La Padania pagana del senatur

La Padania pagana del senatur La Padania pagana del senatur Dal «Dio Po» alle nozze celtiche DEE. CARROCCIO IN principio, a bandire la crociata, era Irene Pivetti, non ancora deputata del Carroccio e tanto meno «Prima Signora» di Montecitorio. Il futuro Presidente della Camera, allora alla guida della più modesta «Consulta cattolica» del Carroccio, partiva all'attacco del cardinale Carlo Maria Martini. Porpora progressista. Poi, di pari passo con il successo elettorale, è il senatur a incaricarsi di persona delle «mitragliate» oltre il Tevere. Giugno 1992: da Lodi, Wojtyla esorta i fedeli a evitare «gli scogli dei particolarismi, ideologici e di categoria». Bossi s'infuria: «E' una provocazione che il Papa venga in Lombardia a stigmatizzare le tangenti e poi tiri contro la Lega. Io non vendo la libertà per una tiara». Replica l'«Osservatore»: «Povertà d'animo... misere vicende». Ma Bossi non demorde. «Proporrò al consiglio federale di fare una nuova Consulta - tuona dal palco in piazza Duomo, a Milano -. Dalle nostre parti, ci sono dei protestanti che mostrano dei segnali». Il replay è nel novembre dello stesso anno. Giovanni Paolo II torna nelle roccaforti dei fedelissimi di Alberto da Giussano e, dalle diocesi di Crema e Cremona, rilancia il suo appello contro i pericoli delle «divisioni» e della «disgregazione sociale». Bossi non attacca, ma si difende: «Io mi occupo di politica, il Papa si occupi di religione». Poi, però, parte l'affondo: «Dicono a Milano: Ofelè, fa '1 to meste'». L'autunno '93 è quello dell'8 per mille. Alla «Settimana Sociale» di Torino, il Papa spedisce un messaggio col quale invita esplicitamente a «rafforzare il senso dello Stato». E la Lega si scaglia contro «quei chierici di oltre Tevere troppo impegna¬ ti a sostenere quel che resta della democrazia cristiana». E' Gianfranco Miglio, già professore alla Cattolica e ancora ideologo di Bossi, a partire lancia in resta: «Alla fine dovranno pagare il conto. Wojtyla si sta occupando di cose italiane più di Pio XII, ultimo grande Papa». Due giorni dopo, tocca al senatore Giuseppe Leoni: «La Chiesa aiuta la de; negatele l'8 per mille voluto dal Concordato di Craxi. Un vero voto di scambio di cui la Lega vorrà ridiscutere: anche la Chiesa dovrà tornare a vivere con i propri mezzi». Agosto '94. Morto lo scudocrocia- to, resta la Chiesa il nemico numero uno del Carroccio. «Il federalismo - spara Bossi - esiste solo nei Paesi protestanti. Vedi gli Stati Uniti. E, in Francia, con la Vandea, è arrivata la rivoluzione... Un partito dei cattolici sarebbe un dramma per il Paese, porterebbe al totalitarismo. La Chiesa ha difeso il federalismo solo per tutelare l'autonomia del diritto canonico. Poi, si è alleata con lo Stato centralista». Novembre '95. Ai precongressi della Lega, il parlamentare Mario Borghezio propone la creazione di una «Chiesa del Nord». Se non fosse per Irene Pivetti, tutta rosario e politica, il lumbard sarebbero già finiti da tempo come Martin Lutero. Ma Bossi non demorde e toma sulla abiura dell'8 per mille. Replica Camillo Ruini, presidente dei vescovi italiani: «Non ci facciamo condizionare dalle minacce. L'unità resta un impegno della Chiesa. Il cattolicesimo contribuisce a legare la grande maggioranza degli italiani». Il senatur gioca sul cognome del cardinale: «Ruina (rovina, ndr) d'Italia». Lo scontro diventa serrato e duro negli ultimi mesi del '96. Proprio quando, in vista del «battesimo» della Padania, la «religione» di Bossi - che pur sostiene di avere nelle parrocchie e nei preti delle roccaforti lumbard (nel «basso clero») il suo zoccolo duro - sembra farsi più pagana: il rituale dei raduni leghisti si riempie dei simboli celtici (matrimoni-bis compresi, con tanto di sacerdotessa); l'inno è al «Dio Po» o al Sole; Milano abiura la protezione della Madunina per invocare quella del cinghiale lanuto... E la battaglia secessionista ispira l'ironia di Bossi: «Roma? Lasciamola al Papa». Ma San Pietro resta nel rnirino. «E' la Chiesa il principale ostacolo alla secessione, potere impegnato a intrallazzare nei vari Palazzi - attacca il senatur -. Comunque, non deve temerci: Dio era federalista». E' proprio il cardinale Martini a replicare, da Milano. Se arriveremo alla secessione, lei, eminenza, come reagirà? «Un pastore ambrosiano deve sempre restare al suo posto. Come il cardinale Schuster restò a Milano sotto i bombardamenti dell'ultima guerra». Mario Tortello