Anche la Seconda Repubblica si apre all'insegna del Papa di Edmondo Berselli

Quasi tutti i partiti italiani guardano con interesse al Vaticano: si differenzia la Lega Quasi tutti i partiti italiani guardano con interesse al Vaticano: si differenzia la Lega Anche la Seconda Repubblica si apre all'insegna del Papa ■APOLITICA E LA CHIESA CON la solita verve estiva, Umberto Bossi si è fatto beffe del Papa, riguadagnando il centro della scena pubblica. Ma così facendo ha anche conseguito un altro risultato, quello di differenziare ancora più sensibilmente la Lega rispetto agli altri partiti. I quali «cercano» la Chiesa, chiedono il suo beneplacito, vogliono la sua approvazione e il suo consenso; mentre agli occhi spregiudicati di Bossi la Chiesa rappresenta oggi né più né meno che l'opposizione più forte al separatismo del Carroccio. Non si dimentichi che quasi un anno fa, all'epoca della marcia leghista sul Po, a esporsi direttamente fu uno dei più prestigiosi esponenti del cattolicesimo settentrionale, il cardinale di Milano Carlo Maria Martini, che negò la legittimità morale di una secessione animata da interessi economici. Perciò ha buone ragioni chi sostiene, come il sociologo Ilvo Diamanti, che la «questione cattolica» non è affatto irrilevante nell'evoluzione della politica nel Nord del Paese. Tuttavia è anche possibile che Bossi abbia puntato sulla duplicità della condizione cattolica attuale: cioè proprio sul fatto che il «cattolicesimo di maniera», la fede secolarizzata che ormai segna gran parte degli atteggiamenti degli italiani rispetto alla religione, consenta agevolmente di attaccare la gerarchia (i «vescovoni», i grassi nemici della libertà del Nord) senza rischiare di ferire la sensibilità di coloro che si dichiarano cattolici ma in realtà hanno maturato un sostanziale distacco rispetto alla partecipazione ecclesiale. Ma ciò che fin dall'inizio ha colpito, nelle parole di Bossi, è il fatto che la Lega è l'unica realtà politica che si dichiara del tutto indifferente ai giudizi della Chiesa. Non esiste, infatti, o non esiste più, alcuna forza politica organizzata che scommetta alcunché su un atteggiamento di ostilità verso il mondo cattolico. Politicamente l'anticlericalismo è un residuato storico. Se si vogliono trovare accenti strenuamente critici verso Karol Wojtyla e il suo peculiare cristianesimo occorre rivolgersi ad alcuni esercizi di laicismo prodotti da Paolo Flores d'Arcais su MicroMega, frutto di un ultrailluminismo che vede nell'azione e nel pensiero di Giovanni Paolo II il riflesso di un anacronistico e reazionario integralismo. Verso la Chiesa cattolica c'è ormai una generalizzata defe¬ renza pubblica. E verso il cattolicesimo c'è l'attenzione che si dedica di solito ai grandi misteri sociali, alle realtà in precedenza ignorate e all'improvviso rivelatesi come una nuova possibile risorsa di sviluppo politico e di riscatto sociale. Una delle più riuscite esperienze culturali recenti, quella catalizzata dal mensile Liberal, è nata proprio dall'idea di favorire quell'incontro fra liberali e cattolici che nella vicenda italiana è mancato, e che secondo uno dei direttori della rivista, Ernesto Galli della Loggia, è all'origine della debolezza della democrazia italiana. Liberali o no, i partiti italiani sembrano comunque guardare oggi verso il cattolicesimo con un senso di malcelata inferiorità. Ci possono essere prese di distanza sugli aspetti più antimoderni del magistero, come ad esempio riguardo alla morale sessuale o a proposito del controllo demografico. Ma non appena ci si approssima ai temi sociali o economici, tutti i partiti cercano di mostrare la loro esplicita contiguità alle ispirazioni cattoliche. Una contiguità pressoché automatica per la diaspora democristiana (dal ccd-cdu ai popolari), che dovrebbe essere la più esperta declinatrice della «dottrina sociale» della Chiesa, ma che non esclude affatto interpretazioni da parte di altri attori. Si è dedicata una certa attenzione alle interazioni diplomati¬ che che dovranno condurre alla visita di Massimo D'Alema al Pontefice, come possibile cicatrizzazione del rapporto fra il mondo (post)comunista e il Vaticano, ma non si dovrebbe dimenticare che Romano Prodi, uomo simbolo dell'Ulivo e premier di un governo fortemente condizionato a sinistra, è già stato ricevuto da Wojtyla. A parte questi aspetti cerimoniali conviene sottolineare che tutta l'impostazione politico-ideologica dell'Ulivo è stata costruita su un'ipotesi «renana» di capitalismo temperato (sulla scia dell'economia sociale di mercato realizzata in Germania da Ludwig Erhard), che rappresenta la mediazione finora più efficace fra la libertà economica e la dot¬ trina sociale della Chiesa. Naturalmente nel pensiero cattolico c'è un'ampia opportunità di scelta. Vi si può trovare il principio liberale della libertà di insegnamento, come vogliono Casini e Buttiglione a proposito della parità scolastica, ma vi si può rintracciare anche qualche elemento in cui la solidarietà (altra parola chiave del lessico cattopolitico) trascolora nella critica al modello capitalista. Ecco allora che viene buona la classica polemica papale contro gli estremismi della globalizzazione, confermata da Giovanni Paolo II anche nell'intervista pubblicata da Lo Stampa mercoledì 20 agosto: «Quel che importa innanzitutto è che l'uomo abbia la supremazia sull'economia e sul mercato». Su affermazioni simili si fonda l'attenzione al messaggio papale mostrata da Fausto Bertinotti, e ultimamente dichiarata anche dal più postcomunista di tutti, Armando Cossutta, colui che verso il Pontefice venuto dall'Est potrebbe avere più di un motivo di antipatia storica. Che cosa spinge quindi i partiti a cercare l'avallo della Chiesa? E' immediato pensare che l'autorevolezza del cattolicesimo sia stata fortemente intensificata dalla caduta dei sistemi ideologici, dalla perdita delle utopie, dalla «fine della storia». In assenza di certezze, la Chiesa offre la sicurezza di idee a prova di millennio. Ma in questo modo il cattolicesimo rischia di divenire una specie di supermarket delle opinioni: dal momento che si può assumere una posizione o prendere un orientamento suffragandoli con il parere del Papa o del cardinale Ratzinger, per la Chiesa c'è anche la sottile minaccia di divenire una specie di borsa valori dei valori e degli ideali, con listini sempre in crescita ma con scarso legame con le realtà effettive. In effetti, tra i valori «cattolici» l'assortimento è variegato: il solidarismo di sinistra, come abbiamo visto, con le sue venature dossettiane, ma anche il liberalismo di don Sturzo, quel «cattolicesimo delle responsabilità» che piace molto a Silvio Berlusconi e ad alcune frange intellettuali di Forza Italia; e, se si vuole, anche il populismo «sociale e cristiano» invocato contro il liberalismo dalle componenti più tradizionaliste di Alleanza nazionale. Curiosamente, questo apice del prestigio della Chiesa coincide con il suo obbligo ad astenersi dall'impegno politico. Esauritasi con la de, nonostante gli sforzi del cardinale Ruini, l'unità politica dei cattolici, la Chiesa ha dovuto imporsi l'equidistanza dagli schieramenti (anche se non va dimenticato che volontariato e associazionismo di base hanno avuto un ruolo nell'affermazione elettorale dell'Ulivo). Insomma, mentre tutti, eccetto Bossi, diventano collaterali alla Chiesa, questa è obbligata a non schierarsi, o ad acconciarsi a schieramenti parziali, temporanei, a cercare accordi e compromessi «corti», non impegnativi. Dietro i rapporti fra la politica e la Chiesa oggi sembra esserci soprattutto l'interesse contingente, con una percepibile e continua sensazione di mutuo sfruttamento: ma proprio questa volatilità dei rapporti sembra anche la garanzia che almeno su questo terreno la Prima Repubblica è davvero finita. Edmondo Berselli Dalle attenzioni di Fausto Bertinotti al lavoro della diplomazia della Quercia che vuole l'udienza per Massimo D'Alema

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