L'angoscia d'Israele in crisi l'Armata dei suoi protettori di Fiamma Nirenstein

Istanbul, scoppio nel quartiere dei turisti ■/angoscia d'Israele, in crisi l'Armata dei suoi protettori LE CREPE LE CREPE DI UN MITO PGERUSALEMME IOVE sul bagnato della depressione israeliana dopo l'attentato terroristico di Mahanei Yehuda. Proprio a pochi giorni dal terribile evento, mentre si paventa un'altra esplosione, e ormai ieri si è scoperto che i terroristi vengono dall'angolo di casa, ovvero proprio dall'Autonomia Palestinese, la Tzava, il mitico esercito israeliano, è scosso da una doppia crisi. L'esercito è il cuore e il centro popolare del Paese, in cui ogni cittadino passa quattro anni della sua vita per poi tornare a servire ancora e ancora nelle Riserve; e ieri, su due fronti, si sono aperte ferite che più ancora che dolere, sconcertano. Il primo episodio è una storia da film americano avvenuta nel carcere militare di Atlit, fra Haifa e Tel Aviv, nel braccio numero 6, dove sono detenuti i soldati che scontano condanne lunghe; spesso, come spiega il secondino Avi Rifkin, si tratta di gente che proviene da ambiente marginale, o addirittura criminale, duri per costituzione che seguitano a compiere violenze e traffici anche nell'esercito, oppure sono colpevoli di diserzione e di disobbedienze gravi. Sabato mattina alle Ili detenuti hanno dato inizio a una rivolta e hanno sequestrato 9 guardie. Le hanno sbattute dentro le loro celle e hanno chiesto e ottenuto di dare il via a un estenuante negoziato in cui chiedevano intanto la promessa di non punire in nessun modo il loro gesto, e poi di migliorare le condizioni di vita nel carcere: «Ci picchiano, ci insultano senza ragione, il mangiare è impossibile», hanno detto a una troupe del secondo canale nazionale della televisione che i prigionieri a un certo punto hanno chiesto di lasciare entrare. Finalmente ieri, nella tarda mattinata, tutte le guardie sono state rilasciate. E l'esercito tramite il suo portavoce ha subito dichiarato che gli impegni presi, specie quelli relativi all'impunità dell'azione violenta, sono da ritenersi nulli. Ma tutta questa storia è niente in confronto al terribile sconcerto degli israeliani, abituati a considerare la Tzava come una parte della loro vita, punizioni comprese: è stato uno choc vederla trasformata in un film americano, con i fari puntati sul muro di una prigione in cui molti israeliani hanno passato in anni giovanili almeno qualche giorno, con i cani ululanti, le ambulanze pronte. Genitori impazziti sono arrivati in massa con le loro auto private e hanno compiuto la solita invasione di campo che ormai, dal tempo del processo di pace, avviene sempre quando c'è una situazione di pericolo o di tensione. Molti parlavano al microfono dei giornalisti del «mio bambino», sempre un «bravo ragazzo» che certo non può aver fatto niente di male alle guardie. Altri invece se la prendevano a tutta forza con i nuovi immigrati russi, sostenendo di essere certi di avere udito con le loro orecchie le trattative con i giovani criminali-soldati svolgersi soltanto in lingua russa: «Sono loro, i russi, che pretendono tutto e non danno niente, loro che rovinano il morale dell'esercito». Alcune madri invece raccontavano ai giornalisti che davvero i loro figli avevano preso un sacco di botte nelle carceri militari. Rifkin però dice: «Non è vero niente: non c'è nessun sadismo nell'esercito israeliano. Certo, gente che di mestiere fa il criminale è difficile trattarla con i guanti di seta». Poi, sulla notte americana è giunto il mattino mediterraneo, la situazione si è placata lasciando uno strascico di sospetto e di sfiducia, genitori, figli, esercito, tutti lontani gli uni dagli altri. Il secondo episodio comincia male e finisce peggio: nel Sud del Libano una ronda composta di soldati drusi è partita nottetempo per il suo giro, in condizione di particolare allerta, dati gli eventi degli ultimi giorni. Dopo mezzanotte a 2 chilometri e mezzo dalla base di Karkom, qualcuno ha creduto di vedere due terroristi a 70 metri di distanza. Il comandante ha ordinato di mettersi in posizione di fuoco, e secondo la procedura, i soldati si son buttati per terra in un semicerchio con le armi puntate. Questa posizione ad anello viene abbandonata quando arriva l'ordine di far fuoco. Ma stavolta il buio e il terreno roccioso hanno coperto l'un soldato all'altro, ed essi hanno cominciato a sparare semplicemente puntando le armi l'uno addosso all'altro, senza rendersi conto di niente, finché è tornato il silenzio. Ne è uscito un ferito grave, Mandi Xativ, e uno lieve, Nazar Amar. Ma la tragedia non finisce qui: dopo che l'elicottero ha evacuato nella notte il ferito in stato comatoso, una volta giunto ad Haifa doveva essere pronta in attesa l'ambulanza dell'ospedale Ramban. Invece non c'era. Ha tardato di diversi minuti. Non solo, quando Mahdi è stato trasportato verso l'ambulanza, è caduto per terra tutto l'apparato dell'ossigeno, e il soldato è rimasto senza bocchettone per 7 secondi. Una troupe televisiva, nella notte, nel sangue, fra le grida, ha filmato questa ennesima tragedia israeliana. Adesso tutti sono sotto accusa: l'esercito, i medici militari, i medici civili, l'ospedale. Israele non può togliersi dall'anima il senso di abbandono, di vuoto e di delusione che nasce da queste figure in divisa che invece, in ore che sono ancora di tanto sconforto dopo l'attentato, dovrebbero apparire come una madre buona, protettiva. Fiamma Nirenstein Choc in serie: rivolta in un carcere militare, denunce di violenze e tensioni con gli immigrati russi e vittime del fuoco amico in Libano

Persone citate: Rifkin

Luoghi citati: Israele, Libano, Tel Aviv