Ostaggi dell'imputato di Maria Grazia Bruzzone

ANTIMAFIA Caselli: ora può gestire il rubinetto delle prove ROMA. «Col nuovo 513 la giustizia diventa ostaggio dell'imputato che può, a suo arbitrio, aprire e chiudere il rubinetto delle prove, prima parlando e poi tacendo». Il procuratore di Palermo Giancarlo Caselli si inserisce nella polemica scatenata dai pentiti di Catania con un nuovo attacco al 513 dai toni durissimi. E 10 fa proprio mentre il presidente della commissione antimafia Ottaviano Del Turco parla di «critiche strumentali» al nuovo articolo e accusa «coloro che hanno avviato con incredibile leggerezza la polemica di Ferragosto sui collaboratori di giustizia» di «usare questi strumenti di lotta politica per aizzare l'opinione pubblica contro il Parlamento, mettendo in moto processi con conseguenze incalcolabili». «Non esiste alcun rapporto fra quel che è accaduto a Catania e le modifiche approvate in Parlamento», sostiene infatti Del Turco, che ricorda come «la storia di questi anni sia costellata da numerosi episodi che hanno visto per protagonisti fior di mascalzoni i quali, dopo un breve periodo di collaborazione con la giustizia, hanno ripreso il proprio posto nei ranghi della malavita». Parole, quelle di Del Turco, che si attirano 11 plauso dell'ex guardasigilli del Polo Filippo Mancuso, e le critiche del senatore della sinistra del pds Raffaele Bertoni. Del resto, in difesa del 513 è appena sceso in campo lo stesso capogruppo della Sinistra democratica al Senato Cesare Salvi. In un'intervista sull'Unità, ha sostenuto che la riforma del contestato articolo di legge «coi fatti di Catania non c'entra» e ha liquidato le polemiche come «un film già visto». Caselli è di tutt'altro parere. E non lesina immagini terrificanti. «Se già prima col vecchio 513 la mafia non ha esitato a sequestrare e uccidere il piccolo Di Matteo, figuriamoci cosa potrebbe fare adesso con le nuove nonne, quando la ferocia mafiosa potrà ottenere il prezioso risultato, prima non previsto, di cancellare tutte le accuse». Il punto chiave, per il procuratore di Palermo, è l'obbligo di rispondere anche nelle successive fasi del processo per chi abbia accettato l'interrogatorio da parte del pm, prevedendo sanzioni per chi rifiuti di rispondere. Una proposta che era stata suggerita dall'Associazione Nazionale Magistrati e da autorevoli avvocati. «Invece si è preferito mantenere la causa del male, cioè la facoltà di non rispondere, con la novità che adesso, se colui che ha risposto la prima volta al pm poi rifiuta di ripetere le accuse al gip o al giudice del dibattùnento, si butta via tutto quel che ha detto prima. Come se fino a quel momento si fosse scherzato». L'Unione delle Camere Penali sostiene il contrario. Per l'associazione dei penalisti chi afferma che il nuovo 513 comporta l'inutilizzabUità delle dichiarazioni rese in precedenza è in malafede: «Per i processi in corso queste dovranno solo essere riscontrate, mentre per quelli futuri spetterà al pm o alla difesa anticipare l'interrogatorio, davanti al giudice». Ma Luigi Li Gotti, avvocato di pentiti come Buscetta e Mannoia, propone delle modifiche «per costringere i collaboratori a non rifiutare il nuovo interrogatorio» proprio «per evitare di vanificare pagine e pagine di dichiarazioni rese in istruttoria». E la presidente Elena Paciotti ricorda la proposta unitaria dell'Anni e dell'associazione avvocati, di «non riconoscere il diritto di tacere davanti al giudice a chi ha già fatto dichiarazioni accusatorie davanti al pm». Un'idea fatta propria dal deputato verde Alfonso Pecoraro Scanio. Il deputato di Rifondazione "Tullio Grimaldi batte invece sul fronte di Tangentopoli, già aperto da Gerardo D'Ambrosio: «Il vero problema, con l'attuale 513, riguarda i processi per corruzione in corso a Napoli e Milano. Chi ha patteggiato la pena oggi può anche non ripresentarsi in aula a confermare le accuse rese nel segreto delle indagini. E processi costruiti in questo modo, come il processo Poggiolini o i procedimenti contro personaggi come Di Donato, De Lorenzo, Gava, Pomicino e altri, rischiano di saltare». Maria Grazia Bruzzone «Ostaggi dell'imputato »

Luoghi citati: Catania, Milano, Napoli, Roma