Cusani dal carcere al municipio

Uscito da S. Vittore abbraccia i famigliari. Poi vede il portavoce di Albertini: aiutatemi a recuperare i detenuti Uscito da S. Vittore abbraccia i famigliari. Poi vede il portavoce di Albertini: aiutatemi a recuperare i detenuti Cusani, dal carcere al muaicipio L'exfinanziere in permesso per 48 ore MILANO. «So di carcere», dice. Poi Sergio Cusani si guarda la giacca grigia a quadrettoni, la camicia azzurra senza cravatta fuori dai pantaloni, tenuta informale di chi - come lui - abita in piazza Filangieri 2, carcere di San Vittore, cella al primo raggio, d'angolo. «So di carcere», ripete l'ex finanziere che alle 9 e 15, in mano un sacco di carta, varca al contrario il portone di ferro dietro a San Vittore, lo stesso che aveva attraversato il 13 novembre scorso, detenuto definitivo per l'affaire Eni-Sai, quattro anni da scontare. Quando esce per questo permesso di 48 ore per buona condotta, che lui scandirà come un conto alla rovescia per tutta la giornata, specie ai giornalisti che gli stanno addosso: «E dai, che mancano solo 40 ore...», quando esce nella piazza dove c'è il sole e qualche albero striminzito, Sergio Cusani abbraccia subito i suoi famigliari. Prima Alejandro, sei anni, adottato in Sudamerica che gli corre incontro. Poi Luca, l'altro figlio, al volante della Brava blu di famiglia. Dove accanto al posto di guida siede Maria De Toledo, sua moglie. Ci sono anche le telecamere che ronzano sotto al naso di Cusani, arrivato alla sua terza vita dopo il Movimento Studentesco e l'alta finanza. Adesso il carcere «accanto ai miei fratelli detenuti», come li chiama sempre. «Dal carcere non uscirò mai», è la sua premessa politica. Poi, prima del conto alla rovescia delle ore e dei minuti che mancano al tragitto inverso, spiega: «Il carcere è una seconda pelle che ti si attacca addosso, anche quando avrò finito di scontare la mia pena, continuerò a lavorare per i detenuti». Il sogno è di quelli che affascinano e spaventano allo stesso tempo. Come fare a rompere il muro che divide quelli che stanno dentro dagli altri? Come si fa, dopo che ci hanno tentato in molti, a «reinserire» davvero i detenuti? Sergio Cusani ha una sua idea. L'ha chiamata «Agenzia per la solidarietà». Ci lavora insieme ad altri sei detenuti, tre extracomunitari. Vuole coinvolgere il sindacato, i sindaci, le imprese e la Comunità europea, che potrebbe mettere i fondi. E allora queste 48 ore di Sergio Cusani diventano una corsa contro il tempo. Per far vivere il suo progetto che dovrebbe servire a «creare una cultura alternativa a quella criminale, che però non serve a niente se fuori non c'è lavoro. Voghamo corsi di formazione professionale all'interno del carcere e l'accesso al mondo del lavoro, per quelli che escono e per i loro famigliari». Forse è solo un sogno, il suo. Còme ai tempi di Raul Gardini, quando stava a fianco del «Con¬ tadino» e dava l'assalto al cielo della finanza. Prima di precipitare in carcere, davanti a Di Pietro e al processo televisivo «dove sono stato massacrato», dice con amarezza - prima della condanna, per essere stato l'uomo delle tangenti di Gardi- ni. «Ma io adesso sono l'uomo di me stesso, finalmente», rivendica. Dei processi, della sentenza definitiva che ancora lo aspetta per Enimont, e di Antonio Di Pietro non vuole dire ima parola. «Chi è Di Pietro?», fa, sarcastico. E a chi gli ricorda che potrebbe essere un futuro senatore della Repubblica, risponde: «Ce ne sono tanti, di senatori...». Oggi, l'universo di Sergio Cusani si ferma dietro alle mura di San Vittore, dove stanno i suoi fratelli, come non smette di chiamarli: «Io sono un detenuto, un detenuto come loro. Amo il lavoro che faccio per i miei fratelli, non lo cambierei con nessun privilegio». Allora queste 48 ore diventano un tour de force. Al pomeriggio, davanti ai turisti giapponesi che invadono piazza della Scala, Cusani si infila nel portone di ferro di Palazzo Marino, dove ci sono gli uffici del sindaco. Mezz'ora, dura il colloquio con il portavoce di Gabriele Albertini, Aldo Scarselli. «Sono soddisfatto», dirà poi Cusani, il primo detenuto che lo stesso giorno passa da San Vittore a Palazzo Marino. Poi Cusani smentisce la storia delle multe, che il suo gruppo di lavoro dovrebbe gestire, per conto del Comune, e anche se non è vero sono già polemiche. «Quella faccenda non c'entra», conferma il portavoce di Albertini. Spiega: «Cusani ci ha chiesto, pagando un regolare affitto, di avere uno spazio del Comune. Il suo è uno spazio sociale autentico. E come dice sempre il sindaco, anche chi sta a San Vittore è un milanese». Nessun contatto diretto con Gabriele Albertini, neanche per telefono. Il sindaco è ancora in vacanza in Val d'Aosta. Rimane la lettera che pochi giorni fa ha scritto a Cusani, poche righe di stima per il suo lavoro. E forse una promessa, per impegni futuri. Ma il futuro di Sergio Cusani per ora si ferma in via Ceradini, per la prima notte a casa dopo mesi. Oggi incontrerà, i sindacati. E poi?' «Poi sonò fatti miei...», taglia corto con un sorriso. Mentre l'orologio corre e San Vittore, questa sera lo aspetta. Fabio Potetti «La prigione è una seconda pelle che ti si attacca addosso» L'uomo delle tangenti di Raul Gardini è alla terza vita dopo il Movimento studentesco e l'alta finanza. «Di Pietro al processo in tv mi ha massacrato» Sergio Cusani: ha 4 anni da scontare dopo la condanna per l'affaire Eni-Sai

Luoghi citati: Milano, Sudamerica, Val D'aosta