La politica estera la facciamo coi fatti

La politica estera la facciamo coi fatti LETTERA La politica estera la facciamo coi fatti L' EDITORIALE di Enzo Bettiza, pubblicato l'altro ieri da La Stampa, non mi sembra sia riuscito a scalfire nemmeno la superficie del suo bersaglio che voleva essere la politica estera dell'Ulivo. Peccato, perché ogni governo ha bisogno di critici severi. Probabilmente i responsabili della politica estera degli Stati Uniti non avranno fatto salti di gioia, quando Michael Mandelbaum ha paragonato la politica estera del presidente Clinton all'impegno sociale di madre Teresa di Calcutta, ma sono pronto a scommettere che costoro si siano in qualche modo giovati di critiche pur spinte al limite del paradosso. E', invece, poco illuminante una critica che si fonda su un'analisi di differenze di opinioni - vere o presunte, ma comunque raramente significative - dei protagonisti e che pare per lo più animata da risentimenti ideologici oltretutto risalenti ad una fase storica morta e sepolta. Quanti articoli che partono dalle colpe di Enrico Mattei e di Giorgio La Pira, per poi concludere che l'Italia non ha una politica estera, dovremo ancora leggere? Decisiva, invece, è quella che Franco Venturi definiva la critica delle cose. Ad esempio, non saranno le divergenze o gli incidenti di percorso della politica albanese dell'Italia, largamente ereditata dall'attuale governo, a determinare il giudizio su di essa, ma i suoi effetti più duraturi. Anche se la strada da fare è ricca di incognite e bisognerà guardarsi dalle sirene di un certo neonazionalismo (italiano), questo governo ha già raggiunto alcuni risultati duraturi: soprattutto, l'insediamento di un governo legittimo che, senza rinvìi, si sta cimentando con la criminalità armata di Valona. E' ancora più importante la disponibilità e anche la capacità dimostrata dall'Italia di partecipare e anche guidare correttamente iniziative inter nazionali, decisive in un'epoca segnata, più che dalle alleanze, dalla salvaguardia della sicu rezza collettiva, come dimostra anche l'evoluzione della stessa Nato. Per quanto riguarda l'Europa, Bettiza osserva che siamo tuttora seduti in anticamera ed è vero; ma non sul banco degli imputati, avrebbe dovuto aggiungere. I nostri presimti giudici siedono accanto a noi e dubbio semmai riguarda la aggiu giudii fl du] partenza puntuale del treno per ragioni indipendenti dalla nostra volontà. Inoltre, sembriamo più consapevoli di altri dell'urgenza di far progredire l'Europa politica, mantenendola aperta a Sud e a Est, per non essere tutti, non solo noi marginalizzati nell'epoca della globalizzazione. Sono finite le rendite di posizione derivanti da eccessi di zelo nel rispetto delle gerarchie internazionali o di furbizie mediatorie (che erano poi il risvolto della stessa medaglia). Questo governo ne sembra adeguatamente consapevole, come della conseguente necessità di assumere iniziative a 360 gradi, rafforzp.v.uo autonomia e coesione di organizzazioni ed alleanze, ma senza trascurare alcun interlocutore. Non è facile opporsi al seggio permanente di Giappone e Germania nel Consiglio di sicurezza dell'Orni e ai direttori più o meno surrettizi nella Nato, ma alla fine risulterà decisiva la critica dei fatti. Si salvaguardano meglio gli interessi dell'Italia reclamando la posizione tradizionale di «ultima dei nobili» o affermando una concezione meno oligarchica e più rispondente ai tempi? E', invece, molto grave il ritardo nella predisposizione di strumenti materiali e culturali adeguati per sostenere una politica estera moderna. Non si fanno le nozze con i fichi secchi. Le spese per il ministero degli Esteri e per la cooperazione allo sviluppo sono al di sotto dello 0,2 per cento, rispettivamente della spesa pubblica e del prodotto nazionale lordo. Malgrado lo sforzo del segretario generale uscente, l'organizzazione degli uffici della Farnesina è ancora quella degli Anni 30. A questi fini ben tre deleghe e un regolamento, approvati dal Parlamento, risultano inevasi dall'ammmistrazione. La formazione dei funzionari è culturalmente obsoleta e il loro reclutamento scarsamente selettivo. Alcune nomine portano ancora il segno di un passato con cui si dovrebbe rompere. Di tutto ciò Bettiza non parla. De minimis non curat praetor. Eppure è qui che il dente duole, proprio per l'esecuzione coerente di una politica, complessivamente bene impostata, che altrimenti rischia di rimanere prevalentemente declaratoria. Gian Giacomo Mlgone Presidente della Commissione Esteri del Senato ane ,atoJ

Persone citate: Bettiza, Clinton, Enrico Mattei, Enzo Bettiza, Franco Venturi, Gian Giacomo Mlgone, Giorgio La Pira, Michael Mandelbaum

Luoghi citati: Calcutta, Europa, Germania, Giappone, Italia, Stati Uniti