Valletta la religione della fabbrica

LA MEMORIA. Moriva trent'anni fa l'uomo che guidò la Fiat dalla ricostruzione post-bellica al boom LA MEMORIA. Moriva trent'anni fa l'uomo che guidò la Fiat dalla ricostruzione post-bellica al boom Valletta, la religione della fabbrica Inventò l'auto di massa, fondò Togliattigrad ATORINO LLA fine verrà ricordato come uno dei grandi personaggi che hanno fatto, non solo in campo economico, la storia del secolo, nel suo lungo viaggio dal capitalismo vecchio stampo - preoccupato soprattutto della disciplina in azienda e tuttavia paternallsticamente generoso alla conquista dei mercati mondiali, all'allargamento di quelli interni, alla ricerca del consenso. Su Vittorio Valletta la discussione storiografica è aperta, ma ormai i documenti sono tutti disponibili, dopo che la Fiat ha pubblicato i verbali degli incontri con gli organismi sindacali negli anni cruciali fra il '44 e il '56, da cui emerge a tutto tondo il carattere dell'uomo. «Desidero sapere che cosa farebbe se io le dicessi che è un delinquente», dice con foga, a un certo punto, un sindacalista. «Le direi che è un mascalzone. Potrei aspettarla fuori dallo stabilimento...», risponde l'allora Presidente dell'azienda. E' l'ottobre 1950: iniziava un confronto durissimo con la sinistra sindacale, che si sarebbe concluso con la sconfitta della Fiom, ottenuta col bastone dell'autoritarismo e la carota del paternalismo, metodi appartenenti a un'epoca dove comunque la posta in gioco era altissima: il tipo di sviluppo non solo dell'auto ma dell'Italia. Nato nel 1883 (l'anno di Mussolini), Vittorio Valletta morì trent'anni fa, in punta di piedi, nella sua villa alle Focette, presso Viareggio, lontano dalla «sua» Fiat e nel cuore delle ferie, con la fabbrica chiusa e Torino semideserta. Fu la marina degli Stati Uniti ad avvertire alle Hawaii Giovanni e Umberto Agnelli, che si precipitarono in città. La salma arrivò 1' 11 nell'appartamento di via Genovesi e il mattino dopo alle 6 fu trasferita nell'atrio di Mirafiori. Un mare di gente per l'ultimo saluto e poi sul percorso del feretro verso il cimitero. Folla lungo le strade per un funerale spoglio e solenne, molto legato alla simbologia e persino al clima dell'era presessantotto: un funerale da leader. Valletta aveva lasciato la Fiat da I un anno, facendo in tempo a coronare il sogno dell'internazionalizzazione con gli accordi per l'impianto di Togliattigrad, in Urss, ed era stato quasi un appuntamento storico. Lui nell'azienda era entrato, subito al vertice a fianco del senatore Agnelli, il 1° aprile del 1921, all'indomani del fallimento dell'occupazione delle fabbriche e della «grande paura» degli industriali italiani, che vedevano la rivoluzione bolscevica alle porte. Stava sorgendo allora il Lingotto, lo stabilimento all'avanguardia che avrebbe segnato il grande salto di qualità dell'azienda automobilistica, e ci voleva un «pilota» speciale. Per Agnelli, Valletta (che fra l'altro era stato militare nell'aeronautica) era l'uomo giusto al posto giusto. Nato a Sampierdarena da un ufficiale, trasferito bambino in Piemonte, ora, a 38 anni, era un personaggio di tutto rispetto, «arrivato», un commercialista di successo. Infanzia povera e dignitosa, fatta di sacrifici nascosti e di «miseria» pic¬ colo borghese, studi universitari pagati col lavoro di ragioniere e d'insegnante, un talento speciale nel prendere in mano aziende in rovina e rilanciarle, quello che l'agiografia definì «il primo operaio della Fiat» conosceva la vita «di barriera» e la condizione operaia. Una volta, per capire come rimettere in sesto una cartiera, si fece assumere come operaio da una ditta concorrente, e ci restò un mese. Al Lingotto non ebbe più bisogno di apprendistati del genere. L'imperativo categorico era crescere, e Valletta grazie a una rigida organizzazione aziendale ci riuscì, mentre nascevano la «Balilla» a tre marce proprio nel momento in cui l'auto sembrava più in crisi, e nel '36 la gloriosa «Topolino». Già allora il duo Agnelli-Valletta coltivava un sogno, l'internazionalizzazione: un accordo con Ford o General Motors per piccole cilindrate sui mercati internazionali. La guerra di Mussolini - che non aveva una gran simpatia per un'azienda ten- dente a considerarsi, come lamentava nel '27, «intangibile e sacra» fece fallire quei disegni, e nonostante gli alti profitti ne mise in serio pericolo, con la sconfitta e l'occupazione tedesca, la stessa sopravvivenza. Ma Valletta sapeva che difendere la fabbrica (imperativo categorico) voleva dire difendere la città: per esempio con concreti aiuti alla popolazione, dalle 80 mila paia di lenzuola e sacconi di foglie di granoturco, per sostituire i materassi di lana perduti, alle famose 100 mila razioni giornaliere di minestra, la «sbobba Fiat»; dal¬ l'allevamento clandestino (e relativa macellazione) di maiali alle sardine in scatola comprate in Jugoslavia, ai depositi di patate dispersi nelle parrocchie. E difendere la fabbrica significava anche trattare indefessamente con tutti, tedeschi, fascisti, partigiani, consci che alla fine il destino di Mirafiori e del Lingotto non si sarebbe deciso a Salò ma a Londra e New York. Estromesso all'indomani della liberazione, «epurato» e poi assolto (come racconta colui che fu ii suo «giudice», Alessandro Galante Garrone nel recente II mite giacobino, Baldini & Castoldi), Valletta nel '46 era di nuovo al timone, pronto a pilotare la rinascita e anzi a vivere quella che Pietro Bairati nella biografia che gli ha dedicato [Valletta, Utet) chiama «la sua grande stagione». Vincere la partita vuol dire affrontare un conflitto durissimo, e senza esclusione di colpi, trattare con gli americani e spingere nell'angolo i «rossi». E successivamente vuol dire dilatare enormemente la produzione a Torino, lanciare nel '55 la «600» e due anni dopo la «500», avviare la motorizzazione di massa, mutare il volto della città provocando una rapidissima immigrazione di mano d'opera dal Sud, decidere insomma una programmazione economica di respiro nazionale. Nel decennio '50-'60 l'azienda passa da 65 mila a 108 mila dipendenti, la sua produzione aumenta del 500 per cento. Vincere la partita vuol dire allora assicurare negli anni della crescita più impetuosa le paghe migliori, un'assistenza sanitaria d'avanguardia, scuole interne, case per dipendenti, e provocare un'identificazione totale con la fabbrica. E vuol dire infine «far politica»: per esempio comprendendo la necessità di ammortizzatori sociali e scegliendo decisamente la prospettiva del centro-sinistra fin dall'inizio degli Anni 60, contro le perplessità della Confindustria. Valletta rappresenta tutte queste cose, dal mito del lavoro al più sobrio degli understatement accompagnato da trovate geniali e un po' spettacolari: come quella di andare in ufficio sulla sua «500», guidando lui ed eventualmente con l'autista a fianco. Amante dell'equitazione (a 70 anni cavalcava ancora) e nemico del lusso (le sue vacanze erano celebri: due settimane intorno a Ferragosto in una villetta affittata a Varigotti, in Liguria, da cui peraltro non usciva mai), Vittorio Valletta ha segnato in fondo un'epoca e uno stile di vita. Una sua particolare «religione della fabbrica», consegnata alla storia. Ma la sua ombra incombe sul fine secolo. Luciano Gallino aveva, in un saggio di vent'anni fa per Civiltà delle macchine, identificato in tre personaggi i «modelli» del capitalismo italiano, cui bene o male tutti si sono rifatti: Adriano Olivetti (l'utopista), Enrico Mattei (il solidarista cattolico) e Valletta (il liberaleliberista). Ora lo studioso ammette che solo il terzo modello sembra «vincente». Magari non è neanche giusto, m? è vero che nessun imprenditi e si rifarebbe esplicitamente oggi - per molte ragioni diverse fra loro - all'eredità dei primi due. Mario Baudino La rubrica Zapping-Italie in tv di Massimo Gramellini è rinviata. Con il mito del lavoro, intessuto di ferrea disciplina e sobrietà di vita creò uno «stile» e segnò un'epoca Tra Lingotto \ e Mirafiori, i duri conflitti con la sinistra sindacale I Decise il modello di sviluppo che cambiò il volto del Paese \ I Valletta con l'ambasciatrice americana Claire Booth Luce nel 1955 Vittorio Valletta nel garage di corso Marconi al volante della sua celebre 500. A destra, con l'avvocato Giovanni Agnelli