Ridateci la bandiera bianconera. Salvate il Papa dalle kermesse

Ridateci la bandiera bianconera. Salvate il Papa dalle kermesse LETTERE AL GIORNALE Ridateci la bandiera bianconera. Salvate il Papa dalle kermesse Quella maglia inconfondibile Un plauso al signor Marra che nella sua lettera del 21 agosto ha interpretato lo stato d'animo di tutti noi (bianconeri?). Beh sì, i colori sono rimasti quelh, però... Si dice (anche l'Avvocato lo ha dovuto accettare) che non esistono più i giocatori bandiera, e quindi via Baggio, via Vialli, Ravanelli, Vieri. Motivi di bilancio, la sentenza Bosman, il business... Non abbiamo capito ma ci siamo adeguati. Ma la bandiera, almeno quella, ce la dovevate lasciare. E la bandiera è soprattutto la maglia, quel qualche cosa di inconfondibile e di immutabile che nel tempo ci ha distinti, per dire, dal freneticamente mutevole bianconero di un Cesena o di una Udinese. Altrimenti tanto valeva cambiare anche i colori, ritornare magari a quell'incontaminato rosa delle origini, rispolverato nelle celebrazioni del centenario, che almeno offre la garanzia di non poter essere manipolato e cervelloticamente ricombinato da menti diaboliche. Alessandro De Angelis, Firenze Parigi vista da un cattolico praticante Mi spiace guastare il quadretto idilliaco, ma a me (che pure sono giovane - 22 anni - e cattolico praticante) queste kermesse, alle quali il Papa ricorre con sempre maggiore frequenza, proprio non piacciono. Mi sembrano patetici tentativi di risalire la china, correndo dietro alle mode, con atteggiamenti che sono autentiche «captationes benevolentiae». La Chiesa non ha mai avuto bisogno di queste carnevalate (a Parigi ne hanno fatta una analoga anche i gay, più o meno con la stessa partecipazione di folla). I papi, in passato, scrivevano encicliche e facevano discorsi incentrati sulla fede, non sulla sociologia. Parlavano e scrivevano meno, ma a pronosito. La miantità di di¬ scorsi e di documenti dei papi moderni cresce ormai in diretta proporzione alla banalità dei contenuti. Contenuti che si sono ossessivamente ridotti ad un unico oggetto: un umanitarismo assistenziale e solidaristico, tutto terreno, immanente e poco originale. Cose buone, per carità! Ma le dicono anche tanti altri, senza neppure bisogno di credere in Dio. Cosa me ne faccio di una Chiesa che è ormai ridotta ad un ente assistenziale di scarso interesse? A quanto pare non sono l'unico a chiedermelo, se ormai la Chiesa cattolica, battendo tale strada, è una confessione minoritaria, in costante arretramento. Giovanni Garino, Alba (Cn) La Padania, il voto e i rischi di eversione Dove finisce il separatismo e dove comincia il diritto all'autodeterminazione dei popoli? Quando all'interno di una nazione, una regione reclama l'indipendenza con la maggioranza dei suoi abitanti questa può essergli negata dallo Stato centrale, o dal resto della popolazione? Non è questo diniego di per sé una giustificazione morale per combattere per la giusta e santa causa della libertà? Sono interrogativi molto seri e la stupida semplificazione che se ne fa dimostra la solita superficialità ed arroganza del potere in Italia. Se, come appare chiaro da tutti i sondaggi, la cosiddetta Padania non ha al suo interno una maggioranza di, sia pur numerosi, separatisti, qual è il senso di negargli un voto serio? Obbligare chi suona la grancassa ad una consultazione controllata sarebbe il migliore sistema per smontare le velleità indipendentiste togliendo di mezzo ogni giustificazione morale; ma non è questo che interessa, assistiamo al crescendo dei niet e dei diktat. Certamente uno dei risultati più immediati sarà l'aumento dei favorevoli al distacco da Roma; ma ci sono altri e ben più inquietanti risvolti di onesta scelta: rieuardann il rischio di consolidamento di quell'armata brancaleone che è, per ora, il separatismo militante. Forse c'è qualcuno che vuole giocare col separatismo violento per i suoi scopi, per fare cose che normalmente non si possono fare, neppure in Italia. Forse c'è chi sta coltivando Brigate Padane o affini rhp ,-ili rnnspntann in nome dplla solita emergenza, di uscire dalle secche in cui si è messo. Sarebbe la ripetizione di un gioco già riuscito alcuni anni fa, l'eversione è sempre un buon affare per chi la combatte. Chi crede che i «non padani» sarebbero disposti a lottare per obbligare milanesi, veneti & c. a restare attardati c.cm la forza alln steUnnp? E' una questione tutta falsata dalle manovre di un potere che si sente instabile; non esiste, per ora, un vero rischio di secessione, ma, continuando così, sarà proprio il Potere centrale che lo farà crescere; non esiste tra la gente nessuna voglia di obbligare con la forza questa o quella parte dell'Italia a rpstarp sottri il prwprnn di Roma. A meno che i secessionisti non comincino ad essere violenti... Se lo Stato italiano fosse capace di rappresentare i desideri e le aspettative dei suoi cittadini certi personaggi oggi giocherebbero a tresette al bar dello sport; questo nessuno deve dimenticarlo, mai. Roberto Alessi, Grosseto Una ragazza, Priekbe e veri o falsi eroi Sono una studentessa ventenne. Forse per molti «adulti» questo è sinonimo di inesperienza e stupidità, come mi è sembrato di capire dalle risposte alla lettera «la condanna di Priebke vista da un ragazzo». Vorrei soltanto fare una riflessione. Tutti si sentono in dovere di condannare Priebke; è un assassino, e su questo non c'è alcun dubbio. E tutti, per ribadire la sua colpevolezza, adducono insegnamenti morali irreprensibili: che però non possono e non devono valere soltanto per lui. Il signor Colonna dice: «Meglio fare ciò che la coscienza ci detta, pronti ad affrontarne le conseguenze». Ma quali conseguenze affrontarono gli autori dell'attentato ai tedeschi a cui seguì la strage delle Ardeatine? Chi fece quel gesto pensò poi soltanto alla propria vita lasciando che venissero uccisi degli innocenti, piuttosto di costituirsi. Una signora ha citato Salvo D'Acquisto, volendoci dimostrare che la paura di morire non può giustificare certe azioni, visto che c'è addirittura chi si sacrificò per gli altri. E lo ha ribadito lo stesso Colonna, dicendo che molti si lasciarono uccidere e punire piuttosto di diventare assassini. Ma allora continuo a chiedermi: perché chi ha fatto quell'attentato, sapendo che ci sarebbe stata una rappresaglia, ha lasciato morire altra gente e non ha confessato? Vi sembra un gesto da eroi? Non chiedetemi di vedere come eroi coloro che non hanno avuto il coraggio delle proprie azioni. L'attentato, forse, era un atto legittimo per la libertà; non aver tenuto conto che non prendendosene la resnnnsahilit.à si metteva in nerico- lo la vita di innocenti o, peggio, aver deciso di poter sacrificare vite altrui, non è stato né eroismo, né giustizia. Non si può condannare soltanto Priebke. Laura Fenoglio Baldissero Torinese Via Rasella: i resposabili erano molto lontani Certo che la signora Saltuari Dondio è stata imprudente ad accostare Priebke a Salvo D'Acquisto, ma mi sembra un tantino ingenuo non me ne voglia il quasi coetaneo signor Guerraz - stupirsi perché gli autori del fatto di via Rasella non si sono presentati ai tedeschi assumendosene la responsabilità e così forse salvare centinaia di vite umane. Il punto è che, piaccia o no, l'attentato non è stato un atto militare di guerra ma l'esecuzione di un disegno politico ideato a centinaia, se non addirittura a migliaia di chilometri di distanza nella certezza della conseguente rappresaglia finalizzato al raggiungimento di certi obiettivi, pienamente centrati, occorre riconoscere e che la storia si incaricherà di confermare. Infat ti nessuno di buona memoria può smentire che da almeno un mese i muri della città erano tappezzati dagli «ukase» del comando tedesco comminanti rappresaglie in rap porto da 1 a 10 ove gli attentati ai militari tedeschi fossero continuati. Allora se proprio si vuole si può accostare Priebke ai due gappisti ma solo per assolverli tutti perché meri esecutori di ordini piovuti dall'alto, dai veri responsabili. Priebke però ovviamente dovrà rispondere dei 5 civili fucilati in più, ma non si può pretendere che ì gappisti si presentassero ai tedeschi: non ne avevano l'obbligo neppure morale, ad evitare di assu• mersi la responsabilità di fare falli re il piano. P.S. Ad evitare distorte interpre tazioni faccio presente che fra i caduti delle Fosse Ardeatine vi era un mio parente, persona di un certo ri lievo politico della Roma di allora. Luciano Bovio. Cuneo

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