Un desiderio chiamato avventura di Gabriele Beccaria

Un desiderio chiamato avventura COME CAMBIANO LE VACANZE Un desiderio chiamato avventura Sempre più italiani scelgono viaggi esotici ROMA OVE sta l'avventura? Il dito corre sulle mappe e si blocca sul Tibet. Per 1 italiano su 4 è il sogno dei sogni e la patria del Dalai Lama prende il posto degli Stati Uniti come contenitore dei miti di massa. «Per anni sono andati a ruba milioni di cataloghi sui grattacieli di Manhattan e le spiagge della California, ora non più», dicono alla Fiavet, l'associazione delle agenzie di viaggio. «Va di moda l'Oriente», catalizzatore delle peregrinazioni reali e di quelle solo immaginate, da copertina patinata. GIOCARE ALL'ESPLORATORE. Seguono il Polo Nord e il Polo Sud, il Kilimangiaro, il Sahara, l'Australia, secondo il sondaggio della rivista «Dove» e i tour operator come «Nouvelles Frontières» e «Peter Vacanze» ci aggiungono Madagascar e Canada, Libia e India. «Gli "avventurosi" cercano il viaggio personalizzato, organizzato in anticipo con hotel e autista-guida, ma che produca l'illusione della libertà», spiegano alla Fiavet. L'«orrore da gruppo» è troppo «cheap» e mal si concilia con questa razza di vacanzieri esotici. UNA TRIBÙ7 CHE SI ALLARGA. «A fare da detonatore sono le mode culturali e religiose», osserva Carlo Fiaschetti, della «Peter Vacanze», specializzata in viaggi insoliti. «E le mode accomunano sia i benestanti che quelli più attenti al portafogli, ma sull'età il partito trasversale dei turisti alternativi si ricompatta: il grosso va dai 35 ai 45 anni». Contano il neo-spiritualismo, la fede nelle relazioni spirito-corpo, le religioni non ortodosse, le pratiche salutiste e le infatuazioni da New Age. E che poi, «dei 2 milioni e passa di persone che vanno all'estero ogni anno, gli esotici siano ancora una minoranza, circa il 5%» - come dice Cinzia Pierantonelli di «Nouvelles Frontières» - poco importa. La moda è imposta e il desiderio - si sa contagia anche quelli che restano in campeggio in Romagna. IN FUA SUL TETTO DEL MONDO. «Non è soltanto il Tibet, ma tutta la regione himalayana a suscitare un fascino potente», nota Giampiero Comolli, autore di «Buddhisti d'Italia»: anche Nepal, Buthan e India fanno gola e «una parte del flusso turistico è costituito da chi si è già avvicinato al buddhismo a casa propria». L'«industria del Tibet» è più viva che mai in Occidente: il Dalai Lama è una star in perenne viaggio, i piccoli saggi in salsa Bertolucci e Scorsese sono trascinanti, i centri di meditazione colonizzano campagne e periferie. L'invasione cinese di Shangri-là ha prodotto una diaspora che ci ha fertilizzato al di là di ogni aspettativa. «E ora la teocrazia di Lhasa ci acceca con il suo lato migliore». PAGARE E SOFFRIRE UN PO'. Il Tibet è anche uno dei simboli del viaggiatore volenteroso e esibizionista che accarezza l'impossibile addomesticato. Il clima, i collegamenti aerei, i trasporti interni, i servizi: «Tutto è al di sotto dei nostri standard abituali e, quindi, si deve viaggiare con lo spirito di 20-30 anni fa», dice Fiaschette E se c'è un overbooking nell'unico 4 stelle disponibile (che appare già da fuori come un desolante 2 stelle) bisogna probabilmente chiedersi se c'entra il proprio karma negativo, anziché l'ita- lica sfiga. A volle non c'è neanche il venditore di cartoline: e allora come si fa a irritare gli amici che vorrebbero ma non possono? IL RICHIAMO DEL DESERTO. L'avventura di fine secolo richiede un'alchimia di spirito e natura e per questo ai vertici del desiderio gli spettacolari monasteri di montagna di Shigatse o Tidrun sono affiancati dalie sabbie antiche come la storia. Sonora, Atacama, Tenore, Wadi Ram, Kalahari, Gobi, Deserto di Simpson stanno diventando le nuove mete e si capisce facilmente il perché: quasi ogni deserto ha ospitato una civiltà, dai paleoindiani Anasazi del Nord America ai faraoni neri di Kush, e tra dune e rocco hanno visto la luce le religioni monoteiste. Da Mose a Lawrence d'Arabia è tutto un susseguirsi di sollecitazioni ideali per chi vuole garantirsi l'«effetto salotto» al ritorno. «E noi italiani abbiamo la fortuna di avere il Nord Africa a meno di 2 ore di volo», sottolineano alla Fiavet. TRA FINZIONE E RISCHIO. Peccato che questa ansia da esploratori non riesca a nascondere il fatto che anche i tuareg si sono attrezzati con i gipponi e che l'avventura, quella vera, romanticamente ispirata, alla Alexandre David Neel che viaggiava per il Tibet a inizio secolo, non esiste più. «Oggi si è ridotta a un fatto soprattutto mentale», dice Fiaschetti, fino a quando - come può succedere in Yemen, in Sud Africa, in Perù o in Thailandia - non si incappa in un rapinatore o in un guerrigliero. Ma se si vuole rischiare a tutti i costi ecco alcuni indirizzi proibiti, a cura del ministero degli Esteri inglese: Afghanistan, Algeria, Cecenia, Iraq, Somalia, Congo. Lì la vita non vale nulla, tanto meno quella di un turista imbecille. Gabriele Beccaria