Toghe sporche altri cento interrogati di Giovanni Bianconi

Restano in cella Bonifaci e Melpignano. Confronto a Perugia tra il fiscalista e il generale Verdicchio Restano in cella Bonifaci e Melpignano. Confronto a Perugia tra il fiscalista e il generale Verdicchio Toghe sporche, altri cento interrogati Già 30 gli inquisiti. Fra loro anche tre magistrati PERUGIA DAL NOSTRO INVIATO Niente ferie per i pm che indagano sulla nuova Tangentopoli romana, e gli indagati principali restano in carcere. Dopo il giudice Savia, anche per il commercialista Melpignano e il costruttore Bonifaci il tribunale della libertà - la conferma ufficiale ci sarà solo oggi - ha respinto le richieste di scarcerazione, nonostante se per il costruttore le indiscrezioni parlino di arresti domiciliari. La Procura ha chiesto tempo (altri 4 mesi) per completare le indagini senza che gli indagati possano inquinare le prove, e i giù- dici del riesame gliel'hanno concesso. Sempre ieri, sono stati messi a confronto Melpignano e l'ex-capo della Dia Verdicchio, per i 20 milioni passati dal primo al secondo e per l'omessa denuncia di reato da parte del generale. Dunque, nelle prossime settimane, il pool dei pm al completo - Fausto Cardella, Michele Renzo, Alessandro Cannevale e Silvia Della Monica - e i carabinieri del Ros procederanno agli interrogatori di decine e decine di persone, qualcuno dice addirittura cento. Gli indagati sono una trentina, e tra questi continua la caccia ai presunti «nomi eccellenti». I magistrati coinvolti per presunta corruzione sarebbero almeno tre: Orazio Savia, naturalmente, e poi Antonino Vinci - il pm romano che condusse l'inchiesta sui «palazzi d'oro»; finita nel mirino dei colleghi perugini - e il procuratore di Civitavecchia Antonio Albano. Quest'ultimo sarebbe coinvolto per un episodio che non c'entra con l'affaire Melpignano, ma è legato all'imprenditore Pietro Mezzaroma, anche lui inquisito. La figlia del magistrato, secondo la ricostruzione dell'accusa, ottenne una consulenza da Mezzaroma di 24 nùlioni; fin qui niente di male, se non fosse che subito dopo al costruttore fu dissequestrato un cantiere proprio nella zona di Civitavecchia. Sempre per una consulenza di Mezzaroma attribuita al figlio, e quindi slegata dal filone principale, è iscritto nel registro degli indagati anche un altro ex-pm di Roma, Francesco Misiani. Ma nell'indagine-guida, la lista degli inquisiti è costituita per lo più da altri costruttori, avvocati, funzionari di enti pubblici, soci e impiegati dello studio commercialista Melpignano. Sui politici, invece, non ci sono conferme. L'avvocato Fabio Dean, difensore di Melpignano, ci scherza sopra: «Vorrà dire che ci trasferiremo dal tribunale di Perugia a quello dei ministri», com¬ menta. L'indagine, però, dà quel poco che trapela, sembra tutt'altro che uno scherzo. Gli interrogatori da fare dovranno servire a chiarire la destinazione dei soldi passati dai conti di Sergio Melpignano, provenienti dalla maxi-tangente Enimont e finiti - questo il sospetto degli inquirenti - in altri fondi neri e altre tangenti. Il lavoro dei carabinieri del Ros ha portato ad individuare l'esito di molti passaggi di denaro, diviso in tranckes che vanno da pochi milioni a cifre ben più consistenti. Ecco come si è arrivati all'elenco delle decine di persone da sentire, e la posizione di molte di esse - a seconda delle loro risposte può passare da testimoni a indagati. In sostanza, è stata accertata la costituzione di altri «fondi neri», a partire dai 39 miliardi nascosti da Melpignano sul conto della suocera, Pasqua Neglie. Il problema dei magistrati è ora seguire le nuove tracce di quei fondi, stabilire a chi sono finiti e per che cosa sono stati utilizzati. E' in fondo a questa catena ancora non del tutto ricostruita che potrebbero trovarsi, forse, gli esponenti politici di cui si continua a vociferare. Proprio attraverso gli accertamenti sulla destinazione dei soldi amministrati da Melpignano è finito nei guai il generale Giovanni Verdicchio, che ieri è ricomparso davanti ai giudici in veste di indagato. Dopo un nuovo interrogatorio, l'excapo della Dia è stato messo a confronto con il commercialista che sui 20 milioni aveva dato una versione diversa dalla sua: non un investimento in azioni Enimont, come diceva il generale, ma un prestito. Ieri, invece, Melpignano ha detto di essersi confuso, e che effettivamente Verdicchio sottoscrisse delle azioni tramite lui. Anche se l'ha fatto dopo aver ammesso di aver letto i giornali di questi giorni (dove era stata riportata la versione del generale) e senza essere in grado di fornire altri particolari. Verdicchio - che sull'omessa denuncia dei rapporti Savia-Melpignano ha ribadito che non s'era sentito in dovere di farla - s'è anche lasciato andare ad uno sfogo coi magistrati, ammettendo che quell'investimento tramite Melpignano può essere stato un errore, una leggerezza, ma non certo il prezzo di una corruzione. Giovanni Bianconi Nella foto a sinistra Orazio Savia e qui accanto il commercialista Sergio Melpignano