprio, spesso prevaricante, talvolta permissivo. Veniva criticata per mescolare considerazioni ed obiettivi di politica economica o tout cour politici - o almeno ritenuti tali con quelli strettamente tecnici che attengono al suo mandato di custode della stabilità monetaria. La circostanza poi che l'Italia fosse monetariamente assai instabile concorreva a dar forza a queste critiche. L'assunto della Banca d'Italia che poi è diventato quello della sua specifica scuola - era invece di considerare il più ampio spettro delle conseguenze del suo operato al fine di evitare che effetti indiretti o ritardati non finissero per compromettere il raggiungimento degli obiettivi di ordine monetario, valutario e creditizio che era suo compito perseguire. E' questo il motivo funzionale per il quale si è dotata nel tempo di un ufficio studi i cui economisti, per numero e spessore professionale, non hanno uguali in nessun'altra banca centrale. E' significativo, e certamente positivo, che questa concezione del fare banca centrale ora si vada estendendo in Europa. Il processo di globalizzazione, insieme all'impegno per l'integrazione monetaria, ha attenuato le diversità tra i diversi Paesi facendo emergere, dove più, dove meno, problemi che si ritenevano peculiari dell'Italia e che erano e sono alla base di quel peculiare modo di fare banca centrale in Italia: tensione sui dènti pubblici, disoccupazione, dualismo economico, precarietà degli assetti politici; problemi, questi ed altri, che non possono essere estranei alla gestione della politica monetaria perché condizionano la reattività dei sistemi agli stimoli ed ai freni di politica monetaria che possono esservi immessi. Non permissività, quindi, come già da qualche parte si imputa alla Bundesbank così come veniva imputata alla Banca d'Italia quando veniva presa nella morsa tra debolezza della moneta e stagnazione economica. Al contrario, e al di là di una apparenza superficiale, si tratta di far banca centrale in un modo più evoluto, più sofisticato e, in definitiva, più efficiente. Buona, anzi ottima premessa in vista della costituzione di una banca centrale europea la cui complessità di conduzione, al di là di ogni semplificazione che possa essere fatta con l'introduzione di parametri per così dire «oggettivi», sarà certamente più determinante di quella di ogni attuale banca centrale nazionale. Alfredo Recanatesi

Persone citate: Bonaldo Stringher, Tietmeyer

Luoghi citati: Europa, Italia