«Il mio tango disperato» di Alessandra Levantesi

Locamo, incontro col regista dopo la proiezione in piazza del suo film più discusso Locamo, incontro col regista dopo la proiezione in piazza del suo film più discusso «Il mio tango disperato» Bertolucci si rivede 20 anni dopo LOCARNO. «Dov'è lo scandalo?» si domandavano stupiti gli spettatori più giovani a visione ultimata di «Ultimo tango a Parigi» (1972), presentato a suggello di una serata in onore di Bernardo Bertolucci, premiato con il Pardo d'oro alla carriera. Scandalo non più: ma che meraviglia ritrovare intatte, nella versione benissimo restaurata da Cinecittà International, le magnifiche immagini di allora contrappuntate dall'onda trascinante del sax di Gato Barbieri e con un Marion Brando ancora nel pieno del suo ineguagliato fascino. Fra le otto-novemila persone della gremita platea c'era pure il regista che non vedeva il suo lavoro da vent'anni. Che effetto le ha fatto? «La proiezione in Piazza Grande è un'emozione indimenticabile soprattutto in tempi come questi in cui i film vengono minimalizzati dalla tv. Sognare collettivamente a occhi aperti davanti al grande schermo è come assistere a una messa cantata invece che a un piccolo oratorio, c'è il senso dell'iniziazione. Non vedevo "Ultimo tango" da vent'anni e l'ho potuto seguire con distacco. Così mi sono accorto, e ne parlo ormai senza problemi, che questo film è la storia di una massa di dolore, il protagonista Paul impersonato da Brando, che si muove in modo ondivago collegando gli altri personaggi. Un alieno, adesso che va di moda la fantascienza, che si aggira in mezzo agli altri con il suo dolore e la sua furia. Ho fatto pochi film e ognuno corrisponde drammaticamente a un momento della mia vita. Ieri sera mi dicevo "Guarda com'ero!" e ho cercato di capire che cosa avevo dentro per premere tanto a fondo il pedale della disperazione. Si cambia, l'occhio rimane lo stesso, ma l'uomo dietro cambia. Mi sono chiesto anche: chissà se il film mantiene l'impatto di allora? E chissà come reagiranno i ventenni davanti a questo harakiri, a questo film che si sbudella di fronte al pubblico». Oggi cambierebbe qualcosa? «E' difficile toccare ciò che non ti appartiene più. Cambierei tutto e niente. Il film sta lì, non resta che assumersi la responsabilità di averlo fatto». Prevedeva che il film avrebbe avuto le conseguenze giudiziarie che sappiamo, una condanna a due mesi con la condizionale e la perdita dei diritti civili per cinque anni? «No, non immaginavo di dover subire quello che ho chiamato "il piacere del martirio". Almeno a livello di premeditazione, ero assolutamente innocente. Non avevo coscienza che certe situazioni potessero essere considerate oscene, pornografiche. Se lo avessi pensato mi sarei divertito molto di più. Visionando la prima copia con Kim Arcani, che mi aveva coadiuvato nella sceneggiatura e nel montaggio, ci siamo detti: "Chi andrà a vedere la storia di un cinquantenne disperato?". Poi ci sia- mo voltati e c'era il produttore Grimaldi che faceva un balletto di felicità: lui aveva capito tutto». I quadri di Francis Bacon che appaiono nei titoli di testa significano qualcosa? «Bacon è stato un riferimento importante. In quel periodo è stata inaugurata a Parigi una sua grande mostra, ci ho portato l'operatore Vittorio Storaro, certi sfondi arancioni prendono ispirazione da un suo trittico. Poi ci ho portato anche Brando e gli ho detto: "Vorrei che tu riuscissi a trovare questa intensità". In Bacon c'è una base figurativa interrotta, spezzata da schizzi di colore, movimenti: come se uno riuscisse a vomitarsi sul viso. In seguito ho conosciuto l'artista e mi ha detto che era orgoglioso di essere apparso con i suoi quadri nel film». Affidandosi al suo fascino incantatorio, secondo solo a quello famoso di Fellini, Bertolucci continua a parlare di sé e del suo lavoro: scherza definendo «SM», ovvero sado-maso, il suo primo periodo, quello dell'espressione pura culminato con «Partner» ('68); confessa che il progetto sul '68 è sfumato, ai giovani «calati nel presente» il passato non interessa; ammette di aver rifiutato per ora la proposta lusinghiera di una regia alla Scala («Senza la macchina da presa mi sento perso»); non racconta i nuovi progetti perché «sono stufo di annunciare film che poi non farò» e ci lascia alla nostra curiosità. Alessandra Levantesi «Mi sono accorto che quella storia è una massa di dolore e Brando un alieno» Qui accanto Bernardo Bertolucci, «Pardo d'oro» a Locamo. A destra Marion Brando con Maria Schneider in «Ultimo tango a Parigi»

Luoghi citati: Parigi