Gli ostacoli e le trappole sulla strada della pace di Fiamma Nirenstein

11 Gli ostacoli e le trappole sulla strada della pace LA SFIDA GERUSALEMME ON sarà una visita di routine quella di Dennis Ross che comincia in queste ore. Al contrario. Possiamo tranquillamente definirla una visita d'emergenza. Infatti, il Dipartimento di Stato americano non aveva nessuna intenzione di tornare a farsi massicciamente vivo, tantomeno di annunciare la visita di Madeleine Albright. La decisione è stata presa venerdì scorso, di notte, dopo l'attacco terrorista al mercato Mahanei Yehuda di Gerusalemme durante una riunione convocata dallo stesso Clinton. L'attentato ha fatto capire agh americani che il processo di pace è ormai deteriorato fino al collasso, e che deve essere riacchiappato per il collo. Finora sia Ross che il consigliere per la Sicurezza Nazionale Sandy Berger temevano che una visita della Albright avrebbe potuto restare senza risultati e danneggiare quindi il suo ruolo di mediatore nel futuro. Ora tutti sono d'accordo, invece, che è arrivato il momento, che Arafat e Netanyahu, adesso o mai più, devono trovare un modo di andare avanti. La visita di Ross deve sostanzialmente preparare quella della Albright, e quindi definire gli obiettivi piuttosto che raggiungerli. Il successo, se ci sarà, verrà lasciato tutto quanto al segretario di Stato. Si parla della sua visita per la fine d'agosto, o al massimo all'inizio di settembre. E' allora che si dovrebbe fissare per l'inizio di novembre l'avvio della discussione sullo «stato defunti- vo» dei rapporti fra israeliani e palestinesi, dato che ormai tutti quanti sono d'accordo che procedere passo per passo secondo lo schema dell'accordo di Oslo non fa altro che creare campi minati su cui i due contendenti inciampano continuamente. Ci sono due titoli generali, per così dire, cui possiamo ascrivere gran parte degli argomenti che verranno trattati: la sicurezza per quello che riguarda Arafat, cioè la lotta al terrorismo; e gli insediamenti per quello che invece concerne Netanyahu, ovvero, anche le costruzioni di Har Homa. Sembra che la Albright intenda chiedere al primo ministro israeliano una mossa di buona volontà tesa a ristabilire la fiducia fra le parti. E da Washington per vie traverse giunge la notizia che Bibi forse sarebbe pronto a sospendere le costruzioni per un mese. La Albright vorrebbe anche che Israele alleviasse il più possibile le misure di ritorsione economica verso la Autonomia, ponendo fine alla chiusura dei Territori e versando le somme previste per aiutare Arafat. Su questo, Netanyahu però chiede che Arafat mostri per primo concretamente la sua disponibilità a combattere il terrorismo. Una commissione di esponenti di primo piano del ministero della Giustizia si sono incontrati col procuratore generale della Repubblica Elyakim Rubinstein e gli hanno presentato un documento segreto che tratteggia gli aspetti legali di uno Stato definitivo: alla grande domanda sul che fare degli insediamenti esistenti per ora la risposta si basa su vari scenari. Se i coloni rimarranno sotto la sovranità palestinese, allora si cercherà di proporre per loro uno speciale trattamento legale, per esempio sul tema dei reati, dell'estradizione, della sicurezza personale e su altri punti caldi. Altrimenti, alcuni degli insediamenti potrebbero essere mossi in zone non lontane ma controllate da Israele, specie se si tratta di villaggi isolati. Intanto, finché si toccherà questo punto è certo che gli scogli della trattativa saranno: l'aeroporto di Dahaniya; il porto di Gaza; la grande strada di collegamento fra le due parti separate dell'Au¬ tonomia, Gaza e il West Bank. In questa fase, pare che l'amministrazione Netanyahu non abbia ancora nessuna intenzione di fare concessioni, evidentemente perché si tratta di punti terribilmente sensibili per la sicurezza. E' infatti chiaro che finché l'Autonomia sarà un deposito di bombe, e un punto di partenza per i terroristi, è difficile per Israele credere che tutte queste porte spalancate servano solo a portare ai palestinesi commercio e turismo. D'altra parte, se concretamente gli americani riusciranno a ottenere da Arafat passi risolutivi contro il terrorismo, allora può darsi che si apra anche qui un negoziato. Può darsi, per esempio, che Israele si biniti a richiedere di piantonare le vie di passaggio e di avere accesso alle misure di controllo nel traffico degli oggetti per impedire l'ingresso di armi pesanti. Comunque, si sa che Israele vorrebbe mantenere vivo il controllo di svariate vie di comunicazione, anche dopo lo Stato definitivo. I palestinesi, sempre secondo previsioni per ora incontrollate, riceveranno la proibizione di mettere in piedi alleanze militari con altri Stati arabi. Naturalmente la spina nel cuore della trattativa resta Gerusalemme: si sa che la commissione segreta del ministero della Giustizia ha stilato parecchie ipotesi, ed è nota anche la proposta dell'ufficio del primo ministro: una delle alternative considerate nel suo progetto è una sorta di sovranità condivisa sulla città. In Israele in queste ore il clima è quello del: «Che sia la volta buona?». Un editoriale del quotidiano Jerusalem Post nel dare il benvenuto a Ross lo invita a promuovere finalmente la revisione della Carta Palestinese, che doveva essere emendata subito dopo le elezioni, e che invece seguita a contenere molti riferimenti a un Medio Oriente finalmente liberato dalla presenza israeliana. Perché, dice l'editorialista, se non si lavora su questo aspetto, ovvero la fine della spinta culturale, etnica, religiosa alla violenza è inutile immaginare la pace. Non verrà mai. Questo Medeleine Albright, pragmatica com'è, lo sa bene. Fiamma Nirenstein A destra, poliziotti e militari israeliani davanti a una costruzione devastata da uno dei razzi Katiuscia sparati ieri mattina dal Sud del Libano A fianco, il presidente dell'Anp Yasser Arafat mentre si inginocchia per pregare in una moschea