Parolaio di Maria Antonietta Macciocchi

ìParolaiO ìParolaiO FATTIE MISFATTI. Sul Corriere della Sera Maria Antonietta Macciocchi paragona l'Unità di un tempo con quella (in crisi) di oggi, il giornale colto e austero di ieri con quello che «somiglia, come clonato, a tutti gli altri quotidiani» di oggi. E critica anche, la Macciocchi, la ((vecchia stratificazione pietrosa del settarismo culturale» che a suo parere rivive ancor oggi, malgrado le apparenze di apertura e di pluralismo della nuova Unità. Un esempio, scelto dalla Macciocchi senza alcun riferimento a fatti e interessi personali? Ecco l'esempio disinteressato: «A proposito di Furet, ricordo che mi ha chiesto a Parigi: "Che cosa ha scritto l'Unità a proposito del suo libro sulla Pimentel?". "Niente, non ne ha parlato"». Ecco l'esempio (disinteressato) di «stratificazione pietrosa del settarismo culturale». Niente, non ne aveva parlato. RETROVISIO- NE. Ogni anno la stessa storia, le stesse attese, le stesse recriminazioni, gli stessi rancori. «Anche quest'anno era fa- Maria Antonietttale», scrive Giulia Borgese sul Corriere della Sera, «con l'approssimarsi del Nobel per la letteratura (verrà assegnato a ottobre) ricompare la candidatura dell'Italia al grande premio con, in testa, Mario Luzi». Anche quest'anno Mario Luzi denuncia in anticipo, non si sa mai, eventuali complotti, possibili macchinazioni, verosimili trame, potenziali colpi di mano, prevedibili congiure. «Varie volte», denuncia il Poeta, «era sembrato molto probabile che io venissi premiato, ma poi ci devono essere stati retroterra, per non dire retroscena, che non conosco. Si possono anche intravedere movimenti non chiari, forse qualche mossa non opportuna della nostra diplomazia. Io non conosco i rapporti né le motivazioni». Non si conoscono i rapporti, e neppure le motivazioni. Ma è sempre meglio fare piena luce su «movimenti non chiari» e poi ci devono essere stati dei retroterra. 0 forse dei retroscena. RIGOR MORTIS. Niente da fareNessuno riesce a smuovere il regista Bernardo Bertolucci dalla sua insana decisione di rinunciare all'ultimo momento al progettato film su un soggetto totalmente inedito, ignoto ai piùignorato dai media, trascorso dalla memorialistica, per nulla agitato dai suoi protagonisti coun formidabile pedigree, sconosciuto, marginalizzato: il SesMario Luzi agita I meu I nosc Macciocchi santotto. Niente da fare, non riusciremo a convincere Bertolucci ad affrontare un tema tabù che, nella ricorrenza del suo trentennale, avrebbe pur dovuto sollecitare ricordi e riflessioni mai sentite. Niente. Però Bertolucci, nell'intervista al Corriere della Sera in cui annuncia la sua incredibile defezione, si dice sicuro della causa che ha messo fine alla vita di Federico Fellini e Marco Ferreri. Forse la morte di due protagonisti del cinema italiano viene fatta risalire a qualche causa naturale? No. L'autopsia spirituale di Bertolucci è giunta alla seguente conclusione: «Forse Fellini e Ferreri se ne sono andati perché sentivano che quel loro cinema stava scomparendo». Ecco perché se ne sono andati. IN ALTO, A SINISTRA. Accarezzare l'avversario per poi colpirlo meglio: una tattica di combattimento solitamente molto efficace, che è stata adottata anche da Piero Sansonetti su l'Unità nel tentativo di far recedere Sandro Curzi dalla candidatura anti-Di Pietro in quel del Mugello. Prima di colpire duramente il reprobo che aveva osato mettere in discussione la decisione del Partito e del suo Segretario Generale, Sansonetti liscia il pelo all'eretico testardo: «Dobbiamo parecchio a Sandro Curzi, ci ha insegnato un sacco di cose». Ma la captatio benevolentiae non finisce qui, anzi prosegue con un fervore che rischia di accecare l'autore del panegiricotrappola: «Curzi ci ha insegnato a tenerci fuori dagli schemi del potere, dei partiti, a lavorare senza seguire le ideologie». Chissà il sorriso furbetto di Curzi che si vede dipingere da chi qualche riga più in là non esiterà a infliggergli severi rampogne come un giornalista che non ha mai seguito «un'ideologia» e che addirittura ha tenuto fuori la sua professione «dagli schemi dei partiti». Decenni e decenni di onorata militanza giornalistica nel grande partito comunista italiano gettati via così. Il cinismo dei giovani. MISTERO BUFFO. Da quando ha deciso di lavorare con Giorgio Albertazzi, per il Secolo d'Italia Dario Fo non è più il demonio. Ecco il titolo del quotidiano di An: «Albertazzi-Fo in nome dell'arte». Ecco le prime righe del peana: ((A Giorgio Albertazzi le vacanze non interessano. Infaticabile, irriducibile, indistruttibile» ecc. ecc. In nome dell'arte. Pierluigi Battista staj Maria Antonietta Macciocchi Mario Luzi

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