TODOROV: DIALOGHIAMO PER NON ESSERE SPAESATI di Felice Piemontese

TODOROV: DIALOGHIAMO PER NON ESSERE SPAESATI TODOROV: DIALOGHIAMO PER NON ESSERE SPAESATI L'UOMO SPAESATO Tzvetan Todorov Donzelli pp. 181 L. 25.000 L'UOMO SPAESATO Tzvetan Todorov Donzelli pp. 181 L. 25.000 A speculazione romantica ha fatto dello spaesamento una categoria metafisica, ossia un modo per definire l'essenza stessa dell'uomo, eternamente esule sulla Terra; e della nostalgia il sentimento più nobile e vero, in quanto sofferenza connessa con Timpossibilità di tornare a quella patria ideale da cui fummo espulsi. Questo atteggiamento - che dal punto di vista psicologico rinvia a una predominanza dell'archetipo materno e ad una ipervalorizzazione dell'inconscio come luogo del felice naufragio dell'individualità - ha spesso, sul piano sociale, conseguenze piuttosto negative. Esso favorisce infatti il ritiro dagli impegni e dalle responsabilità concrete (se la vera patria è altrove, perché occuparsi dei piccoli affari di questo mondo?) e una propensione al nichilismo, in cui facilmente si dissolve il sentimento dei valori. Se la verità sta tutta nel passato mitico o nel futuro indefinito dell'utopia, il mondo è soltanto un non luogo in cui aggirarsi inquietamente alla ricerca di tracce che presto svaniscono; non certo una realtà che sentiamo nostra e desideriamo perciò accudire e sviluppare. Di conseguenza, l'intellettuale moderno si è spesso specializzato nella critica radicale del presente e nella elaborazione di modelli astratti, nei quali le idee han¬ no ben pochi rapporti con la realtà e con le relazioni effettive (e affettive) tra gli individui. La fantasia di appartenere a una élite, che conosce le illusioni di cui il mondo è intessuto, permette di legittimare un relativismo sistematico, che toglie alla nozione di verità e alle distinzioni etiche ogni forza obbligante e le abbandona al libero gioco delle interpretazioni. Si può allora intendere meglio come mai molti intel¬ lettuali abbiano scelto di diventare in qualche modo complici di regimi totalitari, come quelli comunisti, irridendo ai valori della democrazia «borghese» e chiudendo gli occhi di fronte agli errori ed orrori che quei regimi commettevano, o giustificandoli. L'utopia, vissuta infantilmente come possibilità concreta e non come orizzonte ideale, legittima il cinismo e l'opportunismo mentre attribuisce generosamente all'intellettuale la funzione di vate. Nel frattempo, mentre si attende l'avvento del Regno, è permesso guardare alla realtà presente con lo sguardo disimpegnato dell'esteta. Tzvetan Todorov delinea in questo libro chiaro e convincente una immagine ben diversa di intellettuale e, per così dire, la mette alla prova in una serie di analisi profonde, appassionate e spesso anticonvenzionali, su argomenti quali l'esperienza totalitaria, i campi di concentramento, i vizi degli uomini di cultura, il razzismo, la censura, il rapporto tra ideologia e vita quotidiana, i limiti del decostruzioni¬ smo nella critica letteraria, il declino dei valori dell'autonomia nella società americana. Temi apparentemente poco omogenei, che trovano però una unità di discorso nell'atteggiamento mentale dell'autore. Che è un intellettuale democratico nutrito di realismo e di una idea forte dell'etica, il quale non pensa mai al mondo del pensiero e della cultura come ad un universo autosufficiente ma piuttosto come a un luogo che è in costante contatto con i problemi della vita quotidiana e della convivenza tra gli uomini. Egli può permettersi perciò di reagire sia allo snobismo aristocratico del nichilista sia al dogmatismo dei custodi della verità, e di predicare l'ideologia del dialogo, Todorov: esce da Donzelli il saggio «L'uomo spaesato», la ricerca di una «modello» intellettuale per il dialogo tra le culture, ripercorrendo temi quali l'esperienza totalitaria, il razzismo, la censura, il rapporto tra ideologia e vita quotidiana connaturata con lo spirito democratico, che lo porta a concludere che «una infinita nagoziazione rappresenta la vita stessa: si protesta e si cede, si dà e si riceve... Gli adulti finiscono per imparare che soddisfazione e felicità non si ordinano ma si negoziano e si rinegoziano nel corso di tutta l'esistenza». Circola nel libro una attenzione ai valori del sentimento, che consente a Todorov di usare parole pericolose quali verità, giustizia, universalismo, umanesimo, civiltà, che nel concreto delle singole analisi vengono riscattate da quell'aura di illusoria grandezza che spesso le rende impronunciabili. Un sentimento positivo della vita - lo stesso che rende questo libro affascinante ma non banale - ha permesso a Todorov, trasferitosi già adulto dalla Bulgaria a Parigi, di non cedere al vittimismo nostalgico, e anzi di trarre dall'appartenenza a due patrie stimoli alla curiosità, alla tolleranza e all'analisi non preconcetta della realtà. DOUGLAS UNAWTA IN PIEDI NORMAN DOUGLAS Ciro Sandomenico La Conchiglia pp. 260, L. 30.000. probabile che il nome di Norman Douglas dica poco alla maggior parte dei lettori, nonostante la pubblicazione da Adelphi di uno dei libri più rappresentativi (Bi- suoi suoi Augusto Romano ghetti da visita, apparso nel 1983 a cura di J. Rodolfo Wilcock). Eppure si tratta senz'ombra di dubbio di uno dei personaggi più singolari apparsi sulla scena letteraria nella prima metà di questo secolo: narratore e saggista, scienziato, musicista, studioso di antichità, poliglotta, dicono i manuali letterari. E fu certo tutte queste cose insieme. Ma, forse soprattutto, uno che scelse di vivere in un certo modo e per tutta la sua lunga esistenza fu intransigentemente fedele a questa scelta. Tanto è vere che, in tarda età, quando la maggior parte degli uomini sono in attesa più o meno paziente e consapevole della morte, scelse stoicamente di anticipare i tempi, se così si può dire, con una adeguata dose di barbiturici. Un'esistenza così eccentrica come quella di Douglas ha suscitato l'interesse, nel mondo anglosassone, di numerosi biografi. Nancy Cunard, Mark Holloway, Costantine Fitzgibbon e altri. Ecco ora anche una biografia italiana, scritta da.Ciro Sandomenico, appassionato bibliofilo e studioso dell'opera douglassiana. E non è certo un caso se il libro, appropriatamente intitolato Norman Douglas. Una vita indecente esca da una piccola, raffinata casa editrice di Capri, l'isola alla quale lo scrittore scozzese volle legare una parte cospicua della sua esistenza e dove è sepolto (sulla sua tomba, nel piccolo cimitero acattolico, un epitaffio oraziano: Omnes eodem cogimur, Andiamo tutti nello stesso posto). «Indecente», la vita di Douglas (nato nel 1868 e morto nel 1952) lo fu certamente, e in molti sensi: erede di una ricca e aristocratica famiglia scozzese, visse per gran parte di magri diritti d'autore e delle generose sovvenzioni di amici; attratto, in giovane età, dalle donne, si sposò ed ebbe due figli, salvo poi scoprire che ragazzini e adolescenti esercitavano su di lui un fascino irresistibile, tanto che si trovò spesso in situazioni che eufemisticamente possiamo definire imbarazzanti, conobbe la prigione e fu vittima di ricatti. Su questi aspetti della vita di Douglas, peraltro, il biografo si sofferma solo lo stretto necessario, trascurando anzi in buona parte la ricchissima aneddotica su «Uncle Norman», e considerando la dimensione di «peccatore» di Douglas, come dice Francesco Durante nella sua brillante prefazione, «nulla più che un ininfluente a priori, un tratto fondante del carattere, ma non per questo la cifra sotto la quale iscrivere un'avventura intellettuale così piena e feconda». L'elemento fondamentale di questa avventura fu senza dubbio la scoperta della «mediterraneità», intesa non solo e non tanto come dato geografico ma come connotato antropologico-mitico le cui caratteristiche apparivano meritevoli di un'indagine dalle infinite articolazioni: mito-poietiche, naturalistiche, letterarie, paesaggistiche. Magari anticipando di alcuni decenni la letteratura on the road, dal momento che alcuni dei libri di Douglas sono per l'appunto resoconti di viaggi compiuti in gran parte a piedi. C'è da dire peraltro che la fascinazione per la terra delle sirene (titolo di uno dei libri dedicati a Capri) non obnubilò Douglas al punto da non fargli vedere i sintomi sempre più allarmanti di un male che avrebbe in gran parte annullato la magia di quei luoghi. Nei suoi ultimi scritti abbondano le invettive contro i gitanti chiassosi, le brutture architettoniche, «i prezzi estorsivi per alloggi miseri», i cibi pessimi, il vino imbevibile («Sono finiti i giorni felici: perfino in queste alture delle Sirene la quiete è stata ridotta in frantumi dal delirante agglomerarsi degli uomini, incapaci di vivere da soli...»). Felice Piemontese |

Luoghi citati: Adelphi, Bulgaria, Capri, Parigi