Melpignano, l'ufficio dei misteri di Francesco Grignetti

Melpignano, l'ufficio dei misteri Melpignano, l'ufficio dei misteri Nel mirino deipm le confidenze «spiate» con editori e costruttori ROMA. Inaspettato, sorprendente, ma in fondo logico - non si è sempre detto che il vero potere rifugge dagli orpelli? - ecco che il defilato studio del commercialista Sergio Melpignano alimenta indagini e sospetti dei magistrati perugini a ciclo continuo. Nel suo studio - in un villino a Monteverde, fuori dalle rotte solite dei miliardari - per mesi hanno funzionato le microspie dei carabinieri. Qui si sono ascoltate le confidenze e le telefonate di Melpignano con i suoi illustri clienti. Palazzinari con l'hobby dell'editoria. Ed ecco dunque registrate le voci di Domenico Bonifaci, costruttore e editore del Tempo; di Franco Caltagirone, costruttore e editore del Messaggero; dello scomparso Romanazzi, editore della Gazzetta del Mezzogiorno o del costruttore Franco Pesci, marito dell'attrice Vinia Lisi. Uno spaccato dell'imprenditoria romana che conta. • 'Per i rapporti tra Melpignano e Bonifaci (agli arresti anche lui a Perugia), c'è già agli atti un corposo fascicolo giudiziario. Quanto ai rapporti con Caltagirone e Romanazzi, s'è saputo da ieri che c'è un nuovo indagato, parente di Sergio Melpignano, forse suo fratello Stefano: è accusato di aver «unto» con svariate mazzette il percorso delle tasse dovute allo Stato dai due imprenditori romani. L'indagato, secondo la pubblica accusa, avrebbe fornito un contributo «fattivo» alle attività illecite dello studio. E cioè «interventi corruttivi di pubblici ufficiali per ottenere riduzioni nei versamenti di Iva o altri tipi di imposte e tasse, e comunque tributi. Si richiamano, ad esempio, condotte illecite rilevanti nell'interesse di Franco Caltagirone e Paolo Romanazzi». Ale. In un colpo solo, si viene così a sapere che è nei guai il congiunto di Melpignano e che l'inchiesta sulla proprietà del Tempo, del Messaggero, e a questo punto anche della Gazzetta del Mezzogiorno, ha portato in prima battuta alla pista degli illeciti fiscali. Ma non solo. Nell'invito a comparire che è stato recapitato all'indagato dello studio Melpignano - accusato anche lui, come il titolare, di corruzione - si parla di «intestazioni fittizie di quote societarie». E quindi si accenna a «teste di legno» che nascondono le vere proprietà di società. In più si accenna a manovre bancarie «tese a ostacolare l'identificazione degli effettivi titolari». Manovre fumogene. Ce n'è abbastanza per prevedere un interrogatorio di fuoco. Ma la ragnatela che si dipanava dal villino di Monteverde, e che assomiglia sempre più alle strategie avvolgenti del banchiere Chicchi Pacini Battaglia, aveva mille obiettivi e cento interlocutori. Non solo gli imprenditori. Una volta era il magistrato Orazio Savia, che aveva il delicato compito di indagare sui reati economici nella capitale. Un'altra, erano gli alti ufficiali della Guardia di Finanza, Verdicchio e Cerciello, che nei primi Anni 90 dovevano dirigere le ispezioni fiscali alle società capitoline. Un'altra ancora, erano gli uomini politici, quelli che con un colpo di telefono potevano aprire lo pòrte verso un incarico in una società pubblica o verso un lucroso appalto Del tentativo di Melpignano per entrare negli organigrammi dell'Eni e della società Treni Alta Velocità, ad esempio, s'è detto due giorni fa. Del successo per entrare nel collegio dei revisori della Banca nazionale del Lavoro, grazie ai buoni uffici dell'«amico» ministro Augusto Fantozzi, s'è pure già scritto. Resta da capire meglio il senso di una frase di Bonifaci a Melpignano che emerge da un'intercettazione. In data 15 gennaio 1997, Melpignano riceve Bonifaci il quale è reduce da un interrogatorio a Milano, davanti al pm Francesco Greco. Melpignano si informa. Bonifaci gli dice: «Sono andati a vedere Cerciello ed è venuto fuori che io avevo dato il telefonino al fratello (Alberico, dipendente di Bonifaci, ndr) di Savia. Il fratello lo ha dato al fratello. Quindi è venuto fuori il tuo nome. Da questo cellulare ha telefonato a te, a Dinacci (un avvocato romano, ndr), al presidente del Consiglio...... Eccola, dunque, tra le righe, oltre a quello che è già emerso intorno al ministro Fantozzi, che spunta una pista politica. Chi era il presidente del Consiglio che Orazio Savia chiamava al telefonino? La telefonata in questione, presumibilmente, risale agli inizi del 1996. Il governo Prodi si è insediato il 17 maggio 1996. Francesco Grignetti