Storie di santi tra luce e ombra

Storie di santi tra luce e ombra Storie di santi tra luce e ombra FOSSOMBRONE I N anni lontani fu primo, e I per lungo tempo unico, il I Longhi a risalire le strade _AJdi quegli «uomini nuovi» della pittura, emigrati dalle province del Nord e della dorsale appenninica meno pervase dalle preziosità e capziosità della cultura fra Manierismo e Classicismo, aperti e imbevuti dalla «naturalità» e dalla concretezza di forme e di lumi, di atti e di accadimenti e, più esteriormente, di abbigliamenti e di realtà oggettuali contemporanee lasciate in Roma come traccia corposa della rivoluzione caravaggesca: nel sacro, in tempi di immagine controriformata tanto più significante a cospetto del popolo cristiano dei centri minori, e nel profano del nascente collezionismo. Scendevano fra primo e secondo decennio del '600 a Roma, dove già nel terzo quella traccia impallidiva e regrediva sotto la congiunta pressione del Barocco e di nuovi classicismi, e ritornavano in patria - i nordici a casa loro, gli italiani nelle variegate culture locali - a diffondere il nuovo verbo sugli altari e nei gabinetti gentilizi e curiali. Così anche Giovanni Francesco Guerrieri (1589-1657), figlio di Ludovico notaio, cancelliere, podestà di Mornbaroccio, feudo del cardinal Del Monte, protettore e mecenate del Caravaggio. Fossombrone gli dedica fino al 19 ottobre la mostra suddivisa fra le sale carenate a nave della montefeltrina Corte Alta, nobile minicopia estiva del Palazzo Ducale di Urbino, e la chiesa oratoriana di S. Filippo, per cui il pittore retour de Rome dipinse nel 1620 la pala d'altare. Dalle mani e ancor più dalla riflessione devozionale del Guerrieri era già nata nel 1613, nel pieno della stagione romana iniziata nel 1606 e poco prima della grande occasione di committen¬ za Juve di Proverbio za presso i Borghese, una delle opere più densamente impregnate di cupo spirito controriformato, ma nello stesso tempo più concretamente mtcssute di verità psicologica e ambientale: come recita la conunissione della Congregazione dell'Oratorio in S. Maria in Vallicella, «S. Carlo quando dice l'offitio con il B.P.», il Beato Padre Filippo Neri non ancora canonizzato; sacra natura morta che parifica nella violenza luministica da film muto di Lang o di Murnau le immagini contemporanee e «vissute» dal santo riconosciuto e di quello futuro e le pagine bianche e il dorso rosso dei libri di devozione come in un Baschenis. Nello stesso anno, il pittore torna brevemente in patria, a Sassoferrato per le Storie di San Niccolò da Tolentino in S. Maria del Ponte del Piano, commissionate da Vittorio Merolli, archiatra di Paolo V Borghese. In esse, fra i punti alti della mostra assieme alla sinfonia grigia e dorata della Santa Caterina da Siena del 1622 dalla cattedrale di Fossombrone, con ai piedi mia natura morta di frutta e pane degna di qualsiasi grande specialista, il registro cambia completamente. In una luce di chiarità meridiana ed entro spazi di verità quotidiana che nascono dalle presenze locali del caravaggismo morbido di Orazio Gentileschi (la mostra si apre con il confronto fra la Maddalena, prima operata datata 1611 del Guerrieri, e quella del Gentileschi per S. Maria Maddalena a Fabriano, con lo stupendo velo trasparente dei capelli biondi), le storie miracolose si dipanano con la linearità e la chiarezza della devozione «popolare», secondo il termine più volte sottolineato da Andrea Emiliani nel primo fondamentale studio del 1958 e ribadito nell'introduzione al catalogo Marsilio. «La dimensione morale è quella di una comunità rurale o di borgo, nulla si allontana per misura e per pittura da quel metro che si è tanto avvicinato alla presenza dell'uomo, e di un umanesimo semplice». Dall'incontro fra questo spirito di sacra magia quotidiana e la naturalità caravaggesca nasce l'incredibile illusionismo della polla d'acqua che scaturisce dalla canna in mano al santo e si espande con i suoi riflessi e trasparenze sui tavelloni in cotto del pavimento. Come altri compagni dell'andate e ritorno nelle province d'origine e della gran colonia nordica caravaggesca a Roma, il Guerrieri è comunque anche esponente di mi nuovo tipo di concretezza professionale fra sacro (controriformato) e profano, quasi corrispettivo sociologico della concretezza pittorica. Negli ultimi anni romani, la committenza Borghese esemplata da hot e le figlie e da San Rocco, singolari soprapporte per il palazzo romano, origina gran sfoggio di effetti a lume di candela, sontuosità tattile di vesti orientaleggianti e di oggetti preziosi, bellezza precoce di nature morte «povere» avvolte in panni bianchi, che rimarranno una «cifra» mirabile del pittore anche nella pittura sacra dei decenni provinciali lungo la valle del Metauro, fino all'ultima opera esposta a S. Filippo, il San Vittore del 1654, già in S. Lucia di Urbino.