«Ci servono professionisti»

IL CAPO DI STATO MAGGIORE IL CAPO DI STATO MAGGIORE «Ci servono professionisti» «Indispensabiliper le missioni all'estero» GENERALE Francesco Cervoni, capo di stato maggiore dell'Esercito, perché avete bisogno di così tanti volontari? «Guardi, la scelta tra soldati di leva e professionisti non si può affrontare se non si parte da lontano. Cioè dallo scenario che ci circonda. L'Italia è coinvolta direttamente in diverse aree di crisi. Ci sono i Balcani, una linea calda che idealmente arriva fino al Golfo Persico. E c'è una linea di crisi potenziale che corre lungo il Sahara. Non credo, se scoppiano crisi in queste aree, che l'Italia possa stare a guardare. Ecco perché serve un esercito di professionisti, dobbiamo essere pronti a intervenire». Insomma, lei vede un futuro di interventi tipo Bosnia o Albania? «Guardi, io sento spessissimo i colleghi delle altre forze armate. La domanda è sempre la stessa: "Nel caso in cui andasse in porto un certo intervento, e se il vostro Paese aderisse, tu quanti uomini ci puoi mettere?". Un continuo. Questo, d'altronde, è il lavoro di tutti gli stati maggiori del mondo: ipotizzare interventi da sottoporre all'autorità politica. E quando si arriva alla stretta finale, ci vuole subito un'aliquota di soldati fortemente addestrati. Ma non escludo i soldati di leva per certi tipi di intervento, a seconda del grado di rischio. I nostri si sono comportati dignitosamente in Libano, in Mozambico, in Kurdistan e in Somalia». A proposito di Somalia, non pensa che in qualche caso i para di leva abbiano perso la testa? L'impressione è che l'addestramento e la disciplina non fossero sufficienti. «Considerando che ci sono inchieste penali in corso, restiamo ai giudizi generali. Certo, se accadesse oggi, manderemmo forze professionali. Sono reparti preparati anche per altri aspetti oltre che quelli strettamente militari. Penso ai rapporti con la popolazione civile, alla situazione locale, ai loro sentimenti, ai modi di percepire un intervento straniero. E' un addestramento che richiede tempi più lunghi. Non dico che nella leva non ci siano ragazzi colti, con conoscenza del mondo, sensibili... Ne parlavo con un colonnello di alpini, in Bosnia, al comando di un reggimento tutto professionale. Mi diceva: "Con i professionisti io adesso so valutare esattamente il loro comportamento. Con i ragazzi di leva non sarei stato altrettanto sicuro. Il volontario esegue gli ordini in maniera più rigorosa". Tecnicamente parlando, li esegue meglio». Non sarà, generale Cervoni, che tra i professionisti di truppa scarseggia la cultura? Si dice che l'esercito riesca ad arruolare pochi giovani, di bassa estrazione sociale e scarsa preparazione. «Niente affatto. La composizione socioculturale dei professionisti è simile a quella dei coscritti. Sono prevalentemente giovani del Centro-Sud: d'altra parte al Nord ci sono scarsissimi indici di natalità più un ricorso massiccio all'obiezione di coscienza. Semmai la scolarizzazione è diversa, ma con gli ultimi arruolamenti stanno arrivando anche i diplomati». E comunque, nonostante la disoccupazione galoppante, l'esercito stenta a trovare giovani da arruolare. «E' vero, non riusciamo a far decollare il sistema. L'ostacolo più grande? Gli italiani cercano il posto fisso, noi possiamo offrire contratti per tre o cinque anni al massimo». Ma non dovevano finire nelle forze di polizia, i professionisti delle forze armate, al termine del servizio? «Magari. Abbiamo finalmente un regolamento che prevede una corsia preferenziale nei concorsi. Ma se poi i concorsi non li fanno, e assumono gli ausiliari, a che serve? C'è una terribile competizione tra noi e le forze di polizia per gli arruolamenti. Ma al loro confronto, siamo dilettanti allo sbaraglio». [fra. gri.l

Persone citate: Cervoni, Francesco Cervoni

Luoghi citati: Albania, Bosnia, Italia, Kurdistan, Libano, Somalia