«Noi albanesi onesti beffati»

«Noi, albanesi onesti beffati» Al centro di raccolta, lo sgomento di una trentina di famiglie in regola, che non sono sparite «Noi, albanesi onesti beffati» Brindisi: la rabbia dei cento che torneranno a casa BRINDISI DAL NOSTRO INVIATO Inglesi, tedeschi, francesi, persino una coppia di islandesi. Com'è cambiata Brindisi dalle convulse giornate di marzo, costellate dagli sbarchi di migliaia di albanesi sulle banchine della stazione Marittina. Nel soffocante clima della domenica di Ferragosto è adesso tutta una processione in dieci lingue, con i vacanzieri che, arrivati in porto aaiia Grecia, si arrampicano su per corso Garibaldi, verso la stazione ferroviaria, sotto il peso degli zaini e del sudore. Per trovare un albanese occorre bussare in via Cittadella 6, proprio nel dedalo di viuzze del centro storico, a pochi metri dai bastioni che circondano il porto militare. Muri scrostati che un giorno erano beige, portoni di metallo spesso ingentiliti da una mano di azzurro carta da zucchero, due piani di stanze e cameroni che si affacciano su un grande cortile, rigorosamente quadrato. Ecco la ex caserma Ettore Carraffa d'Adria, conte di Ruvo. Chi era, lo spiega la lapide sotto l'androne: «Patriota e soldato, la nobile vita spese per amore di libertà». Stride quell'accenno alla libertà, stride perché qui si consuma l'attesa di 114 albanesi, i più regolari della torma dei 16.964 sbarcati in primavera, probabilmente anche i primi a partire prossimamente se il governo stabilirà che il 31 agosto i loro premessi di soggiorni «umanitari» scadranno per davvero. Alla Carraffa, da cinque mesivivono mia trentina di famigliecon quaranta bambini. Obbligo di residenza in caserma, libera uscita dalle 7 alle 22, previa registrazione all'ufficio di polizia. Egente che non se ne è andata, che non ha fatto perdere le proprie tracce in giro per l'Italia, che non ha cercato di mettere mano su uno dei migliaia di permessi dsoggiorno fasulli, ormai imitati a regola d'arte, così da confondere più di un poliziotto. «Non l'abbiamo fatto perché siamo gente onesta - spiega Ilir, 30 anni, da Leja, Nord d'Albania -, e soprattutto perché credevamo che rispettando sino in fondo le leggne avremmo avuto un tornaconto. Era il solo modo per dimostrare la nostra serietà, il nostrimpegno. E invece? Invece finirche, fra le migliaia che hanno in tasca un permesso di soggiornumanitario, saremo i primi aessere rimpatriati. Non è giustoma è praticamente inevitabile».Per spiegare la situazione, utile fare un passo indietro. De16.964 albanesi sbarcati in Italia, circa 6200 sono stati immediatamente rimpatriati, utilizzando la formula (peraltro macompletamente chiarita) de«non gradimento». Degli oltr10.000 rimasti in Italia, circ1500 hanno fatto domanda dasilo politico e sono stati accolnei campi profughi, in attesdell'esame della loro posizioneDei restanti 9000, poco più d2000 sono ancora ospiti di centdi raccolta, mentre circa 700 sono spariti, «dispersi» sul territorio italiano. La metà lo ha fatto semplicemente allontanandosi senza lasciare notizie di sé, l'altra metà lo ha invece fatto inizialmente in modo regolare e cioè fornendo un indirizzo sul territorio italiano a garanzia della reperibilità. Dai primi controlli pare accertato che la stragrande maggioranza dei recapiti era di fantasia e dei pochissimi veritieri quasi tutti gli albanesi si sono nel frattempo allontanati. Ci si trova, insomma, di fronte a persone che si sono comportate da clandestini, pur se material- mente in possesso di un permesso di soggiorno. E' contro questa situazione che si scagliano alla Carraffa. Aidin, 34 anni, di Valona, ha parole dure: «Possibile che il governo italiano sia così cieco? Premia la clandestinità di chi ha disobbedito, colpisce il rigore di chi ha sempre osservato disposizioni e leggi». Nel cortile assolato si intrecciano decine di storie: quella di Enver che ha stretto una grande amicizia con un giovane carabiniere con il quale ha girato tutta la Puglia, quella di Rheno che ha avuto la «fortuna» di es¬ sere naufrago e per questo ha ottenuto un permesso provvisorio più lungo, quella di Ismir che ha trovato due lavori (mio da cameriere a Ostuni, un altro da domestico a Forlì) ma non la strada per ottenere un permesso duraturo. Proprio il lavoro apre un dibattito ampio: perché tutti raccontano di averne trovato tanto, persino in questa provincia che ha tassi di disoccupazione da capogiro. Ma poi ecco emergere lo sfruttamento del caporalato quando si parla di «padroncini che arrivano in piazza con i furgoni al mattino alle 7 per portarci a raccogliere pomodori ma anche uva e barbabietole da zucchero, per 40.000 lire al giorno». Cioè 14 ore a 2800 lire all'ora. Qui ci sono anche quaranta bambini, con storie più semplici, meno drammatiche ma ugualmente ricche di umanità. Le raccontano nel disadorno patio, strappati per qualche minuto alla televisione che li intontisce dal mattino alla sera. Mimoza, che ha 7 anni e capelli a caschetto, pensa ai compagni di scuola: «Ho frequentato una classe delle elementari per due mesi. Ho im¬ parato l'italiano, ho trovato mi sacco di amici. Se torno in Albania non li rivedrò più». Tanja, 8 anni, pensa al pranzo ed alla cena: «Qui si mangia due volte al giorno, e ci danno anche le merendine che a Durazzo vedevamo solo alla tivù». Lucas vive la grande paura di perdere la sua bicicletta, rossa e un po' ammaccata: «Me l'ha regalata un signore che nemmeno conoscevo. E' bellissima, non la voglio lasciare qui. Se devo tornare a casa, potrò portarla con me?». Angelo Conti «Perché il governo italiano è cieco? Premia la clandestinità di chi ha disobbedito e punisce il rigore di chi osserva le leggi» '•'. - li" Immagini dell'invasione albanese della scorsa primavera: una nave si avvicina a Brindisi e un gruppo posa in un campo di raccolta. In basso, «Zani», l'ex re di Valona.

Persone citate: Angelo Conti, Mimoza, Stride, Zani