LA NUDITÀ PAVESE E LA MORTE LETTERE INEDITE DI ALTHUSSER di Angelo D' Orsi

IL CONSIGLIO IL CONSIGLIO di Angelo d' Orsi DURA da qualche tempo la ripresa d'interesse per Carlo Levi, che ci ha regalato il più bel romanzo sul Sud. Ma la produzione scritta di Levi va ben oltre il celeberrimo Cristo si è fermato ad Eboli. Un esempio degno di nota e di maggiore «attualità» politica è L'Orologio (nei «Tascabili Einaudi» a L. 12.000). Pubblicato nel 1950, questo romanzo «politico» di un uomo che coltivò sempre una forte passione per l'azione, nella lotta contro il fascismo, prima, per una democrazia autentica, poi, esprime con lucidità il diffuso smarrimento, la profonda delusione per l'esito fallimentare del «Vento del Nord». Il racconto è ambientato nella Roma della politica di professione, la Roma dei rinati partiti, e, soprattutto, la Roma degli immarcescibili ministeri. Una sua lettura, a chi lo ha dimenticato, o a chi non "ha mai preso in mano, oggi, può essere un buon consiglio. Sussidio assai utile in proposito è il volume collettivo, curato da Gigliola De Donato, L'Orologio di Cario Levi e la crisi della Repubblica (Piero Lacaita, pp. 211, L. 20.000), che sviscera, nei numerosi contributi di testimoni e studiosi - da Muscetta a Foa, da Claudio Pavone a Giulio Ferroni - tutti gli aspetti, le implicazioni e il destino di questo libro che si rivela come un piccolo classico utile a farci capire molti dei misteri e delle vicende d'Italia. eliografia del Paese. Mancano quindi alcuni dei principali avvenimenti di quegli anni: l'assassinio di Gentile, il discorso al Lirico di Milano, la creazione di un giornale «d'opposizione» {L'Italia del Popolo) diretto da un vecchio crociano, Edmondo Cione. Manca soprattutto l'epilogo, vale a dire la storia degli eventi che si conclusero con la morte di Mussolini e quell'indagine sul carteggio con Churchill che dovette rappresentare uno dei maggiori interessi di De Febee negli ultimi mesi della sua vita. Ma la nostalgia per l'opera incompiuta è in realtà fuori luogo. Non credo che Renzo De Febee, anche se fosse vissuta-più a lungo, avrebbe mai terminato il suo lavoro. Per due ragioni. In primo luogo perché questa, a dispetto deUa definizione corrente, non è una biografia. L'autore è incapace di sottoporsi alla disciplina che il genere comporta. Comincia a parlare del suo protagonista in un particolare momento storico - qui, ad esempio, la liberazione, l'insediamento a Gargnano, il grande congresso fascista di Verona, il processo di Castelvecchio, la prospettiva di un'Assemblea costituente, il tentativo di sostituire Pavolini e Buffarmi Guidi con elementi più moderati -, ma nel giro di qualche pagina il fiume rompe gli arguii o dilaga sino a diventare un grande delta composto da uno straordinario numero di ramificazioni, anse, stagni e paludi. La sua costruzione storiografica non è mai rettilinea. E' un grande domino in cui ogni pedina chiama un'altra pedina. Il contratto editoriale con Einaudi prevedeva che egli scrivesse, dopo il completamento dell'opera, una grande sintesi, simile a quella che Rosario Romeo pubblicò presso Laterza dopo la fine della sua bio¬ grafia di Cavour. Ma De Felice, probabilmente, non sarebbe mai riuscito a rispettare l'impegno. Nonostante la promessa ironica che egli fece a Pasquale Chessa quando scrissero insieme Rosso e Nero («meno male che il prossimo volume della biografia di Mussolini è anche l'ultimo»), avrebbe ricominciato un nuovo domino, diverso dal primo e altrettanto affascinante. La seconda ragione, strettamente legata alla prima, è il particolare rapporto di De Febee con il «documento». A differenza degb storici concettuab, per i quab la verità è nelle idee o nelle tendenze di fondo, era davvero convinto che la sua verità fosse nascosta negli archivi. Non poteva terminare l'opera perché era continuamente alla ricerca di altre fonti e perché ciascuna di esse, non appena lui riusciva a impadronirsene, lo costringeva a rompere gb argini. Questo atteggiamento ebbe un'influenza decisiva sulla sua scrittura. Anziché guardare le cose dall'alto per scoprire le linee essenziale di una vicenda, stava nel mezzo degb avvenimenti e cercava di tenere in mano contemporanemente il maggior numero possibile di fib conduttori. La pagina di De Febee è generalmente una lunga sequenza di incisi, subordinate, parentesi, richiami, riferimenti, divagazioni. Ogni periodo contiene, insieme al fatto, una larga gamma di interpretazioni, motivazioni, attenuazioni. Se avesse potuto sarebbe andato «a capo» soltanto nei casi in cui la storia stessa divide i fatti con una precisa cesura. Costretto a permettere che il lettore, ogni tanto, tiri un respiro, De Febee mette nelle note a pie di pagina tutto ciò che non è riuscito a stipare nel testo. Lette insieme le note L ultimo volume di una grande opera incompiuta, la ricerca interminalnle di verità sepolte negli archivi dei suoi libri compongono una seconda opera e hanno la funzione degb scudieri nelle guerre antiche. Mentre il cavabere si batte contro i suoi avversari lo scudiero gb porta le armi e bquida di passaggio qualche nemico secondario. Il lettore avrà capito, a questo punto, perché sia impossibile, in una breve recensione, riportare il delta negb argini del fiume e trarre daU'ùltimo volume della biografia qualche indicazione generale. Mi limiterò a suggerire due temi su cui probabilmente si continuerà a discutere per un pezzo. Il primo concerne la Resistenza. Conoscevamo le idee di De Febee e la sua convinzione che la guerra partigiana non fu un movimento popolare di massa. Qui l'autore si spinge più in là fornendo interessanti notizie e considerazioni sulla parte degb ufficiab di complemento neU'organizzazione deUe prime bande, sui rapporti delle formazioni partigiane con la popolazione civile e con gb aUeati, sul modo in cui il partito d'Azione e il partito comunista cercarono di orientare il movimento verso i loro obiettivi pobtici. Sono particolarmente importanti, e inevitabilmente controverse, le pagine in cui De Febee descrive la «filosofia» resistenziale di Ferruccio Pani e sostiene che questi, in sintonia con i comunisti, concepì la Resistenza come «il fatto rivoluzionario deUa storia dell'Itaba unita». Il secondo aspetto del libro di cui si discuterà a lungo concerne il protagonista dell'opera. Il personaggio che emerge da questo volume suscita una certa pietà e assume lineamenti alquanto diversi da quelh del suo ritratto più tradizionale. Mussolini sa che la sua vita pobtica è virtualmente finita. Ha accettato di tornare al potere per Il cadavere di Mussolini a Piazzale Loreto (da «Salò», a cura di M. Cervi, Rizzoli) evitare che l'Itaba venga trattata come la Polonia, ma non si fa alcuna Ulusione sulla libertà di movimento che i tedeschi sono pronti a concedergb. Vorrebbe un'assemblea costituente per disegnare l'architettura del nuovo Stato, ma si scontra con la resistenza di Pavolini e deUa componente più radicale del partito. Vorrebbe rafforzare il governo e ricostruire le forze armate, ma si accorge rapidamente che i tedeschi non hanno alcuna intenzione di contrarre debiti con un abeato da cui si considerano traditi. L'unico tema che sembra risvegbare i suoi «spiriti animah» è quello della «socializzazione», a cui intende legare il suo nome. Ma l'orchestra di cui ha accettato la direzione è un insieme di strumenti discordanti e stonati in cui i suoni prevalenti sono la rabbia, il fanatismo, la retorica. CoUocato al vertice di questa costruzione precaria Mussolini non può fare altro che recitare dihgentemente, con una sorta di burocratica meticolosità, la parte del leader. De Felice completa il suo ritratto con una annotazione tratta dalle memorie di un diplomatico che lo seguì a Salò. «Nella squallida cornice della Villa Feltrinelli... - scrisse Luigi Bolla - egli seguiva al rallentatore la falsariga dei vecchi tempi, una routine da funzionario in attesa di pratiche da smaltire e larghe ore morte, quasi la parodia di se stesso». Otto Skorzeny lo aveva liberato dal Gran Sasso per imprigionarlo in un dramma di cui la storia aveva già scritto la fine. Forse la sua vera liberazione t'u a Giulino di Mezzegra il 28 aprile 1945. Sergio Romano LA NUDITÀ, PAVESE E LA MORTE: LETTERE INEDITE DI ALTHUSSER LETTERE INEDITE di Louis Althusser L'Infini n. 58, estate '97 Gallimard 86 franchi PARIGI INEDITE di Louis Althusser L'Infini n. 58, estate '97 Gallimard 86 franchi RANCA morì a Parigi nella primavera del 1981, senza aver potuto rivedere Althusser, che era rinchiuso a Saint-Anne in seguito aU'uccisione deUa mogbe Hélène nel novembre del 1980. Insegnante di filosofia, Franca era di Bertinoro (Forb). Traduttrice di Claude Lévi-Strauss e poi dello stesso Althusser, ebbe con lui una lunga relazione, innestatasi sul finire di quella, molto intensa, che il filosofo aveva intrattenuto dal 1955 con la svizzera Claire. Di entrambe le donne, egb scrisse «eccezionali di bellezza e d'anima» IL'avenir dure longtemps). Franca e Althusser si scambiarono centinaia di lettere. Migliaia di pagine che Althusser aveva ritenuto pubblicabili, postume, e che usciranno in volume a fine 1998 dalle edizioni Stock. La rivista «L'Infini», diretta da Philippe Sollers, anticipa ora un gruppo di queste lettere, inserendole in un numero dedicato al corpo. Forse per la «fisicità» dei messaggi che contengono? Certo, Althusser vi parla molto di nudità. Nudità corporea, ma che significa quella dell'anima. Il lunedì 15 ottobre 1962, la loro relazione si sta avviando, egb invita l'amica a spogliarsi dai vecchi abiti, senza preoccuparsi del giudizio di chi la circonda, del loro sguardo lubrico. «D fatto è che stai crescendo» le scrive, «bisogna cercarti un abito nuovo che sia di misura per te, è vero, per un quarto d'ora dovrai stare nuda, fremerai, non fa caldo, lo so, e non è sempre divertente mostrare così agb altri la forma del proprio culo e del sesso, ma non preoccuparti, siamo fatti tutti allo stesso modo, solo che gb altri non si svestono mai! e allora vivono convinti (come Mauriac giovane) di non avere il sedere... Ma abbi solo un po' di pazienza, se adesso hai freddo, vedrai che non lo avrai mai più, vedrai come sarai bella, e 'sti sporcaccioni che ti spiano e ridono come se vedessero una donna nuda per la prima volta, hanno solo da star zitti, stai tranquilla che una donna beba come te nuda non la vedranno di nuovo tanto presto». L'abito vecchio è quello della falsità e dell'ipocrisia. Quello nuovo è la verità, il solo abito «che può sostenere tutti gb sguardi, perché è in grado di sostenere il proprio, cosa di cui voi tutti siete incapaci» scrive Althusser, come rivolgendosi d'un tratto agb sporcaccioni di cui parlava poc'anzi, «voi tutti quanti siete, e per furbi che vi crediate». In un'altra lettera, però, il filosofo consiglia all'amica di conservare il vecchio abito. Lo definisce un suggerimento tecnico. «Ti ho più volte detto, scrive, che niente è più vantaggioso di una falsa reputazione per l'esercizio della libertà. I vecchi abiti (la falsa reputazione, in questo caso, nel tuo caso, sono i tuoi abiti vecchi, il tuo vecchio mito, le vecchie idee mitiche che hanno tutti su di te) sono una protezio¬ ne preziosa, sai, protezione contro l'aggressività degli altri. Li disarma, gb altri, il fatto di essere rassicurati dalle vecchie apparenze...». Althusser, poi rivendica il diritto allo sbagbo. «Si sbagba spesso, si sbaglia sempre, e gb sbagb più facib sono quelli che si fanno in nome delle evidenze più ibuminanti. Ma sono sbagb che non vanno rimpianti, perché a) sono la prova più irrefutabile della forza del movilento di libertà acquisita, e b) permettono di misurare la distanza che ci separa dagli altri che sono ancora nella merda». Althusser elabora una tattica dello sbagbo «per depistare l'avversario», incita l'amica a seguire il suo esempio. Alcune lettere sono racconti di sogni, che Althusser scrive a Franca per avere l'occasione di azzardarne un'interpretazione pseudopsicanahtica da offrire a lei indicata come «motore» del sogno. Althusser sogna di desiderare le ceneri di un cedro deUa sua infanzia, ma che non cederà all'interrogatorio degb inquisitori che vogliono estorcergb il sogno. Sotto quello Louis Althusser. La rivista francese «L'Infini» pubblica alcune sue lettere inedite indirizzate a Franca, un suo amore italiano stesso cedro però sogna lei, Franca, che legge la lettera in cui c'è il racconto del sogno. E poi ci sono le lettere di risposta, quelle in cui il filosofo si lascia sollecitare dall'amica. Come quando lei gb chiede di Pavese. «Pavese. Sì, lo conosco. E' stato un momento della mia vita. I mattini, soprattutto, i più atroci. Diceva quello che io volevo dire; e anche, aUo stesso tempo, quello che potevo dire. Ma aveva su di me il vantaggio dipoter dire, quando per me voler dire produceva solo silenzio. Per lo meno, aveva potuto dire... Per me, quello che diceva, era il suicidio. Per me diceva: bisogna andare in fondo alle cose, fare i conti, e tirare ima riga, concludere. Uccidersi. Aveva potuto dirlo, perché l'aveva fatto. Ecco perché la sua voce parlava per la mia». Toccante è la lettera in cui, dopo l'inaspettato successo del libro che l'ha reso famoso, Pour Marx, Althusser confessa a Franca che il ruolo di maìtre-à-penser attribuitogb di colpo dai giovani è per lui pesante da sopportare, un peso quasi insostenibile sotto il quale sente che vaciberà. «C'è in tutto ciò qualcosa d'insensato e di smisurato, che necessita di risorse fisiche e intellettuab che io non ho. Fino a quando potrò farcela?». Gabriella Bosco