Bufera sui manager di Stato di Bruno GianottiFabiano Fabiani

Bufera sui manager di Stato Bufera sui manager di Stato Tanti gli stipendi sopra i300 milioni ROMA Sono d'oro, ma sono soprattutto tanti gh stipendi dei manager delle aziende pubbliche: è il giallo finanziario dell'estate, la caccia al tesoretto altrui, in barba alle regole di Stefano Rodotà, garante della privacy in busta paga. Storia nota, che appassiona tanti italiani salassati dalle vacanze. La rinnova, dopo Milano Finanza, il settimanale II Mondo con tanto di tabelle, ente per ente: dall'Iri alla Telecom, dall'Enel alle Ferrovie. Gente che dimostra di aumentare gli utili (anche se è sempre l'italiano medio a pagare), e gente che gestisce soltanto debiti. Dati e stipendi non sempre aggiornati, perché alcuni si riferiscono al '95 ed a manager usciti dal «giro», altri al '96, altri ancora, è il caso delle Ferrovie, al '93, quando al timone c'era ancora Lorenzo Necci. Situazioni già modificate, sostengono Iri ed Enel, da corposi tagli al settore dirigenziale e dal «dirottamento» delle retribuzioni per altri incarichi, alle casse dell'ente. In testa alle graduatorie più recenti, e si sapeva, c'è Giancarlo Cimoli, arrivato un anno fa dalla chimica a tentare di riordinare treni, ferrovieri e relativi bilanci: impresa immane, da un miliardo l'anno, grosso modo. Ma non è in pole position: lo affiancano Franco Bernabò, arnniiiùstratore delegato Eni (che nel '92 aveva esordito con 410 milioni e l'anno scorso è arrivato a 950, in parallelo con i risultati dell'azienda), e Vito Alfonso Gamberale, amministratore delegato di Tim (970 milioni nel '96). Chissà quanto guadagnerebbe oggi Fabiano Fabiani, amministratore delegato dell'Ili, se fosse ancora al suo posto: nel '95 era già a quota 971 milioni, più del presidente Michele Tedeschi (770), in cima alla lista dei 21 dirigenti retribuiti con oltre 300 milioni, frutto sì della carica, ma anche degli incarichi in società del gruppo. Una pratica frequentissima negli enti pubblici, una tradizione infranta però da Cimeli nelle Fs. Il nuovo anmnnistratore delegato ha introdotto un deterrente al cumulo dei gettoni di presenza: il frutto degli incarichi extra andrà a finire nella cassa comune delle Ferrovie. Anche perché c'era chi, come l'avvocato Mario Cevaro, capo del servizio legale (un esperto), integrava lo stipendio (312 milioni), con pensione (156), redditi da lavoro autonomo (145) e arbitrati vari per i quali trovava evidentemente il tempo nonostante i gravosi impegni. Totale nel '92: oltre 818 milioni di imponibile. E non era un caso-limite: nelle classifiche del Mondo figurano 50 dirigenti Telecom con oltre 300 rnilioni di compensi '96. Compreso ovviamente il direttore generale Tomaso Tommasi di Vignano (788 milioni) e, stranamente, anche il presidente della società Autostrade Giancarlo Elia Valori (415). Ma è l'Enel ad avere più «dirigenti d'oro» a libro paga: a percepire più di 300 rnilioni lordi l'anno, nel '95, erano in 217. In testa, il presidente Alfonso Limbruno (789 milioni), quindi il direttore generale Claudio Poggi (553), il segretario generale Roberto Caravaggi (454). E oggi, secondo Milano Finanza, ramministratore delegato Franco Tato arriva a 700, il doppio del presidente Chicco Testa. Scandaloso? «E' una vergogna tuonano i consumatori del Codacons - si danno soldi a manager di aziende che vanno male come Po¬ ando rcato» aglia ste o Ferrovie». Mentre Cgil, Cisl e Uil, all'unisono, si scagliano contro i dirigenti che gestiscono «servizi di pessima qualità, ma restano inamovibili, mentre chi sbaglia dovrebbe essere cacciato». Dalla parte del privato, Guidalberto Guidi, consigliere incaricato per il Centro studi di Confindustria, non si scandalizza per gh stipendi «ma per il gran numero dei dipendenti». Per Guidi il problema è un altro: «I manager devono guadagnare in proporzione a ciò che fanno e per le responsabilità che hanno, ma devono fare bene le cose per cui vengono pagati». Sorpresi, invece, da sponde opposte, Nerio Nesi, ex presidente Bnl, responsabile economico di Rifondazione, e Pietro Armani, ex vicepresidente Iri, omologo di Nesi in Alleanza nazionale. Secondo Nesi alcune sono retribuzioni eccezionali al confronto del privato, ma nel pubblico non c'è l'insicurezza del posto, mentre dovrebbe funzionare «la stessa clausola contrattuale di presidenti ed amministratori delegati che possono essere licenziati dall'oggi al domani». E Armani fa un paragone: «Se le Ferrovie hanno bilanci in rosso, non è giustificabile avere dirigenti che non migliorano il servizio e percepiscono alti stipendi. E' curioso che ci siano concorrenza sugli stipendi e monopolio nei servizi». Bruno Gianotti Iri e Enel: «Stiamo già tagliando ma dobbiamo stare sul mercato» I sindacati: cacciamo chi sbaglia Franco Tato (sopra) e Giancarlo Cimoli Fabiano Fabiani e (sotto) Franco Bernabò

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