La segretaria dei mille misteri di Giovanni Bianconi

E UNA CBMICE GALEOTTA La segretaria dei mille misteri Da assistente a factotum del fiscalista E , ROMA stata la sua voce un po' tremula, di una donna ormai avanti negli anni, a scoperchiare il pozzo nero della maxi-tangente Enimont nell'inchiesta su Sergio Melpignano. La voce di Anna Maria Amoretti, prima segretaria tuttofare e poi associata allo studio del commercialista di molti «palazzinari» romani, nonché presente a vario titolo nell'amministrazione di oltre settanta società. Era la mattina del 26 marzo di quest'anno, e la «cimice» piazzata dai carabinieri del Ros registrò questo brano di conversazione tra il commercialista e la Amoretti. I due stavano cercando di ricostruire l'intreccio dei conti correnti bancari, dei quali Melpignano ha parlato in un interrogatorio ai pm di Perugia. Amoretti: «Io mi ricordo il conto nero di Pasqua Neglie... Neglie ha il conto corrente e io la firma su...». Melpignano: «Ma questi soldi... li portasti... mo' siamo a maggio '90... ma è possibile che Pasqua Neglie ricevette i soldi della vendita di Montedison... su quel conto che poi...». A: «Che poi?». M: «Ho trasferito alla Banca Popolare di Spoleto». E' da queste frasi che ha preso avvio l'indagine sui 39 miliardi della maxi-tangente trovati a Melpignano. Perché Pasqua Neglie era l'ignara madre di sua moglie, e la Amoretti la sua factotum. Tutt'altra realtà da quella descritta dal costruttore romano Domenico Bonifaci ad Antonio Di Pietro, nel 1993, quando Mani Pulite tentò di sbrogliare la matassa Enimont. Bonifaci, indagato in quell'inchiesta, indicò un elenco di Cct acquistati col denaro della maxi-tangente, e disse che le signore Neglie e Amoretti erano sue «collaboratrici e/o parenti». Invece lo erano di Melpi- gnano, ma in questa storia gli interessi del costruttore e del commercialista si intrecciano al punto da apparire indivisibili. Interessi ben protetti da Anna Maria Amoretti, depositaria di gran parte dei segreti amministrati nello studio Melpignano. «Ah, se parlasse», sospirano gli investigatori che da mesi si stanno rompendo la schiena su entrate e uscite in migliaia di conti bancari. Ma la signora non parla, forse perché consapevole di aver parlato troppo quando la microspia del Ros registrava. Il 20 marzo, ad esempio, lei e Melpignano hanno inguaiato ben bene il giudice Orazio Savia, che faceva affari immobiliari col commercialista ma non voleva comparire. Amoretti: «Tutte queste case che uno compra e che non ha mai visto, tutte su segnalazione di Savia, Savia compra il Gualdo (un complesso edilizio, ndr)y>. Melpignano: «D'altra parte quelli so' i fatti, che devo dì?... Chi cazzo ha riciclato i soldi di questo, che cazzo ne so io, tutto potevo pensa tranne che provenissero da parte illecita». La signora Anna Maria, che vive in un antico palazzo di via Ripetta, a due passi da piazza del Popolo, è entrata circa quarant'anni fa, fresca di laurea, in uno dei più noti studi commercialisti della capitale quando ancora il titolare era Pardo Malorni, che teneva i ricchi conti della Roma bene. Morto lui, il figlio Federico restò nello studio, ma pian piano le redini le prese Sergio Melpignano, al quale Anna Maria si legò mani e piedi. Fe- derico Malorni ha continuato ad entrare in parte degli affari; tanto che è sua la perizia sulla vendita di tre società di Bonifaci alle consociate Enimont da cui è saltata la maxitangente. Perizia che dava per congruo un prezzo enormemente superiore al valore reale delle società. «Quello era il prezzo che l'acquirente era disposto a pagare», s'è giustificato Malorni con gli inquirenti quando gli hanno chiesto conto di quella sopravvalutazione. D'altra parte le tangenti e i «fondi neri» nascono così. Anche Malorni compare nell'inchiesta perugina, mentre è pluri-indagata Anna Maria Amoretti, che materialmente andava in banca a fare i prelievi in contanti fino a tre miliardi. Ma anche con le accuse di corruzione e altri reati sulla testa, la signora continua a rimanere fedele a Melpignano. Negando perfino l'evidenza, come avvenne durante la perquisizione dello studio di via Monteverdi, dopo l'arresto del commercialista. I carabinieri avevano scoperto la soffitta, e dall'abbaino si vedevano i faldoni pieni di carte. «Quello sarà l'archivio. Signora ci dà le chiavi?», chiesero alla Amoretti. «Quale archivio? Quali chiavi? Io non so niente», rispose la donna. Gli ufficiali del Ros dovettero forzare la porta, e quando cominciarono a guardare in quel mare di fascicoli si accorsero che i raccoglitori sulla vendita della Edilcomp (la società passata da Melpignano a Cusani, tramite Bonifaci), su Enimont e sulla Promontorio di Savia, erano vuoti, «ripuliti» prima che gli investigatori ci mettessero le mani. «Non ne sapevo nulla», provò a giustificarsi la signora Anna Maria, che dopo qualche giorno, all'ennesimo interrogatorio, ha ammesso: «Ho negato perché avevo paura di dire la verità». Giovanni Bianconi Fedele al principale, continua ad opporre silenzi ostinati a giudici e detectives Indagato per Enimont Bonifaci aveva detto a Di Pietro che era una sua collaboratrice Nonostante le accuse di corruzione e altri reati si è opposta ad ogni perquisizione Il commercialista Sergio Melpignano

Luoghi citati: Melpignano, Perugia, Roma