Brunet: correvo insieme a mia figlia

Brune!; correvo insieme a mia figlia Per la valdostana la spinta decisiva è arrivata da una bella notizia da casa, in mattinata Brune!; correvo insieme a mia figlia Argento per i suoi primi passi ATENE DAL NOSTRO INVIATO Roberta ha in mano un pupazzo di gomma. «E' il primo regalo che ha avuto mia figlia Dominique - dice e me lo tengo stretto come portafortuna, quando vado in giro. Funzionò ad Atlanta, all'Olimpiade. Ha funzionato ancor meglio qui ad Atene». La figlia Dominique è la chiave di tutto, è la vera protagonista del dopocorsa, anche se sta molto lontano da Atene. Vive a Gressan, in Val d'Aosta. «Sì, mi ha messo le ah, mia figlia. Ha due anni, proprio in mattinata avevo avuto da mio papà un telegramma che mi aveva fatto piangere di gioia: Dominique ha mosso i primi passi, diceva. E la notizia mi ha dato più gambe, più gambe...». La mammina in pista pensava alle gambette di Dominique e guardava le gambe delle avversarie. Pensava alla sua figliola che era nata due anni fa ma non aveva impedito alla mammina di riprendere quello sport al quale aveva dato una vita. «La figlia l'abbiamo voluta, io e mio marito Giò - riprende con il fiato ancora rotto dall'emozione e dalla fatica - ma avevo deciso fin da subito che avrei riprovato a correre. Corro dall'età di dodici anni, la fatica e le emozioni della gara mi sono entrate nel sangue. E poi, guardate com'è il destino. Ho ottenuto buoni piazzamenti nella mia carriera di mezzofondista, mai però avrei pensato che i grandi traguardi li avrei tagliati da mamma». Già. Terza ad Atlanta, Olimpiadi; seconda ad Atene, Mondiali. Come si può conquistare una medaglia d'argento dopo una stagione così tormentata, lastricata di infortuni? Due mesi di stop nell'inverno, altri venti giorni nel momento più delicato, una quarantina di giorni fa, per via di un plantare mal adattato a una scarpetta... «Si può, si può arrivare alla medaglia. Si può se si possiedono i valori veri, che sono la determinazione, l'affetto del clan che ti circonda, e naturalmente la fede». E, dicendo queste parole, bacia il crocifisso appeso alla catenina d'oro. Il clan che la circonda è unico al mondo, probabilmente. Un allenatore che era già stato scartato da tempo dalla federazione, ha ottant'anni passati, si chiama Oscar Barletta e fa il pendolare da Civitavecchia per seguire la sua atleta. Un marito che chiede continuamente i permessi dal lavoro, fa l'autista, per precederla con la mountain bike quando si allena in pista, farle - come si dice in gergo da lepre. Una sorella che è cuoca all'ospedale e le prepara le torte. Mamma e papà che fanno i baby sitter. «Il mio clan è unico al mondo - dice - e me lo tengo stretto. Senza di loro non potrei certo fare la professionista dell'atletica». E mentre parla gira la bandana che le tiene i lunghi capelli scuri, perché si possa leggere bene la scritta «Valle d'Aosta». I professionisti hanno i loro doveri, naturalmente. Poi riprende: «Vorrei in questo momento dire un grazie particolare a Barletta, al mio allenatore, perché un uomo con la sua sensibilità, con la sua moralità, con la sua storia non esiste proprio al mondo». Lui, al fianco dell'azzurra, si asciuga gli occhi... Ma bisogna parlare anche della gara, di come è stato conquistato questo argento. Atteso, certo, ma molto sofferto. E' arrivato al termine di una battaglia durata quasi 15 minuti. Mai un dubbio, un'incertezza? Risponde Roberta: «Il momento difficile è arrivato verso metà gara. Lo sapevo, però, ero preparata, perché sempre durante una competizione c'è l'attimo in cui la crisi ti prende al cuore, allo stomaco, vorrebbe mandarti al tappeto. Lo sapevo ed ero preparata a soffrire. Ho perso qualche posizione, sono scivolata indietro. Ho pensato a Dominique che mi guardava in tv e forse batteva le mani, o gridava alleluja come fa da qualche tempo. Poi mi sono riattaccata alle prime, in quel momento ho avuto una certezza assoluta: l'argento non mi scappa più». L'argento? L'oro proprio non era nei programmi. «No, l'oro non era nei programmi. Senza tutti quegli infortuni sarei arrivata ad Atene con gambe più forti e più adatte ai ritmi delle volate. Ma la romena Szabo qui era imbattibile, credo di averlo detto con chiarezza nei giorni della vigilia. Così è stato». Poi chiede cortesemente scusa e se ne va all'antidoping, tenendo stretto in mano il pupazzo di gomma di Dominique. Gianni Romeo «Corro da tanti anni ma i miei traguardi più importanti li ho toccati negli ultimi due, da quando c'è Dominique: e il suo primo pupazzo è il mio portafortuna» Il suo allenatore ha più di 80 anni ma per lei fa il pendolare, suo marito la segue in bici mentre corre e i genitori si prendono cura della nipotina «A metà gara ero in difficoltà, ho pensato alla mia piccola che mi guardava in tv e sono ripartita. Ma la Szabo era imbattibile» ™ IAAF World ^ Championshìps ath&vs '97 Per conquistare la medaglia d'oro Fiona May avrebbe dovuto raggiungere la misura di 7,02 che le avrebbe valso anche il primato italiano: c'è andata vicino all'ultimo salto annullato dalla giuria per pochi centimetri di irregolarità nella battuta Roberta Brunet, appena tagliato il traguardo, stringe la crocetta che porta sempre appesa al collo

Persone citate: Argento, Fiona May, Gianni Romeo, Oscar Barletta, Roberta Brunet, Szabo