Mozambico rivìncita del cuore nero

11 Zero attrezzature turistiche, uniche facce bianche i sudafricani superaccessoriati Mozambico, rivìncita del cuore nero Afine viaggio un Paese senza un filo d'Occidente MAPUTO (Mozambico) DAL NOSTRO INVIATO Distesi in solitudine su di una spiaggia bianca come il borotalco a contare le infinite tonalità dei beige, dei rossi bruciato, e i verdi e gli azzurri e i blu in cui si scompone l'oceano quand'è bassa marea, ci raggiunge fortunosamente la notizia di turisti in fuga dagli albergoni balneari del Kenya, molto più a Nord lungo questa stessa costa. E' il Ferragosto più tranquillo della nostra vita dopo che abbiamo attraversato a Mutare, nel montuoso Zimbabwe sudorientale, un confine di quelli veri, considerati off limits, vivamente sconsigliati, espunti dalle guide Lonely Planet: il confine del Mozambico. E così - grazie a questa piccola disobbedienza la nostra comitiva ha oltrepassato il limite delle due Afriche. Si è ritrovata in un paradiso miserabile e stupendo come lo può essere solo un paradiso tutto nero, l'esatto contrario di quello che cercano i nuovi esploratori dell'Africa bianca col binocolo sempre puntato sulla savana. Non si trova più neanche un animale dei «big five» (leone, leopardo, elefante, bufalo, rinoceronte), nelle infinite distese di foresta mozambicana: se li sono mangiati tutti gli uomini armati che, fra il 1975 e il 1992, hanno dato vita a una feroce guerra civile uccidendo un milione di persone su quindici milioni di abitanti, e riducendo alla fame tutti gli altri. Allungato per duemilacinquecento chilometri di costa sull'Oceano Indiano, molti dei quali orlati dalla barriera corallina, il Mozambico non dispone poi di un solo insediamento turistico occidentale. Arriva solo qualche famiglia sudafricana intraprendente con tenda e barca al seguito. Niente leoni, perché con una fucilata anche il re degli animali può trasformarsi in un buon filetto. Niente alberghi di mare sotto le palme, perché nessuna Francorosso si è sognata di rischiare anche un solo dollaro quaggiù Uomo bianco, che ci vieni a fare? Se cerchi l'Africa del tutto compreso puoi andare in Kenya, dove la mattina fai il bagno e il pomeriggio basta un piccolo extra per il safari, magari inseguendo una mandria di bufali con la mongolfiera. I mendicanti e i sicari fuori dal cancello puoi sempre far finta che non esistano, come del resto li avevi rimossi in India o in America Latina. Se invece cerchi il lodge esclusivo impagliato di inacutì, paga e vai sul sicuro in Sud Africa al parco Kruger, che corre proprio lì lungo la frontiera col Mozambico. Si narra che alcuni suoi leoni dall'istinto xenofobo avrebbero contratto l'Aids divorando nottetempo dei miserabili clandestini che avevano scavalcato la rete metanica del confine. Non garantisco la veridicità della storia, ma invece è certa la prima reazione di molti europei cultori del selvaggio: poveri leoni! Ma infine, cosa diavolo ci viene a fare in Mozambico una rispettabile famiglia torinese già capovoltasi nelle rapide dello Zambesi, già sazia di tramonti infuocati nel grande nulla, già elettrizzata dall'incontro con le fiere? Cosa ci viene a fare nel Paese più minato del mondo, che neppure prevede il visto turistico? La risposta si trova forse nei colpi di machete che stanno profanando a Mombasa, in Kenya, il paradiso artificiale dell'Africa bianca. Alla fine nessuna precauzione tecnologica potrà davvero sottrarti alla relazione con gli uomini di questo continente, ancora sconvolto dai troppi secoli in cui i trafficanti di schiavi ne strapparono a milioni le menti e le braccia migliori. E allora tanto vale guardarla in faccia questa modernità avvelenata dall'Aids, dalle mine, dai banditi di strada, dalla fame. Per scoprire che pure in questo tipo di itinerario extreme dentro la realtà africana, non previsto dalle agenzie turistiche, può celarsi una rivelazione di struggente bellez- A za. Confessiamolo. Disponendo ormai di un solo fuoristrada senza pezzi di ricambio, il buon senso ci ha costretti a separarci dal corso dello Zambesi che pure al nostro fianco entrava in territorio mozambicano. Il grande fiume, poco sotto al confine con il Malawi, forniva generosamente le sue acque per un secondo bacino artificiale di seguito al Kariba: il lago Canora Bassa. Ma è ben difficile immaginare chi possa oggi goderne l'elettricità, dopo i ripetuti boicottaggi dei guerriglieri Renamo sostenuti dal Sud Africa, nell'epoca in cui Nelson Mandela non l'aveva ancora democratizzato. Il conflitto contro il governo rivoluzionario socialista del Frelimo aveva del resto polverizzato anche il ponte di Vila de Sena, dove comincia a spalancarsi quel vasto delta dello Zambesi che contribuisce all'isolamento delle province settentrionali del Paese. Proprio a Marromeu, dove il fiume da lui esplorato conclude i duemilaseicento chilometri del suo corso, David Livingstone perse nel 1862 la moglie Mary Moffat. Impossibile addentrarsi lassù senza passaggi aerei. «Non partite, i banditi assaltano le 4 x 4 e comunque non potrete lasciare la macchina incustodita neanche un minuto». «Non partite, i poliziotti mozambicani sono sadici nel tormentare comitive sprovvedute come la vostra». «Non troverete un telefono, un distributore di benzina, l'acqua imbottigliata». Ma dopo avere mangiato tanta polvere nella savana, il miraggio dell'oceano ha la meglio: uscendo dall'Africa anglofona perfino il padre di famiglia Tinto saprà deporre la sua flemma, impu- gnando il volante del Toyota sui cinquecento chilometri di una strada, la Manica-Vilankulo, le cui buche fanno impallidire il ricordo del rafting nello Zambesi, ma che conduce al mare, finalmente. Era il 1487 quando Bartolomeo Diaz doppiava il Capo di Buona Speranza e l'esploratore Pero da Covilha, portoghese come lui, piantava la bandiera sulla baia di Sofala. L'impresa che sarebbe stata oscurata daU'imminente scoperta dell'America, dava il via a mezzo millennio di colonialismo portoghese ma non modificava in nulla, è incredibile a dirsi, proprio in nulla, 0 panorama che ci si apre di fronte oggi: fuori Maputo, Beira e un paio d'altri centri urbani, nessun segno di presenza umana che non siano le primitive capanne di canna e palmizio intrec- ciato dei pescatori, lungo la spiaggia infinita. Duemilacinquecento chilometri di costa vergine. Aironi e cormorani a caccia dei granchi che scavano nella sabbia fori perfettamente tondi come quelli degli ombrelloni, mentre la marea fa rotolare sulla battigia enormi conchiglie di madreperla. E i barracuda subito oltre la barriera corallina, con i loro denti affilati da cane, a incrociare squali, razze, balene. Lasciamo che i nostri esploratori scoprano finalmente l'alba su questo mare così selvaggio, dopo che l'ultima bottiglia del nuovo Barolo '93 portata fin quaggiù ha degnamente celebrato l'arrivo. Lasciamoli di fronte alle acque tempestose navigate nei secoli per raggiungere l'India e l'Estremo Oriente, ma che qui vengono a frangersi come per caso su di un continente che non ne ha usufruito quasi nulla. A un tratto, in lontananza visto che a mezzogiorno il mare si abbassa per centinaia di metri al largo, vedi spuntare un omino tremante dal freddo che con la fiocina ha infilzato granchi e pesci nuotando sott'acqua. Oppure incontri un pescatore sordomuto che trascina una razza da settanta chili squartata poi col machete ancora agonizzante tra i cani randagi. Lasciamoli cucinare alla brace una sorta di branzino da tre chili pagato con generosità l'equivalente di seimila lire, e poi fare scorpacciata di gamberoni prelibati. Sulla spiaggia nulla sembra cambiato nei secoli, non fosse per le scie cingolate dei fuoristrada che la percorrono liberamente. Ma dovranno pure, prima o poi, andare in paese a fare rifornimento. E' così, negli sperduti centri abitati del Mozambico, dove la gente non può più vivere solo di agricoltura di sussistenza o di pesca, che scopriremo il misterioso incrocio di questo luogo, a cominciare dai colori della pelle dal marrone scuro all'olivastro al giallo al bianco. Perché il poverissimo Mozambico è Africa che s'incontra con l'India e con l'Islam venuto qui in cerca di schiavi prima ancora che l'Europa inventasse l'idea coloniale, e il portoghese diventasse la lingua di tutti. A Vilankulo, nel deposito del grossista indiano Suleiman, ti passa sotto gli occhi la vicenda mercantile che ha segnato il passaggio dal Medio Evo al Moder¬ no: decine di mani nere gli tendono pacchi di sudicie banconote, e lui le conta impassibile alla scrivania, le ammucchia, ne riempie i cassetti, lancia ordini perentori che si traducono in sacchi di riso e farina caricati su spalle ricurve. A parte l'orologio d'oro e l'anello di smeraldo al dito mignolo, cosa mai potrà farsene della sua immensa ricchezza in mezzo alle capanne di Vilankulo? Qui dunque imparerai a distinguere tra l'Africa bianca delle guide turistiche, incontaminata dalla plastica, e l'Africa nera per cui la plastica è il primo lusso da perseguire. L'Africa nera dei figli legati sulla schiena dentro il pareo; l'Africa a piedi nudi con la tosse; l'Africa disposta a scambiare un lavoro in legno di giorni con la tua T-shirt; l'Africa che ha da venderti solo un fascio di rami secchi per il falò; l'Africa percorsa da furgoni carichi del maggior numero di corpi umani compressi e aggrappati che si siano mai visti. E' l'Africa che si contenderà freneticamente le nostre provviste, strappandole di mano a Umberta che le distribuisce quando non avremo più cuore di farne mostra nel bagagliaio. Attraversiamo verso Sud D Tropico del Capricorno. Di colpo la terra diventa rossa e la vegetazione lussureggiante, distese di palme da cocco a perdita d'occhio, storte, piegate, con le tacche per salirci su a raccogliere i frutti. Credi di nuovo di poterti distrarre dall'uomo africano e perderti nella bellezza della natura. Ma questa non è una natura che si lasci dominare. Sotto Inhambane, alla Praia dos Cocos, conosceremo l'unica modalità con cui possa rapportarvisi un uomo bianco come Marcus, sudafricano di Pretoria che passa qui in solitudine l'intera estate con la seguente dotazione: camion Mercedes, gommone 150 cavalli a chiglia dura, roulotte, tre tende, generatore, due mozzi neri stipendiati 30 dollari al mese. Non è male accompagnarlo sull'oceano, tra decine di delfini che guizzano sulle onde, ma è chiaro che lui può solo protendersi a sovrastare tecnologicamente la natura poiché tutto, attorno, gli è estraneo. Allora tanto vale affrontare direttamente la vera entità nuova dell'Africa nera, quella a lei meno congeniale, che pure vi si espande come una metastasi: la città. Maputo, col suo nome suggestivo e ancora il ricordo di quand'era capitale coloniale col nome di Lourengo Marques, deluderà chi contava di scoprirvi le reminiscenze del Portogallo che fu, o gli ardori rivoluzionari che pure ci si potrebbe attendere da una città percorsa da avenida Mao Tse-tung o addirittura Kim il Sung. In un quartiere malfamato ma se non altro di muratura, senza case di fango e lamiera, incontro il biologo Mauro Colombo, un napoletano spilungone e dinoccolato che ha riversato l'estremismo giovanile nel generoso impegno cooperativo di oggi. Ha sposato ormai da dieci anni la mozambicana Lucia e di lei ha adottato anche il figlio Nelson, di cui Mauro parla col meritato vezzeggiativo di Tyson: «Ormai ha vent'amù e giustamente va all'assalto delle ragazze. Io gli ho regalato uno scatolone di profilattici delle Nazioni Unite, ma vatti a fidare...». Impegnato nel monitoraggio della popolazione a rischio, considera ottimistica la stima secondo cui il 20% dei mozambicani sarebbero oggi sieropositivi, benché tale cifra debba considerarsi fortunata rispetto al limitrofo Zimbabwe (dove il governo ha pianificato la costruzione di orfanotrofi), e più su allo Zambia e allo Zaire dove le percentuali toccano il 50%. Sarà il Tropico, sarà la parlata latina, sarà il bianchissimo Hotel Poiana affacciato sulla baia, saranno i ristorantini della Feira popular dove l'orchestra ci affligge col peggior repertorio italiano Anni Settanta, ma qui tra le prostitute e i posteggiatori abusivi ti senti piuttosto ai Caraibi che in Africa. «Del resto - precisa Mauro Colombo - l'unico prodotto che differenzia in meglio il colonialismo portoghese rispetto a quello inglese sono le mulatte». Lo storico del Secolo breve, Eric Hobsbawm, scrive che in Africa nera la maggior parte della popolazione sarebbe riuscita a cavarsela se fosse stata lasciata in pace ad amministrarsi da sola. «Per lo più gli abitanti di quelle zone non avevano bisogno dei propri Stati». Troppo tardi. Ora che la vita autosufficiente del villaggio ha ceduto di fronte all'incontro con il mondo, è fin troppo scontato che si resti senza parole al passaggio di confine tra questo splendido lembo continentale di miseria e il Sud Africa, da dove parte il jumbo che riporta in Europa gli esploratori d'agosto. E' un passaggio tra due mondi, col posto di frontiera tappezzato di manifesti anti-Aids. L'ultimo tramonto africano ci fermeremo a contemplarlo all'autogrill dell'autostrada Nelspruit-Johannesburg, dove al posto di mango e papaya ti servono milkshake al bubblegum e sacchetti di carne di struzzo croccante. Le sahariane puzzolenti e impolverate giacciono nel fondo della valigia. Alinea, addio. Qui ormai funziona già il nostro Gsm. Gad Lerner (4 - Fine) orpresa, non si trova più un animale selvatico In ventanni di guerriglia caos è fame se li sono mangiati tutti compresi leoni e leopardi La capitale con le avenidas Mao Tse-tung e Kim il Sung GLI i ESPLORATORI DELL'AFRICA BIANCA 4 Jt (fine) Ma infine, cosa diavolo ci viene a are in Mozambico una rispettabile amiglia torinese già capovoltasi nele rapide dello Zambesi, già sazia di ramonti infuocati nel grande nulla, ià elettrizzata dall'incontro con le ere? Cosa ci viee a fare nel Paese iù minato del mondo, che nepure prevede il vito turistico? a risposta si troa forse nei colpi i machete che tanno profanano a Mombasa, in Kenya, il paradiso rtificiale dell'Arica bianca. Alla fine nessuna preauzione tecnoloica potrà davveo sottrarti alla elazione con gli uomini di questo ontinente, ancora sconvolto dai roppi secoli in cui i trafficanti di chiavi ne strapparono a milioni le menti e le braccia migliori. E allora anto vale guardarla in faccia questa modernità avvelenata dall'Aids, dale mine, dai banditi di strada, dalla ame. Per scoprire che pure in queto tipo di itinerario extreme dentro a realtà africana, non previsto dalle agenzie turistihe, può celarsi una rivelazione di truggente bellez- saprà deporre la sua flemma, impu- ranza e lesploratore Pero da Covilha, portoghese come lui, piantava la bandiera sulla baia di Sofala. L'impresa che sarebbe stata oscurata daU'imminente scoperta dell'America, dava il via a mezzo millennio di A cpagla rimozdellIndie quunaconun be laLa capitale con le avenidas Mao Tse-tung e Kim il Sung LE PRsonpubnei IO, 17 Un tramonto sul fiume Zambesi e qui sotto Bartolomeo Diaz, primo a doppiare il Capo di Buona Speranza Nulla a Maputo ricorda 500 anni di epopea colonialista dopo Diaz A centro pagina la riva mozambicana dell'Oceano Indiano e qui accanto una contadina con in spalla un bambino e la zappa LE PUNTATE PRECEDENTI sono state pubblicate nei giorni IO, 13 e 17 agosto