I nuovi livingstone con la griffe

Estero Gilet milletasche, caschi col ventilatore e chili di meraviglie tecnologiche sul gippone I nuovi Uvingstone con lu griffe II safari degli italiani alla moda e superattrezzati CASCATE VITTORIA (Zimbabwe) DAL NOSTRO INVIATO Già li avevamo riconosciuti all'aeroporto di Johannesburg con gli ocelli ancora cisposi dalla trasvolata intercontinentale. Indossano giacche color sabbia con o senza maniche, caratterizzate dall'inverosimile numero di inutili tasche, taschini, cerniere, foderi, ganci, moschettoni, retine. Quasi a ogni piega dello spettacolare indumento dovrebbe corrispondere il ripostiglio di un accessorio per la sopravvivenza, sicché noi nuovi Stanley e Livingstone dell'Africa bianca dovremmo ciondolare per la savana addobbati come alberi di Natale. Per fortuna il buon senso lascerà vuote quella marea di tasche sahariane che già alludono alla «Total experience» pubblicizzata dalle riviste di bordo. L'aggettivo più usato per attirare questo genere di turisti è extreme. Tutto è estremo, al limite, sfida al tuo istinto di sopravvivenza. Ma nello stesso tempo tutto è perfetto, tecnologico proprio come sulle barche a vela da regata dove l'uomo affronta il mare in solitudine ma col timone computerizzato. Nell'attesa sonnolenta della coincidenza per Gaborone, la capitale del Botswana che vuol dire Chobe National Park, deserto del Kalahari, delta dell'Okavango; oppure per Windhoek, capitale di quell'altro deserto meraviglioso che è la Namibia; o ancora, come noi, di raggiungere il bacino dello Zambesi alle Victoria Falls, c imbarazzante ma inevitabile che il pensiero faccia ritorno a Milano dal sempre ottimo Brigatti. «Tutto per tutti gli sport» è scritto nell'insegna dì questo ormai storico negozio di corso Venezia, roccaforte di quell'eleganza maschile un po' degagé, fatta di tweed e velluti, che alla vecchia borghesia meneghina appare come l'ultima possibile trincea sotto i colpi della limitrofa via della Spiga. Ma dovevate provare a visitarne il piano terreno a luglio, quando i maniaci dell'ultimo accessorio per il golf, l'equitazione, lo sci alpinismo cedono il passo agli avventurieri della vacanza intelligente in Africa. Soli a tu per tu con la natura, non importa se deserto, giungla o savana. Il ghigno ironico del vecchio viaggiatore prevale sulla compostezza dell'esercente quando il signor Brigatti mi mostra il campionario. Prima di tutto il «Solarcool»: nuovo casco da esploratore con pannelli solari che alimentano un ventilatore mentre l'interno s'inumidisce con apposita schiuma refrigerante. Lampade alogene da fronte col bottone vicino-lontano. Lanterne a benzina verde, cannuccia allo iodio per filtrare l'acqua, una sfdata di meravigliosi bicchieri pieghevoli in metallo con fodera di cuoio o coccodrillo, le nuove torce-lanterna, fino a quel capolavoro del demenziale che è il Sun Monitor: una specie di sveglia che parametrata sulle tue misure si mette a suonare quando il sole rischia di ustionarti. Il buon viaggiatore africano farà poi un salto al reparto abbigliamento per le sahariane nello speciale popeline impermeabile ma traspirante; e in calzoleria dove la tradizionale Palladium francese, scarpone di tessuto leggero in dotazione alla Legione straniera, rischia a quanto pare di essere soppiantata da tali Meindl, tedesche da deserto. A questo punto è opportuno presentare la comitiva che, schivate le più inestetiche lusinghe dell'afroconsumismo, si accinge a seguire il corso dello Zambesi con partenza dalle Cascate Vittoria. Come ogni convoglio che si rispetti è dotata di un capo con la barba, Mario, già esperto conoscitore del territorio, e di un driver, lo zambiano Felix, reclutato nella vicina città di Livingstone alla tariffa di mercato di 100 dollari mensili che il nostro senso del pudore e la sua simpatia provvederanno a moltiplicare. Vi è poi una distinta famiglia torinese già innamorata dell'Africa e del buon gusto, composta da: padre Tinto, flemmatico e sagace; mamma Daniela, energica e godereccia col fisico di chi può permettersi tutto; la mozartiana Pamina, al centro di ogni impresa, figlia diciottenne di quelle entusiaste che hanno già girato il mondo ma niente, niente è come l'Africa; Cino, sedicenne figlio ultimogenito, che a ogni miserabile store cui si approdi nel mezzo della savana immancabilmente chiederà: «Proviamo a vedere se c'è un pai- Ione?». Poi ci siamo Umberta e io. Tre fuoristrada carichi di taniche d'acqua, benzina e air camping saranno la nostra casa africana itinerante, ma è soprattutto la Land Rover di Mario che merita una menzione, se non altro perché è targata Cuneo: reca infisse sul cofano un'ascia e una vanga; la sega è fissata sul fianco sinistro mentre un grande sacco di tela e cuoio ne rappresenta l'estremità posteriore. Sul cruscotto, al posto del telefonino è agganciato il Global Positioning System, uno speciale aggeggio elettronico che collegandosi a tre satelliti spiega esattamente a quale altitudine, meridiano e parallelo ti trovi. Dopo di che, se non hai dietro la mappa giusta, ne sai quanto prima. Figuratevi l'effetto che farebbe tutta impolverata tra Ceva e Dronero, ma per fortuna i suoi duecentocinquantamila chilometri li ha consumati tutti recando orgogliosamente in giro per l'Africa la misteriosa targa Cn. Il suo proprietario, Mario, è infatti un imprenditore che ha venduto l'azienda e preso casa a Cape Town per dedicare tutto se stesso all'avventura in questo splendido nulla. Per capire il tipo, basti pensare che tra le infinite altre collezioni fa raccolta pure di cacche di animali. E' ancora di cattivo umore perché Cino gli ha buttato via una bella caccona di rinoceronte nero, rarissima poiché il mammifero in questione solitamente la sparpaglia dopo averla eseguita, caccona che sul mercato di Londra poteva quotarsi intorno alle quattrocentomila lire. Quella di elefante invece non vale niente: è enorme, si trova dappertutto, adatta per accendere il fuoco al posto della carta, se non vi crea imbarazzo toccarla, L'incontro cruciale con l'estremo, che marchierà ogni futuro rapporto del turista bianco con il continente nero, si consuma appena oltrepassato il cancello in ferro battuto dell'indimenticabile Victoria Falls Hotel, dopo aver scansato i venditori di ombrelli, addentrandosi nella giungla equatoriale formata dall'eterna nuvola d'acqua spumosa delle cascate. Un metro di iguana vi sguscia davanti mentre l'antilope continua a brucare senza degnarvi di uno sguardo (intanto lì dietro al Big Tree, il famoso baobab dai venti metri di circonferenza, due elefanti bloccano la circolazione automobilistica). Rami e tronchi si contorcono fradici nel boato del fiume che precipita. Un intrico di liane e felci annoda il legno nero dell'ebano a quello rosso dell'umbumbuiu, e filtra le gocce che si scompongono nei colori dell'arcobaleno. Ma appena superi tutto questo e abitui l'occhio alla rifrazione di sole cielo e acqua mescolati, se non fai parte di una comitiva di vecchiette americane rischi che ti prenda l'insana voglia. Succede perché ti affacci sui cento''metri di vuoto dal Danger Point, lo strapiombo di roccia spalmata di viscido muschio. Vedi laggiù lo Zambesi imbottigliato nella gola che lo costringe a girare a sinistra, e di colpo desideri toccarlo, sentirlo. E' questo il raptus molto poco razionale che trascinerà una esemplare famiglia torinese tutta intera all'appuntamento cor, il rafting. Perfino a Tinto, malcerto nuotatore alieno da ogni pretesa ginnica, verrà richiesto di indossare una tuta elastica molto astringente, il casco rosso e il giubbotto galleggiante per prendere posto sul gommone con una sola istruzione: rimanere aggrappato alla corda di cui è orlato, qualunque cosa accada. A pagaiare ci penseranno gli esperti accompagnatori che solo a fine mattinata confideranno la statistica: un equipaggio su tre si rovescia. Le rapide dello Zambesi sono in tutto 24 e recano nomi assai incoraggianti. Si parte dalla Pentola che bolle per scivolare fino alla Scala del paradiso o nel Cesso del diavolo. La rapida numero 9, denominata Commercial Suicide, viene in genere risparmiata ai turisti per passare direttamente a Le mandibole della morte. La fine corsa è prevista alla rapida 16 (Terminator) di modo da risparmiarsi la successiva che uno spiritoso ha battezzato Washuig Machine. Più che dignitoso il comportamento del nostro equipaggio targato Cuneo, che si rovescerà solo alla settima rapida poco dopo aver notato la condiscendente presenza dei coccodrilli a bordo campo. Per quanto l'istruttore ti avesse ribadito che nel giro di venti secondi al massimo riemergerai, non puoi fare a meno di sentire la morte che sopraggiunge. Nel vortice che prima risucchia e poi risputa, nulla infatti trattiene il malcapitato pagante dallo spalancare bocca e naso, ed è allora che, bevendo, ti senti perduto. Mentre Daniela, Cino e Pamina volavano nella schiuma, raggiunti infine dalle funi lanciate in loro soccorso, l'obbediente Tinto ancora era aggrappato alla maniglia del gommone rovesciato. Ma alla sera, dopo le due ore di salita necessarie per riguadagnare l'altipiano, sorriderà anche lui. Pamina, non sazia di aver perduto nelle rapide le sue lenti a contatto, già vorrebbe riprovarci. Verrà accontentata con gli interessi l'indomani, aggirando il divieto paterno, quando la modica cifra di cento dollari le schiuderà l'accesso all'esperienza suprema, definitiva: il Bungi Jumping. I ragazzi appostati sul ponte di ferro gialloazzurro che separa lo Zimbabwe dallo Zambia possono legittimamente vantarsi del fatto che si tratta del salto con la corda elastica (spelacchiata) più alto del mondo. L'hanno ben agganciata ai piedi di Pamina e le hanno fatto ammirare il panorama in cui sarebbe volata a testa in giù, dritta nelle acque inferocite dello Zambesi. Poi, dalla rampa contraddistinta da uno zerbino, la poveretta si è lanciata. Un tuffo eterno di sessanta metri, di nuovo la morte in faccia, il fiato sospeso, poi l'elastico si tende e Pamina è trasformata in un immane jo-jo, rimbalza, volteggia nel grande nulla finché un nero si cala con la carrucola, la recupera, prima orizzontale poi finalmente verticale nel senso giusto, su piano, è passata anche questa. Certi giorni si buttano in centocinquanta, bisogna prenotarsi anche nel cuore dell'Africa bianca. Quanto a Pamina, è già lì che vorrebbe il bis abbracciata con suo fratello. L'Africa bianca è punteggiata di questi ing. Se il rafting e il jumping sono troppo per le vostre arterie c'è pur sempre il canoeing e il kayaking, e ancora puoi zigzagare sulla cascata in deltaplano a motore o in elicottero, a meno che voglia seguire il corso dello Zambesi atterrandovi con l'idrovolante. Scuci i dollari, potrai tutto. Il nuovo esploratore può anche se vuole ritrovarsi solo senza un'anima viva intorno nel raggio di centinaia di chilometri, e compenetrarsi in questa solitudine, nei rossi accorati delle albe e dei tramonti, essere lì quando gli animali vanno a bere e a lavarsi nei pans, i laghetti della savana, e però lui resta sempre un esploratore tecnologico dentro l'ambiente più antico del mondo. Estremo, ma con la sahariana milletasche. Dopo di che, se il mal d'Africa vi prende proprio male, rischiate di finire come il nostro beneamato capospedizione Mario che sta costruendo a Cape Town la casa dei suoi sogni. Per il tetto vuole adoperare lo scheletro di una balena andata a morire lì vicino su una spiaggia del Capo di Buona Speranza. Ammanterà quella carcassa col macuti, la bellissima paglia impermeabile di tutti i villaggi che incontriamo ai bordi delle piste. E nell'atrio ci metterà un leone come si deve. Lo stiamo cercando a ogni centro urbano da Binga a Harare a Mutare, sulla via del Mozambico, nei laboratori degli ultimi tassidermisti in grado di scuoiare e rigenerare miracolosamente qualsiasi animale con le loro mani, pesci compresi. Per ora ci hanno offerto solo una iena, ma non ci è parso il massimo. E allora sarà meglio andarci finalmente dentro, senza troppi ing, a questo grande nulla che è la natura africana, nel mistero silenzioso dei parchi. Gad Lerner (2 - Continua) , Ila ricerca di tutto ciò che è «estremo» jumping, kayak canoa e rafting lungo le rapide dello Zambesi con lunghe liste di attesa e a cento dollari per volta E' «in» collezionare cacche di animali, vale oro quella di rinoceronte CURIOSANDO NELLA SACCA Kit contenitore da campo Bussola m. Lampada a benzina verde Bicchieri in inox Strumento per misurare l'intensità dei raggi solari per j l'esposizione del corpo 1 Borraccia Fornello da campo Kit di ' posate * Scarponcini da deserto della Legione straniera IP? Occhiali proteggi naso 0" Casco con ventilatore alimentato da pannelli ^ solari Torcia che diventa lampada Cannuccia per rendere potabiì qualsiasi tipo d'acqua Apparecchio satellitare per rilevare la posizione e lanciare l's.o.s Coltello da safari con lamei multiuso' pte, il cgalleggsul gomzione: corda dcosa acranno gche sol l r canoa o onte collezionare e di animali, vale uella di rinoceronte scia davanti mentre lantilope In alto una capanna per turisti e un gruppo in canoa Qui accanto un rinoceronte ESPLORATORI' 1 DELL'AFRICA ' BIANCA