Mombasa, Eden in tumulto di Fiamma Nirenstein

Mombasa, Eden in tumulto Mombasa, Eden in tumulto Alberghi e capanne, lusso e povertà SONO tutti in fila gli alberghi di lusso, costruiti con una reminiscenza del lodge africano, e uno di essi fu addirittura inaugurato trent'anni fa da Yomo Kenyatta, il grande profeta dell'indipendenza e dell'orgoglio del Kenya. Il turismo doveva infatti essere una delle tante promesse della nuova democrazia, della vita moderna; doveva andare insieme all'idea di conservare per l'umanità le riserve dove gli elefanti e i leoni si godono il mondo così com'era ai primordi. E' scritto su ogni targa attaccata a muri ormai sbrecciati. Adesso da ogni parete, anche dentro i grandi alberghi, a sgombrare il terreno dalle illusioni di democrazia, troneggiano sopra la cassa grandi ritratti di Daniel Arap Moi, il presidente che pare abbia scatenato, lui in persona, le grandi violenze in corso per aver la scusa di ripulire il Paese e di non indire le .elezioni dopo vent'anni di potere. Akuna matata, il Kenya è un Paese democratico, i suoi abitanti gente pacifica e sorridente che fa tutto piano piano, pole pole; non spingeteli ad essere puntuali; non a costruire né a guidare come noi; non a consegnare merce cibo o quant'altro all'ora fissata. Così ripetono gli operatori turistici e spiegano che le agitazioni di cui parlano i giornali sono piccola cosa, eventi che non intaccano il placido carattere nazionale; e Moi in fondo è un bravo ragazzo, lo dimostrerà, darà le elezioni. Tutto va bene. Va bene per esempio anche agli abitanti delle isole Funzi, o alle tribù Masai. Li vai a trovare nei loro villaggi in cui si tocca con mano la meravigliosa intuizione di Karen Blixen che l'Africa è il punto di contatto assoluto e indistricabile fra il bene e il male, il meraviglioso e l'orribile. L'intreccio delle foghe dei tetti conici, la perfezione delle palme, il canto antico, l'eleganza innata delle donne vestite di tutti i possibili colori; e poi l'orrore dell'assalto dei bambini alla caramella di sopravvivenza che il bianco elargisce a chi insiste di più, come un colonialista tanto peggiore di Karen Blixen in quanto totalmente inconsapevole e ignorante. O la benedizione accorata delle madri se regali loro una vecchia maglietta da sostituire a quella completamente stracciata, e certo unica, del proprio figlio. «Qui moriamo, speriamo che aprano l'albergo che ci hanno promesso» implorano gli isolani, i maestri della scuola di fango delle isole Funzi, nel verde paradiso del cocco; cinque minuti prima la guida turistica inglese aveva giurato che gli abitanti odiano l'idea stessa che si possa violentare la loro cultura con un impianto esterno di qualsiasi tipo. Akuna matata: le città e il traghetto ora tagliato dai ribelli sono ad ogni ora del giorno una marea limacciosa di volti neri che si riversano di mattina presto in città, a Mombasa, cercando di sfangare la giornata. A volte in cinque, quasi nudi, spingono l'unico carretto pieno di noci di cocco. Evidentemente si dividono i proventi, chissà quali, di questo lavoro di facchinaggio. Uscire di sera è letteralmente impensabile; in taxi, sconsigliabile. Se tieni il braccio fuori dal finestrino, il tassista ti chiede di tirarlo dentro «se non vuoi perdere l'orologio». Le folle fuori degli alberghi ti afferrano fisicamente per praticarti improbabili massaggi o per farti strette treccine nei capelli mostrando patenti e licenze rilasciate dal governo stesso. Le ville dei dintorni dove gli indiani benestanti o i ricchi bianchi vivono circondati da servitori sono sormontate sulle alte mura da fili spinati tutti quanti elettrificati. I poliziotti dondolano i manganelli sulle strisce dell'alta marea dell'Oceano Indiano, senza sosta, a protezione degli alberghi. I giornali raccontano che in un villaggio alcuni malviventi, una decina, sono stati giustiziati col linciaggio e poi bruciati dagli abitanti che avevano scoperto un loro progetto di furto di bestiame. Le chiese, le moschee, sembrano oasi fra un villaggio e l'altro; almeno là dentro c'è il pavimento invece della terra battuta e una sedia invece del solito accoccolarsi sul terreno. Ma anche qui, ùivece, le cronache parlano di incipienti guerre di religione, di un integralismo islamico montante; e dall'altra parte solo Moi, cristiano, che possiede un jet personale da decine di milioni di dollari mentre la sua gente muore di fame e di malattie tenibili. E' finito il tempo della grande generosità internazionale, quando ancora si credeva nel miracolo kenyota iniziato da Kenyatta. Giappone, Germania, Italia, e altri Paesi occidentali, generosi in aiuto che erano stati, hanno invece da tempo cominciato a chiedersi dove andavano a finire i soldi; sempre più si sono stufati della accertata, dichiarata diffusa corruzione che ha infilato proventi di milioni nelle tasche del presidente Moi e della sua cerchia. Ed è quindi di due settimane fa la sospensione del credito internazionale da parte del Fondo monetario che aveva destinato al Kenya 215 milioni di dollari. Quindi, di conseguenza, se fino ad oggi un kenyota ha vissuto con poco meno di un dollaro al giorno, adesso dovrà allenarsi a fare di meglio. E ormai Moi è andato molto al di là della preoccupazione per l'opinione pubblica che dà la rispettabilità: che importa ormai del mondo a chi fa eliminare i propri nemici politici sistematicamente, a chi si giova della morte «per caso» di poliziotti troppo intraprendenti, avventuratisi in indagini contro la corruzione, a chi arma una polizia che a ogni angolo impone posti di blocco per poi fermare soltanto chi turba l'ordine pubblico degli interessi molto privati di Arap Moi? Così l'unica risorsa, mentre manca ogni sviluppo e la rabbia fuma, è proprio la miseria delle tribù, che genera curiosità, immagini pittoresche, gracili membra avvolte di colore che si arrampicano su un cocco alto venti metri per un paio di calzini, merce molto richiesta. Oppure, resta sempre il ruggito del leone durante il safari. Akuna matata, una filosofia devastante per il continente africano intero che dovrebbe invece solamente dirsi: tutto va male, via Moi e i suoi pari, che si cambi tutto. Fiamma Nirenstein Qui accanto un gruppo di turisti italiani in partenza dalla Malpensa per Mombasa e nella foto a centro pagina un gruppo di kenyani attorno a un cadavere a Mombasa [FOTO ANSA]

Persone citate: Arap Moi, Daniel Arap Moi, Karen Blixen, Kenyatta, Masai

Luoghi citati: Africa, Germania, Giappone, Italia, Kenya