«Una cupola per truccare gli appalti» di Giovanni Bianconi

3 Il Tribunale della libertà dà ragione ai pm di Perugia: fondi illeciti e coinvolgimenti di rilevante portata «Una cupola per truccare gli appalti» E c'era un pool di magistrati a «stipendio fisso» PERUGIA DAL NOSTRO INVIATO Il reato contestato resta quello previsto e punito dall'articolo 319-ter del codice penale, «corruzione in atti giudiziari». Ma a leggere l'ordinanza del tribunale della libertà che ha lasciato in carcere il commercialista Sergio Melpignano e il costruttore DomeNico Bonifaci, se ne profila un altro, l'associazione per delinquere. Se non «in punto di diritto», come dicono gli esperti di cose di legge, quantomeno «in punto di fatto». In tre pagine e poche righe i giudici del riesame hanno dipinto i contorni di una vera e propria banda, che non si ferma alla coppia Melpignano-Bonifaci, ma comprende a pieno titolo anche il giudice Orazio Savia, pure lui rinchiuso in una cella del carcere di Perugia. Contro gli indagati, si legge nell'ordinanza, ci sono «gravissimi indizi, che solo la fase procedimentale impone di definire tali», che sennò si potrebbero chiamare prove. E le indagini svolte dopo l'arresto dei tre hanno «evidenziato la complessità della struttura economico-organizzativa facente capo agli indagati» oltre alla «particolare capacità a delinquere dagli stessi dimostrata». Ed ecco la staffilata che fa immaginare l'associazione per delinquere: «La molteplicità degli episodi, nonché la complessità e la rilevanza endoprocedimentale dei rapporti economico-finanziari degli indagati tutti, forniscono un quadro d'insieme di alta professionalità nell'organizzazione di attività di condizionamento degli apparati pubblici». Come dire che il gruppo non si limitava a fare affari, costituire «fondi neri» e distribuire presumibilmente tangenti, ma si adoperava pure per condizionare (attraverso Savia, secondo l'accusa) la magistratura e la Guardia di Finanza, che quei traffici avrebbero dovuto scoprire. Proprio all'ex pubblico ministero romano, nonostante che il giudizio riguardasse gli altri due arrestati, i giudici dedicano parecchie righe: «L'intera attività della funzione giudiziaria svolta dal Sa¬ via» sarebbe stata «asservita agli interessi del Bonifaci e del Melpignano, attraverso deviazioni così macroscopiche dei doveri d'ufficio da giungere alla strumentalizzazione dell'uso della custodia cautelare nei confronti di Sergio Castellari per ottenere il radicamento dell'indagine Enimont a Roma». E' la tesi della procura: per spostare il processo Enimont da Milano a Roma, nel quale Bonifaci era coinvolto, Savia avrebbe intascato dal costruttore, «per il tramite materiale di Melpignano», un miliardo e 300 milioni di lire. Ora i giudici del riesame confermano che l'inchiesta contro l'ex direttore generale delle Partecipazioni statali Castellari gestita da Savia (il quale però nega, sostenendo che fece quasi tutto il procuratore aggiunto Ettore Torri) doveva servire proprio a questo. Il tribunale della libertà ridisegna con grande forza anche il quadro della corruzione che rimane ancora da scoprire dietro i movimenti, e attribusice a Bonifaci e Melpignano, «l'ideazione, creazione e gestione di un sistema di fondi illeciti di entità e coinvolgimen¬ ti di rilevantissima portata». La svolta, secondo i giudici, la daranno le indagini che la procura sta svolgendo su un filone ben preciso: l'individuazione dei «reali beneficiari del denaro relativo all'acquisto da parte del Melpignano, di undici Cct per complessive lire due miliardi e undici milioni circa, presentati all'incasso dallo Ior dello Stato della Città del Vaticano, e presumibilmente pervenuti al Bonifaci». Per preservare queste indagini, la coppia deve rimanere in carcere: «Se rimessi in libertà o agli ar¬ resti domiciliari, sarebbero in grado di inquinare l'emergente dato probatorio, anche solo concordando versioni di comodo». E valgono quasi niente, scrivono i giudici, le ammissioni di Melpignano sulla compravendita della società Edilcomp da cui è scaturita parte della maxi-tangente Enimont, o sull'appartenenza della società Promontorio a Savia, negata dal giudice: «L'indagato non poteva non ammettere ciò che risultava documentalmente provato, ed anzi le (parziali) ammissioni rese solo ad esito di specifiche indicazioni, so- no sintomatiche della capacità a delinquere». Con questa durissima ordinanza-requisitoria, contestata dagli avvocati difensori di Melpignano («Qui non si deve stabilire se gli arrestati sono colpevoli o innocenti»), i pm di Perugia che indagano su.Ua corruzione nel palazzo di giustizia di Roma incassano una vittoria e tornano a lavorare per completare il quadro accusatorio. C'è il sospetto che a pagare Orazio Savia, ad esempio, non sia stato solo Bonifaci, e le indagini del Ros stanno accertando gli altri, eventuali corruttori. C'è poi da ricostruire dove sono sfociati tutti i rivoli del fiume di miliardi partito dal conto intestato alla suocera di Melpignano. Tra i circa 30 indagati ci sono funzionari di enti pubblici, professionisti e personaggi del sottobosco romano. E ci sono da definire le posizioni degli altri giudici. Che sono ben diverse a seconda dei casi. Per Savia e alcune altre «toghe» come Renato Squillante e Antonino Vinci, per esempio, c'è il sospetto che fossero i referenti «fissi» della corruzione, e che abbiano operato su specifiche indagine e precisi processi. Di tutt'altro tipo, invece, le vicende di giudici come Albano o Misiani (quest'ultima viene definita «decisamente marginale»), anche se formalmente sono inserite nello stesso procedimento penale. Ieri s'è saputo che tra gli indagati c'è pure l'ex giudice istruttore di Roma Roberto Napoliutano, già arrestato nell'inchiesta spezzina su Pacini Battaglia. Giovanni Bianconi «Melpignano e Bonifaci pericolosi possono inquinare le prove» «Castellari venne fatto arrestare per spostare il processo Enimont» Nella foto a sinistra il commercialista Sergio Melpignano e, qui sopra il costruttore romano Domenico Bonifaci