«I pentiti di Catania? Caso gonfiato» di F. A.
«I pentiti di Catania? Caso gonfiato» Il pm D'Agata «I pentiti di Catania? Caso gonfiato» CATANIA. «Una cosa è l'arresto di quei tre, un'altra il nostro giudizio sul nuovo 513». Il procuratore aggiunto di Catania, Enzo D'Agata, prova a fare ordine nella vicenda dei tre collaboratori di giustizia arrestati la scorsa settimana col sospetto di avere stretto un patto coi boss: rientro nella cosca in cambio del loro silenzio ai processi previsti per l'autunno. La sua intervista a un settimanale ha rimesso in moto la macchina delle polemiche. D'Agata vi sostiene che «la stampa ha visto nell'arresto dei tre pentiti quasi una contestazione alla modifica dell'art. 513. Per dovere di verità devo dire che è falso». Ora precisa: «Volevo dire che il provvedimento che abbiamo adottato non ha nulla a che fare con il 513, nel senso che non è stata una contestazione, un modo indiretto per prendere posizione». Un'affermazione, questa, che pare in contrasto con quelle fatte da Mario Amato, Sebastiano Ardita e Nicolò Marino, i tre sostituti della direzione antimafia, coordinatore dell'inchiesta che ha portato in carcere Alfio e Mario Trovato e Sebastiano Pagano. Già lo stesso giorno dell'annuncio degli arresti, i tre magistrati avevano messo in guardia: quei tre pentiti avevano fatto rientro ad Acireale dalle località protette proprio nei giorni dell'approvazione del nuovo 513. «E' anche giusto quello che dicono i colleghi - dice ora il numero due della Procura catanese ma posso dirle che non ho avuto alcuna preoccupazione a firmare quei tre fermi, a proposito di eventuali polemiche, perché non ho visto alcuna connessione tra le due cose. Non dico che le motivazioni a monte sulle scelte dei tre pentiti non possano anche essere state legate al 513. Ma quegli arresti non sono stati una ripicca». «Ciò non toglie - continua D'Agata - che il nostro giudizio sul 513 è di preoccupazione perché crea concorrenzialità tra Stato e mafia. Se lo Stato offre mezzo miliardo a un mafioso per collaborare, ci potrà essere qualcuno della mafia che offrirà due miliardi per avere il silenzio del pentito. In questo senso non si tratta di perdono, ma di calcolo utilitaristico. Ed è legittimo supporre che ci sia stato un accomodamento anche in questo caso». Per D'Agata, insomma, i tre pentiti di Acireale erano semplicemente tornati alla loro precedente occupazione: «Il segnale che ci ha convinto a far scattare gli arresti è stato il fatto che quei tre prima chiedevano maggiore protezione e poi sono tomati nel loro paese, andandosene tranquillamente in giro, cosa che poteva succedere solo se si sentivano sicuri. Visto un segnale del genere, li avremmo arrestati in ogni caso, con o senza il nuovo 513». Nel fascicolo che i magistrati hanno consegnato al gip Carmen La Rosa, che ha convalidato gli arresti dei tre collaboratori di giustizia, ci sarebbero intercettazioni telefoniche, messaggi e persino la confessione di uno dei tre «pentiti»: il loro silenzio ai processi in cambio del perdono della cosca. Con la «complicità» del nuovo 513. [f. a.]
Persone citate: D'agata, Enzo D'agata, Mario Amato, Mario Trovato, Nicolò Marino, Sebastiano Ardita, Sebastiano Pagano
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