Assalto nella notte al porto di Mombasa: quindici morti

Assalto nella notte al porto di Mombasa: quindici morti Assalto nella notte al porto di Mombasa: quindici morti KENYA liberati dalle celle i detenuti, saccheggiata l'armeria, dati alle fiamme gli uffici. Nessun turista straniero coinvolto nel raid Misterioso commando di cento uomini blocca i traghetti e attacca due commissariati NAIROBI. Due commissariati presi d'assalto. Quindici persone ammazzate (tra cui sette poliziotti). Un'armeria saccheggiata. Alcuni famigliari degli agenti di polizia presi in ostaggio. La notte di paura a Mombasa è cominciata quando un commando di un centinaio di persone ha invaso improvvisamente il porto della città dirigendosi verso due stazioni di polizia e assaltandole. Gli uomini del raid hanno prima attaccato il commissariato di Likoni, nei pressi della zona portuale: qui hanno scardinato e abbattuto le porte delle celle liberando le persone che vi erano detenute. A terra è rimasto vittima un poliziotto, mentre è stato rubato un notevole quantitativo di armi. Poi si sono diretti verso l'ufficio della polizia presso l'imbarco dei traghetti dove sono avvenuti gli scontri più gravi, con sei poliziotti e numerosi assalitori uccisi. L'uffico di polizia è stato quindi cosparso di benzina e incendiato e alcuni poliziotti, bloccati nei loro uffici, sono morti bruciati. Anche altri edifici del porto sono stati dati alle fiamme. Prima di dileguarsi il commando ha trattenuto in ostaggio alcuni famigliari degli agenti. La «Kenya broadcasting corporation» ha reso noto da Nairobi che i combattimenti a Likoni sono scoppiati alle 20 e sono durati circa due ore. Alla fine oltre trenta persone sono state ricoverate in ospedale seriamente ferite. Secondo alcune testimonianze gli assalitori apparivano ben organizzati e parevano seguire un piano d'azione molto preciso. Hanno bloccato il movimento dei traghetti per impedire l'arri¬ vo di altri contingenti di polizia ed erano in grado di ascoltare le comunicazioni via radio delle forze dell'ordine. I gravi disordini sono avvenuti nella zona del Kenya maggiormente battuta dai turisti. Nessun turista sembra però rimasto implicato nelle violenze. Ed è proprio per proteggere i numerosi stranieri in visita e in transito in questo porto dell'Oceano Indiano che si spiega la presenza di così tanta forza di polizia. Nella zona del porto di Mombasa vivono anche tutte le famiglie degli agenti che prestano servizio nei due commissariati. L'episodio dell'altra notte ha creato molta apprensione per l'industria del turismo locale, preoccupata che possa, adesso verificarsi un calo delle presenze. Il giorno dopo a Mombasa sembrava comunque tutto tranquillo. Le forze dell'ordine, giunte anche da Nairobi, hanno compiuto numerosi arresti, lanciando un'operazione ad ampio raggio per riportare il più rapidamente possibile la calma nella zona. I motivi dell'assalto per il momento restano oscuri. Il portavoce della polizia Peter Kimanthi ha detto che è troppo presto per dire se dietro l'attacco ci sono motivazioni politiche o se si sìa trattato di un puro atto criminale. C'è chi avanza l'ipotesi che l'attacco potrebbe essere legato ad antichi contrasti etnici, in particolare tra i Digo e i Luo. Non si escludono anche rapporti con la generale crisi politica in cui versa il Paese, in agitazione per le riforme, e che spesso è sfociata negli ultimi mesi in incidenti con vittime tra la polizia e i dimostranti che invocano tali riforme. La regione di Mombasa, inoltre, è la roccaforte del partito islamico del Kenya. E' possibile anche una matrice più locale. In questo caso lo scopo dell'assalto sarebbe stata solo la liberazione di alcune persone arrestate e forse maltrattate dalla polizia. [Ansa] l'uomo dal viso emaciato condivide con un estraneo la litania dei suoi ossessivi ricordi di fanatico... 11 20 gennaio tutto ò pronto e il gruppo va alla Birla House, la residenza prestata a Gandhi dalla celebre famiglia di industriali. E' lì che Gopal, che inizialmente doveva recitare un ruolo di secondo piano, si trova trasformato in protagonista. «A Badge, il trafficante d'armi, cedettero i nervi e fu a me che passò il compito di sparare al Mahatma». Il tentativo non ebbe successo, per la mancata ispezione preventiva del posto. Gopal non fece uso del suo revolver calibro 7,63; e lo scoppio di una bomba all'esterno dell'edificio, a opera del rifugiato punjabi Pahwa, allo scopo di sviare l'attenzione, non servì a niente. La banda di dilettanti fece fiasco. 11 gruppo si disperava: «Morivamo di vergogna per l'insuccesso». La missione fu poi portata a termine, dieci giorni dopo, da Nathuram: il 30 gennaio il Godse primogenito sparò tre colpi al torace nudo del Mahatma, che si sarebbe accasciato mormorando il nome di Rama, il grande dio del pantheon hindu. Una versione contestata da Gopal, che nega al grande uomo di aver avuto la presenza di spirito di invocare il dio in punto di morte: «Si trattò solo di un soffio, nient'altro...». La sera, il Pandit Nehru trovò ancora una volta le parole giuste per salutare, in un discorso ispirato, la memoria del suo amato Mahatma col quale, peraltro, non aveva fatto che litigare negli ultimi tempi: «La luce si è spenta sulle nostre vite e non restano che tenebre...». Nathuram sarà condannato a morte e impiccato. Andrà all'esecuzione «con coraggio e buon umore», ricorda Gopal, che era detenuto nella stessa prigione. «Compiuta la sua missione, Nathuram voleva morire: impiccandolo, l'India impiccava anche la teoria della non violenza predicata da Gandhi». Gopal ha conservato devotamente le ceneri del fratello, giurando di disperderle un giorno nell'Indo, il grande fiume fra l'India e il Pakistan, «quando il Paese sarà di nuovo unito». Liberato nel 1969, beneficiando della remissione della pena (era stato condannato all'ergastolo), conduce oggi una vita tranquilla a Puna, non lontano da Bombay. Bruno Philip Copyright «Le Monde» e per l'Italia «La Stampa»