Lo stupro della Bellezza di Igor Man
Una vicenda molto diversa dai tuffi che facevano i ragazzini negli Anni 60 L'episodio avvenuto nel salotto di Roma è il simbolo di una società che respinge la cultura del bene comune Lo stupro della Bellezza VANDALI? No, peggio: stupidi. A muovere il vandalo nove volte su dieci è una inarrestabile furia che sconfina nel mistero grande della follìa. Gli stessi guerrieri teutonici di Vandalusia che nel 455 saccheggiarono Roma seguivano un disegno di conquista, devastante ma pur sempre legato a una idea del fare; insomma, c'era una logica sia pure selvaggia nelle distruttive imprese dei Vandali. Nel bene e nel male camminavano nella Storia, i Vandali. I tre che hanno scempiato la fontana del Bernini, invece, non sono neanche dei «balordi»: sono soltanto e disperatamente tre poveri str... E infatti: «Ma che avemo fatto?», chiedevano a se stessi, ai poliziotti, alla gente imbufalita che faceva ressa al portone del commissariato. «Tutto sto' casino ppe 'na bravata?», ripetevano inconsapevoli, nella loro autentica incredulità, d'aver commesso un delitto. Quello d'aver stuprato la Bellezza. Ecco, ciò che dovrebbe sgomentarci del fattaccio di Piazza Navona non è tanto il comportamento immondo di tre romani anagraficamente adulti che per sottrarsi alla calura si tuffano, con falsa spavalderia, in una delle fontane più belle del mondo se non addirittura nella più bella, bensì la «morale» che tocca ricavarne. Terribile. Essi, i tre romani anagraficamente adulti, sono la punta di un iceberg. L'iceberg dell'ignoranza, il monumento spaventoso d'una società che respinge la Cultura del bene comune. E, quindi, il rispetto della Bellezza. I tre sono soltanto tre stupidi ma 10 sono perché appartengono alla immensa legione, sempre in crescita, degli italiani che non leggono nemmeno il giornale e presumono di sapere come van le cose servendosi della tv: ma la guardano, la tv, non l'ascoltano. E se l'ascoltano ciò accade distrattamente. Sicché vivono nel nulla. In quel vuoto senza misericordia che comunemente chiamiamo ignoranza. I tre della fontana sono la rappresentazione grottesca (e penosa) di quel tipo di italiano, sempre più diffuso, che ha fatto delle vacanze cosiddette esotiche una ragione di vita, che ha operato la secessione prima che qualche presunto leader politico la predicasse: la secessione dalla realtà, dico, dalla vita vera non virtuale, dal modo di dover essere per avere 11 diritto di perseguir virtude e conoscenza poiché, certamente, fatti non fummo per vivere come bruti. Il comunismo è fallito, osservava Galbraith, ma a discolpa di Marx ed Engels Va detto ch'essi non potevano minimamente immaginare che un giorno i proletari di tutto il mondo invece di pretendere giustizia, lavoro, esigessero la fuoriserie, le vacanze ai Caraibi. Le cronache di questi giorni ferragostani sono piene di persone che per riposarsi han perso la salute (quando non la vita) marcen- do nelle file lunghe chilometri di automobili tutte partite alla stessa ora, verso la stessa meta ammaliatrice: la vacanza, novella Circe di questo tempo feroce. Ma a chi rimane in città perché non può permettersi nemmeno la fatica di inseguire un irraggiungibile riposo, cosa rimane se gu manca il senso dell'appartenenza alla Polis, la curiosità di scoprirla, il gusto di sfruttare la giusta stagione per ammirarne le bellezze antiche e moderne: il museo, la piazza, lo spettacolo de¬ gli studenti inglesi che fanno i saltimbanchi in Piazza Navona, giustappunto, per poi godersela insieme col resto immensamente stupendo e irripetibile di Roma? Rimane la noia, l'insipienza, la solitudine. Ingigantite dall'ignoranza. Ed eccoli i tre poveracci tuffarsi, loro, bietoloni cresciuti (e male) solo fisicamente, nella fontana del Bernini. Non risulta che fossero ubriachi, temiamo che siano soltanto quello che sono: un campione di italiano che la latitanza della politica come idea del costruire, la disparità nella distribuzione della Cultura, la mancanza, soprattutto, dell'esempio di civismo, rischia di rendere contagioso. Piazza di Spagna è il salotto di Roma, Piazza Navona è Roma. Fu costruita sullo Stadio di Diocleziano, ne ricalca il disegno portentoso, vi si combatterono le incruente naumachie in quello stadio donde l'uso di allagare Piazza Navona nelle domeniche di callaccia: quel caldo greve e umido che solo il Ponentino riesce a sconfiggere. Non c'è memoria di sfregi al Bernini, al Borromini a dispetto dell'allagamento ludico durato sino al 1870. C'è più recente memoria (siamo nei Sessanta) dei regazzini che in mutande tentavano di tuffarsi nelle due altre minori fontane della Piazza, e regolarmente ne venivano impediti a scapaccioni dai vigili urbani e dagli stessi genitori. Ma nei Sessanta durava ancora la gioia della libertà venuta dopo lo strazio della guerra; e un po' tutti eravamo più buoni che non oggi, forse, sicché rispettavamo noi stessi rispettando Roma. Mancano poco meno di tre miserabili anni al Duemila e se è vero che quella che Ratzinger chiama l'era del relativismo sta rubando l'anima all'uomo senza più religione, forse i tre stupidi di Piazza Navona possono, loro malgrado, indurci a riflettere su alcune verità semplici. Per salvarci, per ritrovare il senso della vergogna del peccato (il furto del denaro pubblico, ad esempio) bisognerà impegnarsi affinché l'Italia diventi un laboratorio a cielo aperto. Dove la scuola possa trasformare la nozione in conoscenza. Dove la società diventi un luogo in cui gli sposi possano di nuovo credere nella fedeltà e i figli nei genitori. E i cittadini nello Stato. Igor Man Una vicenda molto diversa dai tuffi che facevano i ragazzini negli Anni 60 Il particolare della coda del tritone «amputata»
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