Un bicchiere di sherry con Rhodes

9 Turismo di massa ma anche sorprese nello Zimbabwe cuore selvaggio del Continente Un bicchiere di sherry con Rhodes Alle Cascate Vittoria, fra i miti dell'impero CASCATE VITTORIA (Zimbabwe) DAL NOSTRO INVIATO Ecco come ti frega l'Africa. Tu inseguivi l'inizio di tutto, volevi immergerti nell'antico e provare l'effetto che fa, riconoscerti puro dettaglio di una natura più grande, fuggire oltre il giardino zoologico di Piero Angela. E invece non fai in tempo ad atterrare proprio in mezzo alla savana che subito t'imbatti nella più evidente e sofisticata impronta dell'umano dominio. Tanto più assurda in quanto non si presenta sotto forma di base missilistica, coltivazione tecnologica o fabbrica automatica, bensì come albergo. Sì, un albergo. Cercavi l'Africa nera e hai trovato l'Africa bianca proprio là dove il 16 novembre del 1855, centoquarantadue anni fa, sgranò all'improvviso gli occhi il pastore scozzese David Livingstone che stava seguendo il placido corso del fiume Zambesi, incuriosito dal fragore di tuono e dall'inspiegabile nuvola bianca: uno squarcio imprevedibile, violento, spezzava l'altipiano e l'acqua precipitava per cento metri nella roccia nera trasmutandosi in schiuma verdastra e candido vapore, cosicché una pioggia perenne ricrea appena lì intorno la giungla equatoriale, mentre lo Zambesi bruscamente vira a Est verso l'Oceano Indiano. Livingstone, com'era ovvio, avrebbe dedicato quella meraviglia a Sua Maestà la regina Vittoria: nemico acerrimo della tratta degli schiavi verso il Nuovo Mondo, reputava però necessario sottomettere alla civiltà britannica e alla fede cristiana quelle tribù di uomini «senz'anima». Lo spirito missionario fondava così l'idea coloniale. Appena fuori dalla giungla perennemente bagnata, dove la savana ridiventa savana, sorge curvilineo il colonnato bianco dell'albergo, cui nel tempo si sono aggiunte due ah simmetriche come ad abbracciare il panorama. Ogni dettaglio è studiato con una meticolosità così ossessiva da spiegarci meglio di qualunque libro di storia cos'ha significato per il mondo l'impero britannico, anzi, come in un attimo cruciale l'Euro pa sia diventata mondo. Il segno incancellabile di quel passaggio, come vedremo, colorerà di patetico ogni nostra successiva pretesa di annullarci per quindici giorni nell'immensa natura circostante in apparenza c'è posto per tutti dentro questa Africa australe che ci regala il suo inverno secco prò prio quando in Italia è estate, e al lora le sue piste rosse si popolano di Don Chisciotte in jeep più o meno ridicolmente vestiti, tutti prò tesi a inseguire se stessi nel nome del «mal d'Africa» e di Karen Bli xen, quando non a scimmiottare Hemingway o addirittura l'epopea kitsch dì Wilbur Smith. Ma allora forse è meglio deporre le arie snob o terzomondiste dell'avventura estrema, e riconoscere dove siamo andati a finire: dritti diitti nella moda di una nuova Africa bianca, fantastica evoluzione del lusso di massa. Che oltretutto somiglia incredibilmente al boom della vacanza in barca con cui migliaia di cumenda milanesi trasformati in marinai stanno cambiando la faccia del Mediterraneo. Sia ben chiaro, giocando agli esploratori ci divertiremo moltissimo, i pesci-tigre del lago Kariba sono mille volte meglio dei cavedani del Garda. Ma prima di accendere il falò sotto le stelle in attesa di quel brivido unico che ti dà il ruggito del leone, da raccontare d'inverno agli amici, sarà meglio sacrificare qualche centinaio di dollari extra per rintracciare dentro l'albergo i nostri predecessori, l'Africa bianca com'era. Perché anche noi moderni imitatori agostani dei Livingstone e degli Stanley faremo bene a ricordare che in mezzo c'è stato un tale Cedi Rhodes. E l'albergo, ahimè, rischierà di rendercelo perfino simpatico, comunque apprezzabile. Se la regina Vittoria s'è vista dedicare in Africa prima le cascate e poi più a Est un lago gigantesco, a quel figlio di umili contadini inglesi è toccato l'onore eccezionale di vedersi intitolare addirittura ima nazione, anzi, due: la Rhodesia del Nord (oggi Zambia) e la Rhodesia del Sud (oggi Zimbabwe). Buona parte di quei territori sottratti ai neri, Rhodes h' possedeva personalmente. Aveva fatto fortuna con i diamanti della miniera sudafricana di Kimberley collocandosi tra i soci fondatori della De Beers, per poi risalire più a Nord fino a fondare la città di Salisbury, attuale capitale dello Zimbabwe col nome antico di Harare. L'albergo non ci narra del sangue indigeno versato nel corso di più d'un secolo di sfruttamento, né della brutalità dei coloni guidati dall'avventuriero Rhodes quando ancora neppure era necessario codificare le norme dell'apartheid, tanto apparivano ovvie. Ma ci rivela, dettaglio per dettaglio, dagli infissi ai portacenere, figli della proverbiale cocciutaggine inglese, la grandezza del disegno che inconsapevolmente li guidava. Anche qui, a diecimila chilometri da Buckingham Palace, prima di tutto viene l'alzabandiera. Nel parco del Victoria Falls Hotel, l'albergo più bello dell'Africa, la pertica bianca è posta scenograficamente proprio dove lo sguardo incontra la nuvola eterna del «fumo che tuona», cioè il vapore delle cascate, subito dietro il ponte di ferro sullo Zambesi. Nella base di granito sono incise le misure di una conquista realizzata con stupefacente facilità: «Cape Town 1647 miglia - Il Cairo 5165 miglia», come dire il continente nero reso suddito dell'impero di Sua Maestà dal Sud Africa all'Egitto passando per Bechuanaland (oggi Botswana), le due Rhodesie separate dallo Zambesi, e più in su Kenya, Uganda e Sudan, senza dimenticare Nigeria, Gambia, Sierra Leone e Costa d'Oro sul versante atlantico. Tutti possedimenti inglesi. Era il 1904, non erano passati ancora dieci anni dalla morte di Rhodes e il suo sogno di potenza sembrava finalmente realizzabile: dare una spina dorsale di ferro alla galassia delle colonie africane congiungendole in verticale con una ferrovia da Sud a Nord, per l'appunto dal Capo di Buona Speranza al Mediterraneo, da Cape Town al Cairo. L'impresa alla fine risulterà al di sopra delle forze dello stesso uomo bianco, e i binari dovranno deviare a Est del lago Tanganica per arrestarsi sull'Oceano Indiano, a Dar es Salaam. Ma intanto fin qui il treno partito dal Sud Africa continua ad arrivarci ancor oggi con la sua puntualissima locomotiva a carbone. Ed è proprio nella stazione coloniale di fronte a lui, sommersa dalle buganvillee arancioni, che trova una sua ragione di nascita questo altrimenti inspiegabile monumento alla perfezione del modello di vita britannico. L'alzabandiera, dicevamo. Alle 18, l'ora rossa del tramonto, i camerieri in livrea allineano due fiaccole e una teoria di lanterne ai lati della pertica. Subito dopo si accendono i lumi elettrici, tutti in ferro battuto a forma di fiaccola. Oggi il drappo che sale è quello multicolore dello Zimbabwe, la Rhodesia del Sud indipendente dal 1980, ma è chiaro che tale coreografia l'avevano minuziosamente studiata per l'Union Jack. Si osserva la scena seduti sui fauteuil impagliati della veranda, sorseggiando l'ultimo tè accompagnato dagli scones inglesi o il primo sherry d'aperitivo. L'enorme piànta di mogano che allarga in orizzontale i suoi rami sul verdissimo prato pettinato ha più di duemila anni. Solo lui e le famiglie di babbuini che si spulciano tra il tetto le jacarande e le acacie, ci ricordano che non siamo nel mezzo del Kent. Il buio scende all'improvviso. Occorre coprirsi e per la cena giacca e cravatta sono cortesemente ma fermamente imprescindibiU. Rientrando sul pavimento laccato di cera rossa oltre le candide colonne, l'incontro tra Europa e Africa viene addirittura celebrato in metafora ai lati delle sale: il busto fiero di un antico romano («Europa») è posto di fianco a quello del suddito dai tratti negroidi («Africa»). E lo spazio dedicato ai trofei di caccia, teste d'impala e antilopi, A pelli di zebra, è ben circoscritto rispetto all'esposizione del continente nero come territorio ricco di risorse da sfruttare. Straordinaria è la collezione dei manifesti coloniali dedicati a «Gli sforzi dell'Impero». Ce n'è uno che ti apostrofa: «Ma lo sai che le colonie producono oltre metà del caucciù e un terzo del rame mondiale? Che sono ricche di zucchero, tè, caffè, cacao e frutta, oro e olio?». L'invito è a investire i propri risparmi nei titoli d'oltremare. In una sfilata minuziosa, allo stemma colorato di ogni possedimento - e si contano a decine - viene accompagnato il resoconto dei suoi tesori. Da Ceylon (caucciù, tè, cacao) alle Bermuda (patate); dall'avorio, tabacco, zinco e rame della Rhodesia del Nord finanche al povero guano dell'isoletta di Sant'Elena. Una retorica non dissimile da quella mussoliniana ritrae il colono baffuto che indica la nuova ferrovia trisettimanale: Zambesi express. Se il ritratto dei sovrani campeggia nel salone principale, un intero corridoio è occupato dalle suites comunicanti ove alloggiarono nel 1961 re Giorgio VI e il suo seguito, tra cui le principesse Elisabetta e Margaret. Li vediamo fotografati mentre rendono omaggio alla tomba di Cecil Rhodes che ha voluto essere sepolto nel paesaggio lunare di una kopje rocciosa, la tipica altura isocostella l'altipiano sovrastandolo. Le di cristallo col whisky e il brandy sono ancora al loro posto per gli ospiti di oggi. Prima di cena lo champa gne francese verrà servito nella sala di lettura il cui ca minetto è sormontato dall'iro lata che africano bottiglie nica effige di un re Lobhengula col manto di leopardo nella foresta. Ma è nella sala Livingstone, sottratta a ogni possibile riferimento extraeuropeo, che vi sarà servito il dinner mentre l'orchestra rende deliziosamente ovvio che si balli, da Frank Sinatra a Eric Clapton, magari chiedendo con l'apposito biglietto la «tua» canzone. Tutto ciò, non scordiamolo, nel cuore più remoto dell'Africa più selvaggia. Anche il breakfast trionfale nella sala Stanley che reca i disegni naif di mia famiglia bianca e della sua servitù nera (a proposito: l'albergo ha 325 dipendenti per 182 camere): succhi di mango e guia versati da brocche d'argento, come d'argento sono gli appositi portatoast. Tutto così perfettamente mglese, come la frase attribuita al giornalista Henry Stanley inviato dal «New York Herald» alla ricerca del disperso Livingstone. Avendolo ritrovato un anno dopo, nel 1871, malato, seduto sotto un mango sul lago Tanganica, celebrò lo scoop con mitico understatement: «Doctor Livingstone, I presume». Perfetto. Ecco la ragione per cui il turismo viene dopo, nella storia evocata dalle mura di questo albergo, benché all'ingresso una mappa affrescata rievochi la fenomenale Jungle Junction, cioè il primo collegamento aereo della Boac che scaricava qui taluni ardimentosi partiti da Southampton dopo aver fatto scalo a Siracusa, Alessandria, Khartoum, Port Bell. Perché prima del turismo è venuta questa Africa bianca e vi ha lasciato un segno indelebile pur nella sua foiba di capriccio ideologico. A cinquant'anni esatti dall'indipendenza di India e Pakistan, cioè dall'avvio del processo di decolonizzazione che ha ricondotto la Gran Bretagna nei confini delle sue isole, il tempo qui non è ancora passato. D'accordo, l'Africa che inseguiamo noi è quella dei «big five» (leoni, leopardi, elefanti, bufali, rinoceronti), delle notti stellate lontane dagli uomini, dei panorami inconcepibili. Non è l'Africa bianca del grande impero ma l'Africa bianca del grande nulla. Farla nostra però non sarà semplice, come vedremo. Impossibile, ad esempio, andare a cercarla lungo i 4200 chilometri del suo fiume più lungo, il Congo-Zaire, dove galleggiano i cadaveri delle più insensate guerre tribali. E allora, poiché la vita qui può darsi comunque solo intorno ai fiumi, congiungeremo il nostro destino a quello dello Zambesi, 2660 chilometri, già disceso a Sud dalle sorgenti del Katanga proprio come il suo fratello Okavango. Quest'ultimo a un certo punto disperde misteriosamente le sue acque nel deserto del Kalahari (per cui nel meraviglioso delta dell'Okavango ora i novelli esploratori ci vanno con l'elicottero, serviti sotto le tende da camerieri con i guanti bianchi). Rendiamo invece grazie allo Zambesi che, precipitando alle Victoria Falls, trova cosi la strada del mare. Nella gola in cui s'incanala verso Est con rapide e gorghi, prima che le sue acque ritrovino pace lo osservano silenziosi i coccodrilli, appostati tra rocce marrone scuro come la loro pelle. Cercheremo dunque di accompagnarlo fino al Mozambico, al delta nell'oceano. Ci sarà da sudare, uomo bianco. E allora goditi l'ultimo club sandwich sotto l'ombrellone impagliato di macuti, ai bordi di quella piscina che a te magari pareva una fontana. Gad Lerner (1 - Continua) ell'hotel sul «fumo tonante» fra i cimeli del conquistatore della Rhodesia il rito dell'alzabandiera restituisce l'atmosfera del periodo coloniale (depurato dalle sofferenze inflitte agli indigeni) Ma è difficile sentire la Natura con tanti «cumenda» milanesi lanciati sulle jeep GLI VN ESPLORATORI DELL'AFRICA BIANCA Le Cascate Vittoria sul fiume Zambesi rappresentano uno dei più grandi spettacoli offerti dalla natura africana Un'immagine della vecchia Rhodesia bianca (oggi 'Zimbabwe) dove i colonizzatori britannici avevano replicato nei minimi dettagli il modo di vivere inglese Tramontato il colonialismo col suo contorno di guerre i safari fotografici a bordo di fuoristrada rappresentano oggi la principale fonte di «brivido» offerta dall'Africa