Spy story guasta l'amicizia Egitto-Israele di Maurizio Molinari

Secondo l'accusa passava informazioni al Mossad ma il premier Netanyahu assicura che non è un agente MEDIO ORIENTE Secondo l'accusa passava informazioni al Mossad ma il premier Netanyahu assicura che non è un agente Spy story guasta l'amicizia Egitto-Israele Processo al Cairo a un israeliano che rischia la pena di morte Si è svolta ieri mattina al Cairo, davanti all'Alta Corte per la Sicurezza dello Stato, la sesta udienza del processo che rischia di far deragliare la già «fredda pace» fra Egitto ed Israele. Sul banco degli accusati c'è Azzam Azzam, un druso cittadino israeliano di 34 anni, accusato di essere stato dal 10 marzo al 23 ottobre 1996 un agente del Mossad in Egitto, incaricato di raccogliere informazioni sui progetti di sviluppo delle «Città del deserto». Assieme ad Azzam, che rischia la pena capitale, sono ugualmente accusati di «spionaggio» Emad Ismail, egiziano di 24 anni, e due donne araboisraeliane, Zahra Youssef Jeris e Mona Ahmed Shawahna. Azzam e Ismail, ieri in aula dietro le sbarre, sono detenuti nella prigione di Torà dallo scorso 2 novembre mentre le due donne vivono in Israele e si dicono estranee all'intera vicenda. L'arresto di Azzam e Ismail, entrambi dipendenti della società tessile israeliana Tifon presente in Egitto, avvenne alla vigilia dell'apertura del summit economico del Cairo sullo sviluppo del Medio Oriente e fu interpretato da molti giornali cairoti come la conferma dei «disegni spionistici» celati dietro gli investimenti stranieri in Egitto. Da allora Israele - con il premier Benjamin Nethanyahu ed il ministro degli Esteri David Levy - ha garantito più volte al presidente Hosni Mubarak in persona che «Azzam non è una spia». Denunciando invece «alcuni gruppi di pressione egiziani» contrari all'apertura del proprio mercato agli investimenti esteri e, soprattutto, ad una progressiva integrazione economica con Israele. E' sullo sfondo di questa guerra commerciale che si è celebrata ieri la nuova udienza, che ha visto protagonista Farid Al Dib, l'unico avvocato egiziano che ha accettato la difesa di Azzam e che per questo è stato in marzo picchiato in aula e poi in giugno denunciato come «traditore» all'Ordine degli Avvocati del suo Paese. Al Dib ha parlato davanti ai giudici per quasi quattro ore di fila, in un'aula grande non più di 40 metri quadrati aperta al pubblico. Procedendo per punti. Al Dib ha affrontato la tesi dell'accusa, secondo cui Azzam consegnò ad Ismail dell'inchiostro invisibile nascosto in una sottoveste femminile, per consentirgli di inviare messaggi segreti al Mossad. «Un perito indipendente ha potuto osservare la sostanza contestata - ha detto Al Dib davanti alla corte - ed ha rivelato che si tratta di polvere di limone, usata per conservare gli abiti». A parlare in favore del- l'accusa c'è tuttavia una lunga confessione autografa di Ismail. Ma Al Dib ha rivelato che «quel testo è stato estorto con la forza e scritto sotto dettatura di ufficiali dei servizi egiziani». Anche una perizia avrebbe appurato che «la calligrafia della lettera ed il linguaggio usato non sono quelli naturali dell'imputato». I giudici hanno ascoltato con attenzione l'arringa della difesa, che si è poi concentrata sulla figura di Ismail, accusato di essere stato reclutato da una delle due donne arabo-israeliane coimputate. «Ismail era follemente innamorato di Zahra, volevano sposarsi, andare a vivere in Israele o in America. Ma riuscirono solo a vedersi in Giordania» ha raccontato Al Dib, affermando che «i servizi egiziani sono in possesso di tutte le registrazioni telefoniche che provano la loro storia d'amore». Il giudice dell'Alta Corte per la Sicurezza dello Stato ha aggiornato ad oggi la nuova udienza, alla quale Israele guarda con il fiato sospeso temendo che «il verdetto di colpevolezza di un innocente» possa essere la cartina tornasole di un «rafforzamento al Cairo del partito ostile alla pace di Camp David firmata da Sadat». Maurizio Molinari Stessa imputazione per un egiziano e due israeliane rientrate in patria