« Via l'inchiesta da Brescia »
« V « Vìa l'inchiesta da Brescia » Bertoni (pds): accanimento giudiziario MILANO. «Tempo sprecato e accanimento giudiziario»: così Raffaele Bertoni, senatore della sinistra democratica, definisce le indagini condotte a Brescia su Antonio Di Pietro e chiede che l'inchiesta passi ad un'altra sede. «Tutte le accuse contro Di Pietro di cui si è occupata la procura di Brescia sono risultate infondate - sostiene - ma i magistrati continuano periodicamente a indagare sugli stessi fatti». Davvero è tutto finito in nulla? Questo il dato oggettivo: per due inchieste (sui computer alla procura di Milano e sulla presunta concussione all'ex ministro Remo Gaspari) Di Pietro è stato prosciolto dal gip e la sentenza è stata confermata in appello. Per altre tre inchieste (sull'interrogatorio al generale della Finanza Cercieilo, sul concorso per i vigili urbani di Milano vinto da Eleuterio Rea, sul prestito da Giancarlo Gorrini) è stato prosciolto dal gip. Per un'altra inchiesta (irregolarità nei verbali d'interrogatorio) pende la richiesta di rinvio a giudizio. Infine., è aperta l'ultima in¬ chiesta, quella più complessa, ormai divisa in diversi filoni: riguarda i rapporti di Di Pietro con Francesco Pacini Battaglia e le accuse contenute nel memoriale di Antonio D'Adamo. Ed è quella in cui si inserisce l'ultima vicenda: il presunto «trattamento di favore» giudiziario nei confronti di Sergio Radaelli, socialista, ex consigliere di amministrazione dell'Atei e della Cariplo. Ma Di Pietro, nei confronti della procura di Brescia, non ha bisogno di aspettare le levate di scudi politiche a suo favore. Sa benissimo difendersi da solo. Tant'è vero che, prima dell'interrogatorio di Eleuterio Rea, aveva inviato un esposto per raccontare la sua versione del caso Radaelli. L'esposto data al 18 luglio, cioè poco dopo l'uscita del settimanale Panorama contenente il memoriale di D'Adamo. La sintesi di Di Pietro è questa: non solo non ho favorito Radealli ma ho fatto di tutto per scoprire chi si nascondesse dietro la sigla «Rad». «Di quanto affermo - scrive - vi è la prova documentale, cioè le cassette relative all'istruttoria». Piccolo passo indietro: Di Pietro conduce l'inchiesta sulle tangenti all'Atm; si scopre una specie di libro mastro con cifre e sigle; una è «Rad»; Rea è in¬ caricato di dare un nome a questa sigla; potrebbe essere Radaelli ma all'Atm se ne contano dieci. E' Sergio Radaelli quel «Rad»? Di Pietro lo chiede insistentemente durante il processo; specie a Claudio Provini, il funzionario che conservava il «libro mastro». Nessuna risposta. E solo alla fine dell'istruttoria dibattimentale al processo - ricorda Di Pietro nell'esposto - chiede l'archiviazione della posizione di Radaelli. Questione finita? No, perché al processo d'appello un altro funzionario, Attilio Lupi, si pente e fa i nomi: «Sì - dice in aula - il signor Rad era Sergio Radaelli». Il quale nel frattempo era finito incriminato per altre e più consistenti tangenti. Alla fine dell'udienza il sostituto procuratore generale chiede che «gli atti siano rimessi all'ufficio del pm per la riapertura delle indagini a carico di Sergio Radaelli». E' il 30 ottobre '93. «A seguito di questa evenienza - ricorda ancora Di Pietro - ho provveduto a contestare l'addebito al Radaelli, come risulta dall'interrogatorio del 2 dicembre '93». Basterà questa autodifesa di Di Pietro a dissipare le nubi sul caso Radaelli? Facile dubitarne: il «tormentone» sembra destinato ad altre puntate, [r. m.] L'ultima indagine aperta sui rapporti con Pacini Battaglia e il caso Radaelli canidopo Pacini Battaglia e, a destra, il gen. Cercieilo
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