Il monaco del collezionismo
Capolavori in mostra a Ginevra per raccontare una leggendaria raccolta Capolavori in mostra a Ginevra per raccontare una leggendaria raccolta Il monaco del collezionismo Joseph Mùller, da Cézanneall'arte negra LI GINEVRA 7 ANEDDOTO è illuminante. Il giovane collezionista si reca nell'ate Ilier del vecchio pittore Hodler, che è una sorta di suo padre spirituale, intravede uno splendido scorcio di paesaggio e dice: «Lo voglio». «Ma non è ancora ultimato» ribatte perplesso Hodler. «Mi basta così!», insiste il cocciuto visitatore. «Forse ha ragione lei, il resto delle pennellate sarebbe stato per la borghesia». Un collezionista che capisce più dello stesso artista? Certo Joseph Mùller aveva un fiuto straordinario: pittore lui stesso, collezionava come se avesse dovuto dipingere le sue scelte. E indubbiamente il paesaggio non-finito di Hodler è uno dei mille gioielli che figurano nella sua leggendaria collezione, che a vent'anni dalla morte il Museo Barbier-Mùller di arte primitiva a lui dedicato ha deciso di omaggiare con una luminosa mostra di pochissimi pezzi: Da Cézanne all'arte negra sino al 31 agosto. Un titolo che non gli sarebbe piaciuto, spiega il curatore di «questo non-catalogo» (assolutamente godibile) «di una nonmostra», ma che spiega però il cammino biografico di un collezionista che prese ad acquistare maschere fang e feticci nimba in assoluta contemporaneità con i Cendrars e i Picasso, ma che in seguito dovette concentrarsi in questo collezionismo «da poveri», quando la crisi del '29 lo costrinse a vendere un adorato Van Gogh ad un mercante che riuscì pure a truffarlo. La prima parte della vita di questo ricco orfano è puro Dreyer: fratelli minuscoli che annegano dietro il mulino, la madre che muore dando alla luce l'adorata Trutti, la severa sorella maggiore Gertrud che fa da vice-madre. Poi muore anche il padre, un geniale ingegnere che insieme all'altro grande mecenate-collezionista Brown Boveri ha ammonticchiato officine, centrali elettriche, cartiere. Adesso il «film» diventa un Fanny e Alexandre alla Bergman: in una delle prime case svizzere che possiedano telefono ed elettricità, i due complici fratelli minori, poco a poco, trasformano la fredda magione nella loro «galleria d'arte». A vent'anni a Vienna si contendono i primi Van Gogh, è Trutti a vincere: ma poi Joseph, con la scusa degli stages nelle varie officine (perfino la Singer, in America), incomincia ad acquistar quadri per il mondo, ancora freschi d'atelier. Non ha soldi sufficienti per regalarsi da Vollard una tela di Cézanne che è morto da tre o quattro anni, ma non si lascia sfuggire ad un'asta il celebre Giardiniere Vallier. Non ama bazzicare gli studi, è troppo timido: quando va a visitare l'atelier di Munch non osa nemmeno domandargli se è disposto a vendergli qualcosa. Con- tende ad un altro grande intenditore come Oskar Reinhard le Due sorelle nude di Picasso, che questo ritiene non troppo rifinite: e così ora fanno prodigiosa mostra di sé, accanto ad una coppia scolpita africana, per fortuna senza quel vezzo oggi molto di moda e troppo facile di mostrare il moderno accanto all'antico. Ricchissimo, questo monaco votato al collezionismo, che non sapeva vivere staccato dai suoi quadri, «come San Gerolamo dal suo leone» (osserva il grande esperto John Russell), a Parigi si compra un umile appartamentino da bonne col lavandino nell'armadio e i servizi in cortile, per sottrarre alla vista della moglie una «cataratta di quadri e sculture, legioni di Léger» e poi Klee e Kandinskij, e Braque e Bonnard. Al punto che se si fosse staccata qualche tela si avrebbe avuto l'impressione che le pareti non esistessero, ricorda Pierre Schneider, uno dei pochissimi ad aver avuto in prestito qualcuno dei suoi tesori, per l'indimenticata mostra su Matisse del '70. I suoi «no» erano leggendari: non sapeva respirare senza i suoi quadri. Per l'assicurazione dei Matisse chiese una somma irrisoria: per lui il tempo si era fermato all'istante miracoloso dell'appropriazione. Incapace di dirigere le sue Officine Sphinx («non so dare ordini») era capace però di riconoscere un Kandinskij a distanza di sessantanni («lo vidi da Eddy!»). Quando lo invitano ultraottantenne a New York per presentare la mostra del vecchio amico Hodler, tutti si attendono aneddoti, memorie: lui si perde a descrivere il bouquet che gli hanno appena offerto. Da vero pittore. Il colore del presente. Non possiamo che esser grati di varcare finalmente quella soglia segreta che raramente lui lasciava infrangere: non perché volesse punire i visitatori «preziosi ridicoli», ma perché nulla poteva occuparlo meno dei riti mondani. Marco Vallerà Le «Due sorelle nude» di Paolo Picasso, uno dei capolavori esposti a Ginevra. Mùller lo strappò a un altro collezionista famoso, Oskar Reinhard
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