«La mafia non sa perdonare»

«Ostaggi dell'imputato «La mafia non sa perdonare» Spatola: la vendetta colpirà chi ha tradito IL DRAMMA DI UN PENTITO IA figlia? Mia figlia non sa più come si chiama. Adesso dovrei iscriverla a scuola, ma come faccio, con quale nome?». Oggi, questo è il problema numero uno della vita di Rosario Spatola, pentito storico «dal 19 settembre 1989, con il giudice Borsellino». Con quale cognome iscriverla alla quarta elementare? Quello vero, che la espone a qualunque vendetta, o quello «nuovo», regalato dal programma di protezione a questa ragazzina, a suo padre e a sua madre, ma solo fino al 23 giugno 1997, giorno in cui il «programma» è finito ed è iniziata una nuova vita per Spatola: pentito ma non più protetto, chiamato a testimoniare ai processi ma ritenuto indegno di far parte della famiglia dei collaboratori di giustizia. E poi c'è il secondo problema. Andare o non andare alla prossima udienza del maxiprocesso di Trapani, nato dalle indagini di Borsellino e da quelle sue prime, lontane dichiarazioni? Da solo, per la strada, senza più precauzioni, entrare in Assise e dire «eccomi qua». Allora, Spatola, cosa farà? «Ci andrò, come ho sempre fatto. Se riuscùò a sopravvivere». Perché dice questo? «Perché mi ritrovo nascosto in Sicilia, in ima situazione assurda: da uri giorno all'altro mi han tolto tutto, protezione, stipendio. Ho dovuto abbandonare la casa che avevo al Nord, con dentro tutte le nostre cose, vestiti, oggetti. Non so cosa succederà di me, della mia compagna e di mia figlia, da qui al processo. Ho bisogno di guadagnare qualcosa, forse andrò a lavare i vetri al semaforo, e non sto scherzando». Perché le hanno revocato il programma? «Questo non lo so. So che la decisione della Commissione è insindacabile, nonostante la procura competente abbia chiesto una proroga. Per me è stata una pugnalata alla schiena. Vede, il mio e quello della mia famiglia è un dramma silenzioso. E in questa situazione siamo in molti: licenziati dallo Stato, senza spiegazioni». Ma lei deve essere ancora sentito, no? «Certo, ma se anche non dovessi più andare a testimoniare, che fa, lo Stato, ti butta in mezzo a una strada? Eppure, per noi è andata proprio così». Il 513 riformato riguarda anche lei. Cosa ne pensa? «Io non mi sono mai avvalso della facoltà di non rispondere. Mai. Ho sempre ritenuto che un collaboratore non lo debba fare. E' giusto che tu pentito ti esponga al controesame della difesa, perché è nell'aula che si valuta la tua attendibilità. Io ho iniziato a parlare con Borsellino di mia spontanea volontà, e quel giorno del luglio '89 io ero un uomo libero, che voleva cambiare vita. Dopo, solo dopo le prime dichiarazioni, in cui mi autoaccusavo, sono stato arrestato. Quindi, vede, nessuno mi ha costretto a parlare, l'avevo deciso io. E allora non c'era la legge sui pentiti. Però c'erano uomini come Falcone e Borsellino, giudici come oggi non ne vedo più». E questi tre pentiti che sarebbero stati «perdonati» dalla mafia, in cambio del rifiuto di confermare in aula (come prevede il 513) le loro dichiarazioni... Lei crede che lo abbiano fatto davvero? «Ho saputo che il giudice ha confermato gli arresti, quindi dovrebbe essere vero. Ma sono vicende personali... vai a sapere perché l'hanno fatto. Forse c'erano dei motivi familiari, o forse si aspettavano dallo Stato un trattamento diverso». E al «perdono» della mafia, lei ci crede? «Ma neanche per sogno. Se hai tradito, ti resta il marchio addosso... Li avrebbero utilizzati per i loro scopi "giudiziari", poi per qualcosa d'altro, e poi... si ricordi che la vendetta arriva da lontano». Il pentito Vitale ammazzato 15 anni dopo aver parlato... «Appunto. Quella però è l'ultima vendetta. Prima ce ne è un'altra». Cioè? «Se io domani tornassi al mio paese, i bambini per la strada mi direbbero "infame", nessuno mi saluterebbe. Se entrassi in un bar la gente mi scanserebbe. Sa che bella cosa è morire così, piano piano, giorno per giorno?» Cosa farà, adesso? «Non lo so». Ha soldi? «No. E non ho neanche un lavoro, perché era incompatibile con il programma, per motivi di sicurezza». Quanto le davano al mese? «Due. Due milioni, intendo». Adesso ha paura? «Se non l'avessi, non sarei uno con i piedi per terra. E io lo sono». Cosa dirà a sua figlia? «Non lo so. Allora le dissi che ero un poliziotto, e che avevo fatto arrestare molte persone, perciò dovevamo scappare e cambiare nome. Adesso non so, davvero». Brunella Giovara TO «Sono stato licenziato dallo Stato senza una spiegazione Ma andrò in aula a testimoniare» «Se domani tornassi al paese sarei chiamato "infame" dai bimbi Sarebbe come morire giorno per giorno» A sinistra il pentito Rosario Spatola Sopra Ottaviano Del Turco presidente della Commissione antimafia In alto il procuratore di Palermo, Caselli

Luoghi citati: Sicilia