L'avvocato: al processo con la paura del ricatto
L'avvocato: al processo con la paura del ricatto L'avvocato: al processo con la paura del ricatto Li UCLA Falzone ha 31 anni, fa l'avvocato in Sicilia e da quattro anni difende una ventina di collaboratori di giustizia. Nel bene e nel male, è diventata uno degli «avvocati dei pentiti». Nel bene perché è uno di quei difensori che credono nel lavoro che fanno, e che dicono «a differenza dei miei clienti, non mi pento della scelta fatta». Nel male, perché «chi si specializza in pentiti si ritrova, come dire, a essere "marchiato", c'è una sorta di ghettizzazione. Ormai non potrei più difendere un imputato, senza che questo venga subito indicato come pentito». Cosa pensa dei tre del clan Santapaola che sarebbero stati «perdonati» da Cosa nostra? «Di loro non penso niente. Piuttosto ritengo che ci si doveva pensare prima, ai rischi del 513, che si presta ad una molteplicità di attacchi nei confronti del collaboratore. Pensi a quel pentito che corre il pericolo, adesso, di vedersi sequestrare un famigliare, ad esempio. Guardi che le faccio questo ragionamento da difensore di collaboratori che finora non si sono mai rifiutati di andare in aula a confermare le loro deposizioni». E i suoi clienti, che pensano? «Sono perplessi». E sono anche spaventati? «Più che spaventati, preoccupati». Crede che qualcuno di loro ci ripenserà, e non tornerà in aula? «Non credo. Vede, io ritengo che sia loro dovere rispondere. Da avvocato, sostengo che è giusto non sottrarsi al contraddittorio in aula. Il pentito va interrogato dagli altri avvocati, va sottoposto ad esame e contro esame, E dico anche che era giusto trova- re un correttivo a questa possibilità di avvalersi della facoltà di non rispondere. Il correttivo è stato trovato, ma a quale prezzo?» Quale? «Al prezzo che oggi si va in aula con molte più paure. E ad ogni udienza si può essere oggetto di ritorsioni, minacce. Guardi che la molla principale che fa scattare nel mafioso la volontà del pentimento è la famiglia, la possibilità di tornare assieme ai propri figli e moglie, la preoccupazione per il loro destino. Ed è proprio lì che la mafia può tornare a minacciare e colpire il pentito». Come nel caso del figlio di Di Matteo? «Sì, certo, quello è un caso emblematico. Ma ve ne sono anche altri, vendette trasversali, ritorsioni tremende... E d'ora in poi le testimonianze saranno certamente meno serene, questo è sicuro». E quali conseguenze prevede? «Rispondo per i miei clienti, non credo che cambieranno idea». A chi si riferisce? «A Scarantino, che si è autoaccusato della strage di via D'Amelio. A Ferrante, coinvolto nella stessa strage, oltre che in quella di Capaci, e nell'omicidio Chinnici. A Gangi, che oltre a Capaci e Chinnici, risponde di Cassarà e Dalla Chiesa. E agli altri...». Ma lei che idea si è fatta, della faccenda 513? «Difficile capire cosa ci sia dietro. Ma certamente l'organizzazione vuole trattare». «L'organizzazione» nel senso di Cosa nostra? «Sì. Forse vuole proprio sfruttare le "possibilità" che le vengono offerte dal 513». Brunella Giovara
Persone citate: Brunella Giovara, Cassarà, Chinnici, Dalla Chiesa, Di Matteo, Falzone, Santapaola, Scarantino
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