« E noi decidemmo di uccidere Gandhi »
« « E noi decidemmo di uccidere Gandhi » Il fratello dell'omicida: colpa sua la vivisezione del Paese UN KILLER MANCATO ©NEW DELHI ANDHI era su un podio, e mi daya le spalle. Ma da dove ero piazzato, nella camera di un servitore che stava lavorando nel grande bungalow, non potevo prendere di mira il Mahatma col mio revolver: i finestroni che davano sul giardino erano troppo alti. Mi impadronii di un divano e lo addossai al muro. Niente da fare: le mie mani scivolavano sul davanzale della finestra. Non potei mettere in atto il piano. Avevo fallito. Fuggii. Ebbi persino difficoltà, nella precipitazione, a riaprire la porta che avevo sprangato...». Il 20 gennaio 1948 Gopal Godse, l'uomo che voleva uccidere il Mahatma Gandhi, fallì miseramente nel proposito di sopprimere l'oggetto del suo rancore. Suo fratello Nathuram doveva poi riuscire dove lui aveva fatto fiasco: il 30 gennaio avrebbe assassinato il Mahatma. Quasi mezzo secolo più tardi, Gopal, il fratello dell'assassino, non ha dimenticato. Né il suo odio, né le ragioni che lo spinsero a cercare di assassinare l'eroe tragico della lotta antibritannica. Perché quasi cinquant'anni dopo il dramma questo vegliardo dal viso emaciato, impeccabilmente vestito di un kurta-pyjama bianco, la fascia da brahmino di casta superiore attorno alle spalle, non si pente del suo crimine mancato, né rimpiange i ventun anni di prigione che gli costò la partecipazione al complotto contro il Mahatma. «Centinaia di migliaia di hindu sono morti nella Partizione - fra India e Pakistan, ndr - e il Mahatma Gandhi se n'era infischiato. Òhe contavano, al confronto, la prigione o la morte? Per tutta la vita mi sono battuto per la causa dell'India. Mai per me, mai per ricavarne alcun vantaggio personale!». Gopal Godse entrò nella storia di riflesso: l'anima del complotto fu suo fratello, Nathuram. Quest'ultimo, redattore capo della rivista estremista «Hindu Rashtra», aveve riunito attorno a sé una banda di esacerbati dalla Partizione, simpatizzanti di un movimento ultranazionalista il cui obiettivo era, contemporaneamente, la lotta contro l'oppressione britannica e la difesa del carattere hindu dell'India; un'India eterna radicata in una storia che risale a cinquemila anni fa, quando, come racconta oggi Gopal Godse, «gli indiani dei tempi vedici sapevano già separare l'ossigeno dall'idrogeno», prova dello stato avanzato della civiltà degli Arii. Gopal Godse e suo fratello erano membri della Hindu Ma¬ hasabha, o «grande adunanza hindu», un'organizzazione di estrema destra vicina al «corpo nazionale di volontari» noto con le iniziali Rss; un movimento anti-britannico, hindu e fascisteggiante che ostentava una bandiera con la svastica, la croce uncinata hindu di cui si erano appropriati i nazisti. Per Gopal Gosde, quello dell'indipendenza dell'India fu «un giorno di lutto». In quel 15 agosto 1947, racconta, la Bharat Mata, la «Madre India» che aveva conosciuto e riverito con tutta la sua devozione di giovane brahmino di ventisette anni e col furore mistico di nazionalista fanatico, venne ad essere tragicamente tranciata. Altro che «Partizione»: lo smantella¬ mento dell'impero britannico indiano fu, nelle sue parole, «un'autentica vivisezione». Una spaventoso taglio geografico e culturale che amputò l'India di molte sue province: la parte Est del Bengala, a maggioranza musulmana, diventò il «Pakistan orientale»; mille chilometri più a Ovest, la zona occidentale del Punjab, assieme al Sind, al Belucistan e alla provincia del Nord-Ovest, i Paesi dei famosi guerrieri pathan, pure a maggioranza musulmana, costituirono il «Pakistan occidentale». Grande responsabile della «vivisezione» non era solo la Gran Bretagna. Per gli ultranazionalisti, il primo colpevole era un hindu: Mohamdas Ka- ramchand Gandhi. «Bisogna uccidere Gandhi», colui che aveva permesso l'umiliazione; sopprimere l'uomo che con la sua ossessione di proteggere i musulmani in nome dell'armo¬ nia intercomunitaria aveva dato, sia pur in volontariamen te, un colpo di frusta all'iden tità islamica. Gopal Godse aveva preso la decisione di «punire» il Ma- hatma della sua «follia». Gli eventi precipitarono il 14 gennaio quanello Nathuram andò er dirgli: «Ho deciso Gandhi. Il piano è di Delhi e assassinarogenito chiese a Gotere e di dargli una risposta al più presto possibile. Ma lui aveva già riflettuto, ricorda Gopal, e rispose immediatamente a Nathuram: «Sono dei vostri. E la mia decisione è inappellabile». Erano sei, i cospiratori. Oltre a Gopal e a suo fratello, c'era un altro responsabile della rivista «Hindu Rashtra», un falso asceta che trafficava con armi vere, un rifugiato dalla parte del Punjab divenuta pakistana e un locandiere. Gopal arriva in treno a Delhi il 18 gennaio e si reca immediatamente alla costruzione rococò di stucco ocra e bianco che è la sede dell'Hindu Mahasabha, l'organizzazione estremista hindu. Lo stesso edificio in cui, cinquant'anni più tardi, Nathuram Godse l'uomo che assassinò Gandhi dopo il fallito tentativo dei fratello
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