Mancini: la sfida più bella di Marco Ansaldo

L'ex donano è già un leader nella capitale ed ha rigenerato anche Boksic e Signori L'ex donano è già un leader nella capitale ed ha rigenerato anche Boksic e Signori Mancini; la sfida più bella «Lazio da scudetto con i miei assist» PERSONAGGI* IL CAMPIONE CHE FA SOGNARE I UNA decina di giorni fa Boksic ha telefonato a un compagno dei tempi juventini, che sono ancora dietro l'angolo. Tra una chiacchiera e l'altra il discorso è caduto sulle qualità dei fantasisti. «Salutami pure Del Piero e Zidane, io quest'anno ho chi mi fa segnare», è stato più o meno il giudizio del croato che non ha smaltito completamente la delusione dei mesi scorsi perché si aspettava di combinare di più nella Juve. Boksic si riferiva a Mancini. Un mese scarso è bastato all'ex sampdoriano per conquistare la Lazio: d'accordo che a Roma quando si è bravi non è difficile partire con il vento in poppa, semmai è raro che si riesca a mantenerlo a lungo, basta un niente, magari un rifiuto secco a un programma di una tv privata, e ti ritrovi un po' di popolo contro. Mancini ha lanciato però il primo segnale. A 33 anni e con sedici stagioni di serie A sulle spalle non è decotto e si è adattato a una realtà lontanissima da quella genovese della quale non vuol parlare più («Perché alla Samp voglio ancora bene ma non si può alimentare all'infinito il tormentone»). Qualcuno dubitava che si adattasse subito fuori dalla comoda cuccia sampdoriana dove gli veniva perdonato tutto. «Invece sono un uomo di mondo, riesco persino a cambiare città», scherza lui che è rientrato da Lisbona dove un suo gol ha permesso alla Lazio di battere il Benfica. Dice che rivive, con più esperienza, i primi anni della Sampdoria quando lo consideravano il talento del futuro ma doveva conquistare il successo. «E' un'altra scommessa. Sono tutti dalla mia parte perché gioco benino e capiscono che per l'inizio del campionato darò ancora di più. I tifosi sognano. C'è tanta voglia di vincere perché da quando è arrivato Cragnotti la società è cresciuta e non si capisce perché a Torino e a Milano si vince quasi tutti gli anni e alla Lazio no. A Genova avevo la risposta. Vivevamo in una dimensione provinciale e non contavamo niente: l'anno in cui vincemmo lo scudetto, per i giornali e le tv i protagonisti erano gli altri, che perdevano. A Roma la situazione dovrebbe essere diversa». Buono, il condizionale. In realtà anche alla Lazio Mancini si trova ad inseguire nel pronostico. In prima fila stanno le altre. «Credo ci siano la Juve e il Parma più di tutte, perché chi cambia meno parte con un vantaggio. Hanno un organico forte, l'abitudine a vincere e, almeno la Juve, la potenza del grande club. Poi vengono le altre: Milan, Inter, Roma, Fiorentina e noi. Leggo che molti allenatori ci considerano già pronti per lo scudetto. Non mi spaventa la re- sponsabilità, dico anch'io che puntiamo in alto anche nella Coppa Uefa. Ma ci sono ancora parecchie cosette da aggiustare». Tra queste anche l'intesa con Signori. «Non ci sono problemi tra noi ma abbiamo giocato poco insieme: ci mancano altri due mesi per capirci». Più di quanti serviranno a Inzaghi e Del Piero, a Ronaldo e Ganz, a Kluivert e Weah? «Non lo so. Leggo di quanto succede alla Juve, vedo che Ronaldo per gli impegni con il Brasile ha potuto restare poco nell'Inter e anche Kluivert non si è notato molto, mentre Weah si conferma il più bravo di tutti: l'intesa si crea con il tempo». A Mancini di solito ne basta poco. Chi gli sta al fianco dice che lo sforzo per adeguarsi al suo gioco è minimo: ti muovi e lui ti dà la palla giusta. E non è egoista. «Segnare mi piace ma non è mai stato un problema. Mi diverto di più a inventare l'assist». Forse con una mentalità diversa sarebbe stato il più grande della sua generazione: invece c'è ancora chi, nella classifica dei fantasisti del campionato (pubblicata dal «Corriere dello Sport», giornale romano) gli ha preferito Baggio. Mando non se la prende troppo. Tornasse indietro cambierebbe certe scelte («Di sicuro non mi chiamerei fuori dalla Nazionale come feci con Sacchi») ma nella sostanza la sua carriera è stata quella che ha voluto. Anche nell'addio alla Samp che non avrebbe potuto dare in vita di Paolo Mantovani e neppure negli anni immediatamente successivi alla sua morte. A 33 anni ricomincia con l'idea di vincere più di quanto gli riuscì a Genova, che non è poco, tra scudetto, le Coppe Italia, la Coppa delle Coppe e quella finale dì Champions League che lo inquieta ancora. Ricomincia nella posizione dove avrebbe voluto giocare da ragazzo, rifinitore dietro alle punte, come Platini, che era il suo idolo. Marco Ansaldo Roberto Mancini, a sinistra, è il compagno preferito dai cannonieri perché con lui a fianco è più facile segnare Il fantasista programma una grande stagione: «Mi diverto a inventare l'assist e non temo la responsabilità» A destra, Signori