IL PALAZZO «il mangiapreti del duemila»

F F IL PALAZZO II mangiapreti del Duemila RENESIE, simmetrie e anomalie di un agosto fuori del tempo. Per un D'Alema, infatti, soavemente ricevuto in Vaticano come post-comunista di fine secolo, e per un Prodi che richiama dall'altro secolo vetuste tematiche su Chiesa, Stato, religione e libertà, eccoti un Bossi che dai bassifondi d'inizio secolo rilancia il più variegato e accaldato anticlericalismo. Perché ormai, per dire una cosa che disprezza, il leader della Lega la definisce «pretesca». Con malevola, per quanto un po' oscura insistenza se la prende con la «teocrazia», e di recente perfino con quel che chiama «ultrateverato», a occhio identificabile con la Santa Sede. Quest'ultima, comunque responsabile di sostenere il povero Prodi, definito «papalino oppressore»; mentre D'Alema, neanche a farlo apposta, e quindi prima dell'incontro con il cardinale Pio Laghi, Bossi l'aveva liquidato come «il prevosto monsignor D'Alema». A Pontida, del resto, il leader padano era stato anche più risoluto e volgare, indicando la Chiesa come «il vero nemico che le camicie verdi affogheranno nel water della storia». Considerazione cui faceva seguito l'invito a non pagare l'8 per mille, a sua volta preludio della dichiarazione di guerra ai «vescovoni falsoni» di «atea romana Chiesa». E già questo basta a interrogarsi su un anticlericalismo tanto più sorprendente quanto più raro nell'ultimo mezzo secolo di storia italiana, così remoto, desueto e minoritario da aver quasi smarrito ogni ricordo di se stesso e dei suoi spasmi residuali, le sedi polverose e catacombali della «Giordano Bruno», le commemorazioni massoniche il 20 settembre, certi scritti di Ernesto Rossi, le primissime battaglie per il divorzio o per la pillola anticoncezionale. Forse nemmeno Pannella, che pure era parso l'erede di quella a tratti anche nobile tradizione civile, accetterebbe oggi la qualifica di «anticlericale», e I non solo perché, secondo alI cuni, l'ha comunque persa sfilando a San Pietro, contro lo sterminio per fame, durante la «marcia di Pasqua» del 1979. E tuttavia, più che a un revival dell'anticlericalismo Bossi finisce in realtà per ridare un senso alla figura del «mangiapreti». Un singolare impasto di antico, moderno e poliedrico «mangiapreti», compresa qualche paranoia cospirativa tipo «quella lì, la Pivetti, ce l'ha mandata il Vaticano», e pensare che a suo tempo anche il comunista Secchia s'era convinto che il Vaticano avesse «mandato» la lotti nel pei... Più in generale, sforzandosi di capire cosa c'è nel frullatore anticlericale di Bossi, a parte le canoniche rivendicazioni contro l'Inquisizione («Io sto dalla parte dei bruciati vivi»), si può notare come le accuse ai «vescovoni» che «magnano e bevono» sembrano mutuate dall'iconografia caricaturale del Don Basilio, o addirittura dall'Asino di Podrecca e Galantara. Mentre il fatto che Bossi, nei suoi comizi, raffiguri gli eccleasiastici «con le croci d'oro» in mezzo ai poveri, richiama un qualche sessantottismo, con la dovuta polemica sulle deviazioni dai principi evangelici. Sullo sfondo, ancora inespresso, il sogno di una chiesa nazionale leghista. E tuttavia, tra don Parmeggiani che benedice i gazebi e i matrimoni celebrati secondo il rito celtico, non si capisce bene se questa eventuale chiesa preluda a una religione padana a base di acqua santa, dio Po, Braveheart, ruota solare e altri idoli. E quindi alla rapida formazione di una classe sacerdotale, e magari, col tempo, addirittura clericale. Filippo Ceccarelli Bili |

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